Inquinamento dell’aria dannoso anche sotto i livelli d’attenzione
L’inquinamento atmosferico è considerato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità uno dei maggiori problemi di salute pubblica a livello globale. Tuttavia, non è facile quantificare i danni alla salute umana attribuibili all’esposizione ai maggiori inquinanti dell’aria. Per avere dati attendibili sono necessari studi su campioni di popolazione molto ampia e l’elaborazione di modelli statistici complessi. Occorre, infatti, far emergere il peso effettivo dell’inquinamento sull’insorgenza di patologie gravi (come malattie cardiache e respiratorie croniche) distinguendolo dagli altri fattori di rischio.
Al di là di questi limiti, gli studi più recenti stanno mostrando con chiarezza sempre maggiore il rischio a breve e a lungo termine legato all’esposizione agli inquinanti, anche con concentrazioni inferiori alle soglie indicate come pericolose.
L’inquinamento aumenta il rischio di arresto cardiaco
Uno studio giapponese, pubblicato nel gennaio 2020, ha mostrato una relazione tra arresti cardiaci extra ospedalieri ed esposizione al PM2,5 anche a concentrazioni inferiori alla soglia di sicurezza indicata dall’OMS (25 μg/m3).
La ricerca, pubblicata su The Lancet Planetary Health ha confrontato i dati nazionali sugli arresti cardiaci nella popolazione giapponese dal 1 gennaio 2014 al 31 dicembre 2015, con l’esposizione al PM2,5 e ad altri inquinanti atmosferici. L’esposizione giornaliera è stata calcolata considerando la media delle misurazioni da tutte le stazioni di monitoraggio del PM2,5 in ogni regione (prefettura) del Giappone.
Ogni aumento di 10 μg/m3 di PM2,5 è stato associato a un aumento del rischio di arresti cardiaci al di fuori dell’ospedale. I pazienti di età superiore ai 65 anni erano più suscettibili all’esposizione al PM2,5 rispetto ai gruppi di età più giovane, non sono state identificate differenze di sesso.
Gli autori concludono che l’esposizione a breve termine al PM2,5 è stata associata a un aumento del rischio di arresti cardiaci al di fuori dell’ospedale, anche a concentrazioni relativamente basse. Vanno quindi considerati i potenziali vantaggi per la salute derivanti dal miglioramento della qualità dell’aria anche in luoghi che già soddisfano gli standard minimi proposti dall’OMS.
Inquinamento atmosferico come fattore di rischio per gli anziani in Usa
Uno studio con un arco temporale più lungo e significativo è stato pubblicato a febbraio sulla rivista Circulation. I ricercatori hanno considerato una popolazione molto ampia, i 63 milioni di americani iscritti al programma Medicare tra il 2000 e i 2016. Medicare è l’assicurazione sanitaria statale che copre le persone con più di 65 anni di età e alcune categorie di malati cronici.
I ricercatori hanno valutato l’esposizione media agli inquinanti atmosferici (PM2,5, biossido di azoto e ozono) in base al codice postale degli iscritti a Medicare e poi hanno calcolato gli eccessi di ricoveri ospedalieri per 4 eventi cardiovascolari e respiratori (infarto miocardico, ictus ischemico, fibrillazione atriale e polmonite). Oltre all’ampiezza della popolazione considerata, l’altro punto di forza dello studio è un robusto modello statistico che tiene conto dei fattori confondenti e della probabilità inversa.
È risultato che per ogni μg/m3 in più di PM2,5, nella media annuale, si possono stimare 2.536 casi in più di ictus. Un aumento del rischio di ictus e fibrillazione atriale è associato anche all’esposizione a lungo termine al biossido di azoto. Mentre per l’ozono sembra aumentare solo il rischio di polmonite.
Quando abbiamo limitato le nostre analisi a individui che erano esposti a concentrazioni inferiori di inquinamento atmosferico, abbiamo comunque riscontrato un aumento del rischio di ricoveri ospedalieri per tutti gli eventi studiati, anche a concentrazioni inferiori agli attuali standard nazionali”, ha precisato Mahdieh Danesh Yazdi della Harvard TH Chan School of Public Health, autore principale dello studio.
“L”inquinamento atmosferico – conclude Yazdi – dovrebbe essere considerato dai medici un fattore di rischio per malattie cardiovascolari e respiratorie e i responsabili politici dovrebbero riconsiderare gli standard attuali per le soglie ammesse di inquinanti”.