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Oncologia, le difficoltà del ritorno al lavoro dopo le cure

“Il 6,4 % della popolazione italiana, circa tre milioni e mezzo di persone, ha avuto una malattia neoplastica. La metà di queste persone ha un’età inferiore ai 65 anni, quindi è ancora in piena età lavorativa. La ripresa dell’attività lavorativa, spesso è complicata dalla persistenza di disturbi fisici, legati agli effetti collaterali tardivi delle terapie eseguite e psichici, dovuti allo stress legato al timore delle recidive.”

Il quadro è stato tracciato da Stefano Giordani, direttore scientifico degli Onconauti, associazione nata per sviluppare percorsi innovativi di riabilitazione per i pazienti oncologici lungo-sopravviventi.

Il tema del ritorno al lavoro dei pazienti oncologici è stato affrontato nel convegno “Return to work”, patrocinato dall’associazione FareRete Innovazione Bene Comune.

“La patologia oncologica, una volta passata la fase acuta, – spiega Paola Pisanti, presidente dell’associazione – evolve sempre più spesso in una situazione di cronicità, per cui dobbiamo pensare ad un modello di oncologia diverso da quello attuale, che tenga conto non solo delle essenzialità della cura e dei follow up, ma che tenga in considerazione anche la parte esistenziale della persona ex-oncologica acuta: un modello che possa accompagnare la persona nel rapporto con la sua quotidianità, tra cui il lavoro. Un modello che si avvicina sempre di più al malato cronico”.

“Oltre al percorso clinico, sia di cura che di follow up – continua Paola Pisanti, – bisogna considerare gli aspetti esistenziali della condizione di ex paziente oncologico. Un compito che richiede interdisciplinarietà, e una reale sinergia fra diverse figure professionali, una vera rete attorno al paziente-cittadino”.

“È proprio il capitale sociale, – ribadisce Paola Pisanti – inteso come rete di relazioni che devono legare in un rapporto di partnership tutti i protagonisti impegnati nei settori dell’assistenza, del volontariato e del non-profit, della comunicazione, dell’etica, dell’innovazione, della produzione, della ricerca, che può contribuire a sviluppare coesione e integrazione, rafforzando la conoscenza del contesto e la capacità di elaborare strategie e azioni per il bene comune. Questa rete di relazioni, se strutturata in un rapporto ben definito sia di collaborazione che di cooperazione può esercitare una grande influenza sullo stato di benessere sia della comunità che del singolo individuo”.

 

 

 

 

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.