Skip to content
ospedale infezioni

Infezioni ospedaliere, Italia all’ultimo posto in Europa per la sicurezza dei ricoveri

Il 30% potrebbe essere evitato, grazie anche a più informazione

Circa 530.000 casi all’anno, con 7800 decessi: sono queste le cifre delle infezioni ospedaliere fornite dallo European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC), che relegano il nostro paese all’ultimo posto nella classifica europea della sicurezza dei ricoveri. Fortunatamente, circa un terzo di questi casi si potrebbe evitare con un’adeguata informazione sulle misure preventive. Lo afferma il documento programmatico uscito dal “Focus sulla prevenzione delle infezioni ospedaliere”, evento svoltosi recentemente presso il Senato della Repubblica, grazie all’iniziativa di Motore Sanità, con il patrocinio del Senato, della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, della FIMMG, dell’Istituto Superiore di Sanità e della SIFO e con il contributo incondizionato di 3M, azienda già impegnata su questo fronte grazie alla campagna “Ospedale senza infezioni”.

“In Italia, la prevalenza delle infezioni correlate all’assistenza si aggira intorno al 6% costituendo un problema rilevante che causa più vittime degli incidenti stradali: oltre 7.800 decessi contro 3.419 vittime della strada”, ha spiegato Alberto Firenze, presidente nazionale dell’Associazione Hospital & Clinical Risk Managers di Roma. “I costi di trattamento di una singola infezione vanno dai 5 ai 9 mila euro, e in Europa il costo annuale delle ICA è stimato attorno ai 7 miliardi di euro. Le infezioni correlate all’assistenza, infatti, oltre ad avere un costo elevatissimo in termini di vite umane comporta anche un dispendio enorme di denaro da parte del sistema sanitario nazionale”.

“Nonostante gli investimenti sul risk management e sull’adozione di protocolli clinici standardizzati i risultati non sono soddisfacenti”, ha commentato Pier Luigi Bartoletti, vicesegretario Nazionale della FIMMG. “Se la direzione aziendale ha come obiettivo principale il taglio dei costi per le strutture pubbliche o l’aumento dei ricavi per quelle private e non piuttosto l’appropriatezza organizzativa in relazione agli obiettivi di salute da conseguire e se non si d à un forte impulso alla residenzialità ed all’assistenza domiciliare, c’è poco da sperare in un miglioramento dei dati”.

Una collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti – decisori politici, istituzioni sanitarie, medici e aziende di apparecchiature medicali – come nel caso dell’evento romano, è probabilmente l’unica via per soluzioni efficaci concordate a tutti i livelli.

Il primo passo resta comunque la corretta informazione del paziente. Da un’indagine condotta da A.M.I.C.I. Onlus su un campione di 2542 pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche dell’Intestino, non ricevere informazioni precise su che cosa è necessario fare per prevenire infezioni in caso di ricovero, intervento chirurgico ed esami endoscopici porta al prolungamento della degenza. Un secondo studio commissionato da AMICI WeCare indica invece che coinvolgendo attivamente il paziente nel processo di cura, con un’informazione adeguata, determina una migliore gestione della malattia e una maggiore aderenza alle terapie, a tutto vantaggio della qualità di vita e dell’economia delle prestazioni sanitarie.

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.