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Focus medico burnout

Generalisti, la sindrome della fuga dai pazienti

  • Cesare Peccarisi
  • Sanità

A maggio due autorevoli riviste, il BMJ e il JABFM, rispettivamente il British Medical Journal (1) e il Journal of the American Board of Family Medicine (2) hanno dedicato una review al burnout, “malattia” che colpisce soprattutto i generalisti da molto tempo prima dell’arrivo della pandemia di COVID-19 che, come la classica goccia che fa traboccare il vaso, ne ha enfatizzato gli effetti, innescando una vera e propria sindrome di fuga dai pazienti.

L’indagine del BMJ indica come la soddisfazione professionale di molti Medici di medicina generale inglesi, che già l’anno scorso risultavano più in crisi rispetto ai colleghi del resto del mondo (3), sia direttamente correlata alla qualità della relazione medico/paziente. Quando questa cala, la soddisfazione del medico si riduce.
Altri due fattori con un effetto simile sono:
1) il doversi interfacciare con strutture specialistiche di secondo livello e
2) la perdita di autonomia professionale.

Se all’impatto negativo di queste tre variabili si associano un’eccessiva richiesta di assistenza non fronteggiabile per l’accumularsi di fattori che riducono sempre di più il tempo a disposizione creando una continua situazione di stress, come accaduto nell’emergenza COVID, i medici diventano facile preda del burnout la cui estrema conseguenza sembra essere una vera e propria sindrome di fuga dai pazienti.

Abbandono della professione

Il 30 per cento dei generalisti inglesi pensa di abbandonare la professione entro i prossimi 5 anni, idea in cui gioca un ruolo non trascurabile anche il lato economico legato al trattamento pensionistico dal quale risultano attratti soprattutto i medici meno soddisfatti.
E non sembra che, almeno nel Regno Unito dove non c’è quota 100, questo trend sia maturato a seguito della recente pandemia di coronavirus: i risultati di precedenti indagini non erano infatti molto diversi (4).

Da indagini condotte fra il 2014 e il 2016 emerge l’intenzione sia di smettere, sia di ridurre le ore di attività quotidiana, oppure di prendersi un periodo di aspettativa con percentuali comprese fra il 29 e il 42 per cento a seconda dell’area valutata, con un picco del 70 per cento in Galles del Sud nel 2017 (5).

Lo studio del BMJ da cui prende spunto questo articolo si basa su 7 aree d’indagine: sei in Inghilterra e una in Australia.
Fra i fattori alla base della sindrome di fuga, oltre alla relazione medico/paziente, lo studio ne identifica altri due: quelli associati a elevata soddisfazione professionale e quelli legati invece a ridotta soddisfazione e tutti sono fortemente imbricati fra loro (Figura 1).

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Ciò che li lega è l’importanza del contesto in cui il medico si trova a operare, tant’è che nel primo caso vengono riportate buone relazioni professionali, mentre nel secondo sono prevalenti lamentele di sovraccarico lavorativo e di mancato supporto da parte di collaboratori e organi sanitari, con conseguente impatto negativo ancora una volta sulla relazione con i pazienti in un circuito che pone al centro il rapporto medico/paziente come via ultima comune della soddisfazione professionale.

Lo studio americano EvidenceNOW condotto dai ricercatori del College of Health and Human Services della George Mason University, pubblicato sul Journal of the American Board of Family Medicine punta sull’urgente necessità di mettere a punto un programma di cambiamento della politica sanitaria americana adottando strategie che possano ridurre il burnout dei professionisti della sanità con programmi volti a migliorare il contesto delle strutture medio-piccole del territorio migliorandone le capacità organizzative.

Sono stati valutati 1.273 medici operanti in strutture di questo tipo della Virginia e il livello di burnout è stato calcolato in base al livello di carriera: nei medici di primo livello sono stati riportati valori del 31,6 per cento, in quelli di secondo livello del 17,2 per cento.

Autonomia e risorse

Non peraltro anche nello schema dello studio del BMJ la flessibilità e l’autonomia lavorativa scevra da pastoie burocratiche e regolatorie costituiscono fattori importanti nella soddisfazione professionale e possono costituire un antidoto potenzialmente in grado di opporsi alla sindrome della fuga dalla professione.

Gli Autori dello studio inglese sottolineano come emerga la necessità di migliorare le tempistiche di valutazione dei pazienti per ridurre il sovraccarico delle visite che comprende anche pazienti complessi.

Con i tradizionali sistemi di presa in carico questo tipo di pazienti finisce per aumentare lo stress che, prendendo come parametro di misura il livello di ansia dei medici, nello studio USA raggiunge valori pari al triplo rispetto a chi non sviluppa burnout. Vanno anche trovate soluzioni per ridurre le incombenze burocratiche non cliniche aumentando le risorse destinate allo staff affinché possa focalizzare meglio l’attività sul paziente: per molti medici questo sarebbe davvero più motivante.

Conclusioni che collimano con quelle degli autori dello studio USA: comprendere le motivazioni personali che possono portare a erronei comportamenti sono fondamentali per indirizzare programmi di politica sanitaria volti a ridurre il burnout dei medici implementando sul territorio le strutture medio-piccole dal punto di vista organizzativo.

Insoddisfazione da parte dei medici emerge anche in Francia (6) dove la crisi della COVID è stata la scintilla che ha scatenato una sindrome di fuga “sindacale” dei medici d’Oltralpe che a metà gennaio hanno pubblicato su Libération un articolo controfirmato da 1.884 camici bianchi in cui rivolgono al Ministro della Salute transalpino Agnès Buzyn l’accusa di inadeguatezza del SSN francese con liste d’attesa che non si erano mai viste prima, completa disattenzione nei confronti di patologie croniche che non portano soldi alle casse della repubblica e disorganizzazione generale del sistema sanitario. All’articolo dei medici se n’è affiancato un altro dell’Associazione caregiver francesi Health Personnel Collective che minaccia le dimissioni in massa del personale paramedico che ha finora aiutato i medici di tutta la Francia. Questi ultimi per non fare altrettanto formulano tre precise richieste, del tutto plausibili:

  • un aumento di 300 euro al mese,
  •  una rivalutazione dei DRG francesi (T2A) in modo da offrire a ogni paziente la giusta assistenza senza vincoli di profit-making
  • aumento del personale medico e paramedico per migliore quantità e qualità di cura con più letti di emergenza e di terapia intensiva.

La situazione dei medici italiani

In Italia un altro fattore sembra giocare un ruolo importante nella soddisfazione professionale del medico: l’età. Indicato in alto a destra anche nella flow chart del BMJ, rappresenta un’importante chiave di lettura analizzata anche in un’indagine svolta dalla FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale) nel 2015 sui problemi emergenti e sulle sfide dei Medici di medicina generale (7) che in era pre-COVID ha evidenziato come fra i Paesi dell’OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) Italia e Israele siano quelli con il maggior numero di MMG ultracinquantenni (43 e 29 per cento rispettivamente), mentre UK e Corea sono quelli con le quote più basse (13 e 14 per cento).

Obsolescenza e life long learning

Nell’indagine della Federazione l’età viene correlata alla diversa disponibilità al cambiamento dei medici anziani, un fattore peraltro sottolineato anche nella flow chart inglese. L’indagine italiana ha valutato anche l’impatto correlato all’età delle competenze soggette a rapida obsolescenza per l’incalzare dei progressi tecnologici e di gestione dei processi di cura (8) ricavandone la necessità di un aggiornamento continuo per tutto l’arco della vita professionale, il cosiddetto LLL, life long learning, ormai entrato nella mentalità soprattutto dei medici giovani che dall’indagine risultano quelli più disponibili a svolgere funzioni non tradizionali, una disponibilità che potrebbe derivare sia dal fatto che la loro carriera non è ancora consolidata, sia dall’età che li rende più permeabili dei colleghi anziani facendoli sentire più pronti ad assumere compiti nuovi e diversi anche con formule di prtnership e di tutoraggio con colleghi più maturi (FIGURA 2). Verosimilmente più aperti al nuovo e ai cambiamenti, sono soprattutto i giovani a vivere negativamente l’invecchiamento, sia individuale sia della categoria (73 per cento), mentre i più anziani tendono a sminuirne gli effetti.

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Minima fuga

Poco prima della pandemia solo l’8,5 per cento dei medici vedeva il pensionamento come via di fuga, mentre ben il 35 per cento riteneva che la propria identità di ruolo costituisse il primo motore capace di superare le difficoltà e il 26,8 pensava che nel proprio lavoro, percepito come risorsa, fossero presenti gli stimoli e le motivazioni per affrontare i cambiamenti (FIGURA 3), ma forse non si aspettavano un cambiamento così drammatico come quello indotto dalla COVID che comunque tutti, vecchi e giovani, hanno saputo affrontare con comportamenti individuali che sono valsi loro l’appellativo di “eroi della pandemia”.

 

Un drammatico cambiamento

Oggi gli over-55 di quell’indagine, i medici cosiddetti baby-boomers, costituiscono la maggior parte di quelli che ora stanno ingrossando le fila dell’esodo italiano dalla professione. Nella Bergamasca entro il 2021 un medico su 5 andrà in pre-pensionamento, rinunciando a proseguire oltre i 62 per arrivare a 68-70 anni come potrebbe. Non è solo l’età anagrafica ad alimentare questa scelta, ma anche la ridotta remunerazione e gli scarsi incentivi ministeriali per far funzionare adeguatamente il lavoro con l’aiuto della nuova figura dell’infermiere di studio. E non si tratta nemmeno di effetto COVID che in termini di decessi ha reso la categoria bergamasca la più falcidiata d’Italia. Anche in Puglia il trend non cambia: entro i prossimi 5 anni il 51 per cento degli MMG abbandonerà la professione. All’esodo da prepensionamento under 65 con quota 100 si aggiungono gli effetti di una sentenza della Cassazione Civile (Sez. Lavoro, sentenza 11008 del 9.6.2020) secondo cui, in caso di mancata domanda di trattenimento in servizio, se a 65 anni il medico non ne ha raggiunti 40 di anzianità contributiva può essere mandato in pensione d’ufficio dall’ospedale o dal datore di lavoro pubblico ove presta servizio.

Così agli esodi di quota 100 si aggiungono quelli di mancato trattenimento in servizio, che peraltro non avranno pensione fino al raggiungimento dei 67 anni. La situazione degli altri medici non è molto diversa: l’Anaao Assomed prevede a breve una carenza di oltre 16.000 medici, soprattutto quelli di pronto soccorso e pediatri (9). Fra i 105.000 specialisti attualmente in attività, la metà circa (52.500) andrà in pensione e ciò spiega anche i clamorosi interventi tampone attuati nell’emergenza con il ricorso a medici pensionati, militari o ai laureandi. Diventerà una prassi comune anche nell’era post-COVID?

Un circolo vizioso

Secondo le proiezioni dal 2026 al 2034 la situazione migliorerà e anzi, vista la riapertura delle facoltà e delle scuole di specialità stimolata dalla crisi COVID, potremo rischiare un surplus di 5mila medici che potrebbero però finire all’estero attratti dalle agenzie di cacciatori di teste che oggi in Europa cercano 230mila giovani medici i quali per un primo incarico in Germania, ad esempio, guadagnerebbero quasi il doppio che in Italia: 4.500 euro contro 2.400. Così invece del ricambio generazionale dei medici fuggiti in prepensionamento o andati in pensione per limiti d’età, avremo quelli fuggiti all’estero e saremmo punto e daccapo.


Sistemi sanitari a confronto

Organizzazione del sistema sanitario in Italia

Fonte: modificata da Donatini A. ASSR Emilia-Romagna, 2014

Organizzazione del sistema sanitario in Inghilterra

Fonte: modificata da Thorlby R, Arora S. Nuffield Trust, 2014

 

Riferimenti bibliografici

  1. Long L et al. Understanding why primary care doctors leave direct patient care: a systematic review of qualitative research. BMJ Open 2020;10: e029846. doi:10.1136/bmjopen-2019-029846.
  2. Goetz Goldberg D et al. Indicators of Workplace Burnout Among Physicians, Advanced Practice Clinicians, and Staff in Small to Medium-Sized Primary Care Practices. The Journal of the American Board of Family Medicine May 2020; 33 (3): 378-385; doi: https://doi.org/10.3122/jabfm.2020.03.190260.
  3.  Campbell JL et al. Health Services and Delivery Research. Policies and strategies to retain and support the return of experienced GPs in direct patient care: the ReGROUP mixed-methods study. Southampton UK: NIHR Journals Library, 2019.
  4. Martin S et al. Under pressure: What the Commonwealth Fund’s 2015 international survey of general practitioners means for the UK. London: The Health Foundation, 2016.
  5. Fletcher E et al. Quitting patient care and career break intentions among general practitioners in South West England: findings of a census survey of general practitioners. BMJ Open 2017; 7: e015853; http://dx.doi.org/10.1136/bmjopen-2017-015853.
  6. French Doctors Threaten to Resign in Public Health Crisis. Medscape – Jan 24, 2020
  7. http://www.fimmg.org/index.php?action=pages&m=view&p=4063
  8.  Smith P. Measuring professional obsolescence: a half life model for the physisician. Academy of Management, 1978; 3: 914.
  9. http://www.anaao.it/public/aaa_2893564_studioanaao_carenzaregioni_20marzo2019.pdf
Cesare Peccarisi

Giornalista scientifico, neurologo, editorialista del Corriere Salute, Responsabile Comunicazione Scientifica della Società Italiana di Neurologia (SIN)