Covid-19, il deficit di zinco aumenta il rischio di infezione e di malattia grave?
Diversi ricercatori hanno segnalato che la carenza di zinco, fenomeno diffuso nei paesi a basso reddito e nella popolazione anziana, possa essere un fattore di rischio per una maggiore suscettibilità all’infezione da SARS-CoV-2, viste le riconosciute proprietà antivirali di questo oligoelemento, contenuto soprattutto in alimenti di origine animale come carne, pesce, uova e latticini. Di conseguenza si è anche ipotizzato che la supplementazione di zinco, ove necessaria, possa favorire la prevenzione del Covid-19 o una risoluzione più rapida delle forme che richiedono ricovero ospedaliero.
Bassi livelli di zinco e mortalità da Covid-19
Uno studio dell’Hospital del Mar Medical Research Institute (IMIM) di Barcellona (Spagna), pubblicato sulla rivista Nutrients, ha analizzato i livelli di zinco di 249 pazienti adulti ricoverati per Covid-19 tra il 9 marzo e il 1 aprile 2020, con un’età media di 65 anni. I sintomi più comuni al momento del ricovero erano febbre, tosse e dispnea. Un paziente su 4 aveva bassi livelli di zinco nel sangue (<50 μ/dL). Questo gruppo presentava sintomi più gravi e livelli più elevati di infiammazione misurati con due marcatori, la proteina C-reattiva (CRP) e l’interleuchina 6 (IL-6).
In media, la durata della degenza ospedaliera era tre volte superiore rispetto ai pazienti con livelli più elevati di zinco (25 giorni rispetto a 8). Per quanto riguarda la mortalità, i livelli di zinco erano significativamente più alti nei pazienti sopravvissuti all’infezione, (62 contro 49 μ/dL). Inoltre, 1 paziente su 5 con bassi livelli di zinco è deceduto. Al contrario, il tasso di mortalità di coloro che presentavano livelli più elevati al momento del ricovero era del 5%. In questo studio un aumento di un’unità di zinco nel plasma sanguigno è direttamente collegato a una riduzione del 7% del rischio di morte per Covid-19.
“Lo zinco è un elemento essenziale per mantenere una varietà di processi biologici – spiega Robert Güerri, del Dipartimento Malattie Infettive dell’Hospital del Mar di Barcellona – e alterarne i livelli provoca una maggiore suscettibilità alle infezioni e una maggiore risposta infiammatoria.”
“Abbiamo dimostrato – aggiunge Güerri – l’importanza dei livelli di zinco nel sangue dei pazienti come ulteriore predittore di esito in Covid-19, così come il suo potenziale come strumento terapeutico per il trattamento. Proponiamo quindi di avviare studi clinici riguardanti la supplementazione di zinco in pazienti con bassi livelli ricoverati per Covid-19 e l’attuazione di programmi per somministrare integratori a gruppi a rischio”.
I presupposti per testare lo zinco come ausilio nella terapia del Covid-19
A conclusioni analoghe allo studio spagnolo sono arrivati i ricercatori dell’Università RWTH di Aachen in Germania in un lavoro pubblicato quest’estate sulla rivista Frontiers in Immunology. Secondo i ricercatori tedeschi, anche se non abbiamo ancora dati da studi clinici specifici sul virus SARS-CoV-2, la letteratura disponibile sul ruolo dell’omeostasi dello zinco durante le infezioni virali mostra i potenziali benefici della supplementazione.
L’integrazione di zinco migliora la clearance mucociliare, rafforza l’integrità dell’epitelio, diminuisce la replicazione virale, preserva l’immunità antivirale, attenua il rischio di iperinfiammazione, supporta gli effetti antiossidanti e quindi riduce il danno polmonare e riduce al minimo le infezioni secondarie.
“Soprattutto i soggetti più anziani – scrivono i ricercatori tedeschi – i pazienti con malattie croniche e la maggior parte dei restanti gruppi a rischio COVID-19 ne trarrebbero molto probabilmente beneficio. Sebbene siano necessari studi per testare l’effetto dello zinco come opzione terapeutica per la malattia stabilita, l’integrazione preventiva dei soggetti dei gruppi a rischio dovrebbe iniziare ora, poiché lo zinco è un’opzione economica, disponibile a livello globale e semplice da usare con effetti collaterali minimi o nulli.”
La sovrapposizione fra sintomi del Covid-19 e quelli della carenza di zinco, oltre al possibile ruolo della supplementazione nei gruppi a rischio di carenza è affrontata da un articolo uscito a gennaio su Plos Negleted Tropical Disease, firmato da Marcin P. Joachimiak della Divisione di Genomica ambientale e biologia dei sistemi, Lawrence Berkeley National Laboratory, Berkeley, CA, USA.
In questo lavoro, corredato da un’amplia bibliografia, compare anche una panoramica sui pazienti a rischio di defict di zinco in relazione a età, stili vita, patologie.
I punti chiave di questo articolo sono i seguenti:
- Lo zinco è il secondo oligoelemento essenziale più abbondante nel corpo umano con ruoli critici nella salute immunitaria e nella risposta alle malattie infettive.
- La carenza di zinco è comune anche nel mondo sviluppato e i rischi di carenza possono aggravarsi.
- La sovrapposizione tra i sintomi in condizioni diverse, ad esempio, una carenza nutrizionale rispetto al Coronavirus Disease 2019 (COVID-19), può essere utilizzata per suggerire test clinici, diagnosi e interventi di triage.
- Lo zinco fornisce un’alternativa sicura ed economica per migliorare l’immunità in tutto il mondo, sia per correggere le carenze nutrizionali croniche sia per affrontare le carenze acute derivanti da un’infezione virale e dalla risposta immunitaria dell’ospite.