Violenza sui medici, chi rischia di più e cosa fare per prevenirla
La violenza contro i medici si può definire un’emergenza. Negli ultimi tre anni solo nelle strutture dell’Area Metropolitana di Milano si sono registrate 1.704 aggressioni ai camici bianchi e nei primi sei mesi del 2019 sono già stati segnalati 713 episodi, circa 4 al giorno. Su questo tema l’Ordine dei Medici, Chirurghi e Odontoiatri di Milano, in collaborazione con la Commissione Pari Opportunità del Comune di Milano, ha organizzato l’incontro: “Violenza contro i Medici: l’OMCeO di Milano lancia un grido d’allarme!”.
Di seguito riportiamo l’intervento di Luciana Bovone, MMG, presidente della sezione di Milano dell’Associazione Italiana Donne Medico (AIDM).
La problematica della violenza sui medici è da molti anni all’attenzione degli organismi istituzionali e sanitari nazionali e internazionali.
È da tempo riconosciuta come un importante problema di salute pubblica nel mondo (World Health Organization, 2002). Il National Institute of Occupational Safety and Health (NIOSH) ha definito la violenza sul posto di lavoro come “ogni aggressione fisica, comportamento minaccioso o abuso verbale che si verifica sul posto di lavoro”.
L’European Agency for Safety and Health at Work ha indicato nella violenza e nelle molestie i rischi psicosociali emergenti in materia di sicurezza e salute sul lavoro.
Va ricordata anche la Raccomandazione N°8 del 2007 del nostro Ministero della Salute, nella quale si ribadisce che gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari compiuta da pazienti, da loro parenti o accompagnatori vanno considerati come “eventi sentinella”, vale a dire “eventi avversi di particolare gravità, potenzialmente evitabili, che possono comportare morte o grave danno, rispetto ai quali si richiede la messa in atto di opportune iniziative di protezione e prevenzione”
Si tratta quindi di un rischio psicosociale, che può indicare l’esistenza nel contesto lavorativo di condizioni di rischio o di vulnerabilità.
I soggetti più esposti e i luoghi più rischio
Risulta particolarmente esposto il personale sanitario in genere, proprio per la tipologia del lavoro svolto, che lo pone a diretto contatto con situazioni caratterizzate da emotività, vulnerabilità, frustrazione di fronte alla malattia o ad attese/aspettative quasi magiche, senso di insoddisfazione rispetto a presunti diritti disattesi, ecc., condizioni che possono sfociare in difficoltà di controllo, specie se intervengono anche altri fattori critici quali alcol e droga.
È proprio quel rapporto peculiare da cui tanto ci si aspetta, ma che nel contempo suscita paure nel paziente o nei familiari, uno dei terreni potenzialmente più delicati per l’insinuarsi di manifestazioni violente.
Il fenomeno della violenza contro medici e operatori sanitari riguarda contesti diversi: ospedali e servizi di emergenza-urgenza, strutture psichiatriche e geriatriche, servizi di continuità assistenziale, luoghi di attesa, talvolta lo stesso studio del medico e altri.
Per identificare i rischi – e le conseguenti azioni correttive o preventive – sono molti gli aspetti da prendere in considerazione, in sintesi:
- caratteristiche dell’utenza e dei servizi erogati
- ubicazione, dimensioni e tipologia della struttura
- fattori organizzativi
- fattore di genere (le donne rappresentano la maggior parte degli operatori socio sanitari e sociali)
- presenza o mancanza di una formazione specifica
- fattori culturali/educativi.
Concorrono quindi sfavorevolmente diversi fattori. Sicuramente i contesti isolati, dove ci si può trovare ad operare da soli, sono potenzialmente a rischio.
Pur sottolineando che le aggressioni sono poco segnalate, forse anche per la convinzione che ciò possa rientrare in qualche modo nel rischio professionale, la diffusione del fenomeno e l’escalation della violenza degli ultimi anni ci fa interrogare in merito. Ricordiamo che ogni anno si contano migliaia di casi di aggressioni rivolte a sanitari, e il personale femminile vi risulta particolarmente esposto.
Fattori di rischio e prevenzione
Ad oggi ciascuna struttura sanitaria dovrebbe essersi fatta carico dell’analisi del problema e dell’avvio di tutte le misure volte al suo contenimento e superamento, perché arginare le violenze in ambito sanitario significa avviare un importante processo di prevenzione.
Viitasara e Menckel del National Institute for Working Life di Stoccolma hanno proposto un’interessante e completa cornice teorica per l’identificazione dei fattori di rischio per i comportamenti violenti nei servizi sanitari che sono riassunti nella tabella.
Il verificarsi di eventi del genere può essere indice, tra l’altro, di un’insufficiente consapevolezza, con conseguente possibile carenza di misure organizzative per prevenirli. L’evento della violenza può essere anche dovuto a scarsa vigilanza, sottovalutazione dei pazienti a rischio di compiere aggressioni fisiche, oppure a difficoltà relazionale tra operatori e utenza e altri fattori.
Di conseguenza si evidenzia quanto il riconoscimento di potenziali simili evenienze sia importante per procedere alla definizione di interventi sotto il profilo organizzativo e logistico, revisione dei protocolli in uso, gestione delle criticità, individuazione di nuovi protocolli operativi che tengano conto di tutto ciò.
Gli atti di violenza non sono degli eventi inevitabili, anzi è possibile, oltre che doveroso, prevederli e prevenirli. La prevenzione è un’azione complessa che deve avvenire a più livelli.
Indubbiamente è fondamentale l’avvio di attività di formazione specifica del personale.
Con questa finalità la nostra federazione degli Ordini, la Fnomceo, ha inserito la gestione delle situazioni che generano violenza nei confronti degli operatori sanitari tra le tematiche di interesse nazionale del sistema ECM. E in questo ambito si inquadra il corso-convegno che si è svolto a Milano.
Vedi anche “Violenza sui medici, cosa fare in caso di aggressione.“