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Vitamina D, può essere utile nella prevenzione dell’Alzheimer?

Diverse ricerche hanno dimostrato un legame tra un basso livello di vitamina D e un maggior rischio di declino delle funzioni cognitive. Tanto che diverse ricerche stanno approfondendo i meccanismi attraverso i quali la vitamina D potrebbe influire sul funzionamento del cervello. (vedi qui).

Vista questa premessa, ci si può chiedere se la supplementazione di vitamina D possa essere utile nella prevenzione dell’Alzheimer o per rallentare il progresso della malattia.

A fare il punto su questo argomento è un intervento del fondatore di uno dei primi centri americani di prevenzione dell’Alzheimer, Richard Isaacson, direttore dell’Alzheimer’s Prevention Clinic al Weill Cornell Medicine and NewYork-Presbyterian (Usa).

Isaacson, in un’intervista pubblicata su medscape.com, ha ricordato che il legame tra vitamina D e varie malattie neurologiche e neurodegenerative è da tempo oggetto di ricerche. Possiamo quindi pensare che aumentare i livelli di vitamina D abbia un effetto protettivo dall’Alzheimer? Secondo Isaacson dipende dai livelli di partenza. Se il livello di vitamina D di una persona è 25 (nmol/L) oppure ≤ 20, è ragionevole pensare che sia utile portarlo almeno a 30. Tuttavia, ricorda Isaacson, un importante studio del 2014 pubblicato dalla rivista Neurology suggerisce che puntare a 50 nmol/L potrebbe avere un migliore effetto terapeutico quando si tratta di prevenzione e riduzione del rischio di demenza.

Per quanto riguarda l’impiego della supplementazione di vitamina D in persone che hanno già una diagnosi di Alzheimer, Isaacson cita un recente studio cinese su 210 persone con diagnosi di Alzheimer che sono state divise random in due gruppi e hanno ricevuto 800 UI / giorno di vitamina D o placebo per 12 mesi. Oltre ai test sulle funzioni cognitive sono stati verificati anche gli effetti della supplementazione sul principale biomarker della malattia, l’accumulo di proteina beta amiloide. I risultati, pubblicati sul British Medical Journal, mostrano che La vitamina D non solo ha migliorato le funzioni cognitive, ma avuto anche un impatto positivo sul biomarker.

Si tratta di risultati ottenuti in uno studio con pochi partecipanti, le ricerche vanno quindi estese e, secondo Isaacson, dovranno tenere conto anche delle caratteristiche genetiche dei pazienti, che sono molto importanti in questa malattia. Per quanto riguarda il dosaggio di 800 UI/giorno, Isaacson, ricorda che sono stati testati anche altri dosaggi e non c’è ancora un quadro chiaro.

“In conclusione – afferma Isaacson – direi che la vitamina D è generalmente sicura e che è anche potenzialmente efficace nella malattia di Alzheimer, sia per la riduzione del rischio, sia per il trattamento ai primi stadi della malattia.”

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.