Skip to content
obesita persone

Obesità, la pandemia silenziosa che aumenta la mortalità da Covid-19

Diversi studi hanno segnalato che l’obesità aumenta la suscettibilità all’infezione da SARS-CoV-2 e il rischio di sviluppare una forma grave della malattia. Se guardiamo allo scenario globale della pandemia possiamo considerare l’obesità come uno dei fattori che, a livello di popolazione, aggravano il peso del Covid-19.  Lo conferma uno studio pubblicato a gennaio su The Journal of Nutrition in cui emerge che nei paesi dove la quota di obesità della popolazione è più alta si registra anche il tasso più alto di mortalità per Covid-19.

Il collegamento fra obesità e mortalità da Covid-19

La ricerca, firmata da Jingzhou Wang e colleghi della University of Chicago Medicine di Chicago (Usa), ha incrociato i dati sul BMI (Body Mass Index) delle popolazioni, contenuti nel Global Health Observatory dell’OMS, con i dati sul COVID-19 di worldometers.info. Il risultato mostra che la prevalenza di popolazione in sovrappeso [BMI (kg/m2) ≥25] per paese è significativamente associata con il numero di decessi per milione di abitanti a causa del Covid-19 (R2 corretto: 0,20; P <0,0001).

Si può dire quindi che la pandemia da Covid-19 abbia incontrato la pandemia dell’obesità, che, seppure a un ritmo diverso rispetto alla diffusione del virus SARS-CoV-2, continua a crescere.

Negli Stati Uniti il tasso di obesità continua crescere

Gli Stati Uniti, uno dei paesi più colpiti dalla pandemia da Covid-19 e con il tasso di mortalità più alto per questa malattia, è anche uno dei paesi con la maggiore diffusione dell’obesità. Un dato che continua a crescere.

Il rapporto pubblicato a dicembre dal National Center for Health Statistics mostra la prevalenza di sovrappeso (BMI 25.0–29.9), obesità (BMI ≥30) e obesità severa (BMI ≥40) tra gli adulti americani sopra i vent’anni tra il 1960-62 e il 2017-18.

All’inizio degli anni Sessanta il 13,4% degli adulti americani era obeso e il 31,5% era considerato sovrappeso; meno dell’1% aveva un’obesità grave. I tassi di obesità sono poi aumentati costantemente ogni decennio, passando dal 15% degli anni Settanta al 30,9%  del 2000. All’inizio di questo secolo, l’aumento dei tassi di obesità sembra rallentare un po’ anche se un’effettiva discesa si registra solo  nel 2007-2008 e nel 2011-2012. Attualmente la curva continua a salire e la prevalenza dell’obesità nella popolazione americana è la più alta in quasi 60 anni.

Tendenza (aggiustate per età) di sovrappeso, obesità e obesità grave
tra uomini e donne di età compresa tra 20 e 74 anni negli Stati Uniti,
nel periodo dal 1960-62 al 2017-2018

NOTE: I dati sono aggiustati per età utilizzando i gruppi di età 20-39, 40-59 e 60-74. Il sovrappeso è un indice di massa corporea (BMI) di 25,0-29,9 kg/m2. L’obesità è BMI pari o superiore a 30,0 kg / m2. L’obesità grave è BMI pari o superiore a 40,0 kg / m2. Le donne in gravidanza sono escluse dall’analisi. FONTI: National Center for Health Statistics, National Health Examination Survey e National Health and Nutrition Examination Survey. Da NCHS,2021, cit., mod.

Dal rapporto risulta che il 31,1% degli adulti statunitensi è sovrappeso, il 42,5% è obeso e il 9% ha un’obesità grave. La fascia di età più colpita è quella degli adulti da 40 a 59 anni con il 45% di persone con un BMI di ≥30.

Una risposta dall’Europa: la Carta di Milano sull’urban obesity

Anche in Europa l’obesità è un problema sanitario e sociale, con numeri preoccupanti. Il rapporto Eurostat 2016 mostra che poco più della metà (51,6%) degli adulti degli stati UE è sovrappeso il 35,7% preobeso e il 15,9% obeso. Anche per l’Europa la tendenza è alla crescita del tasso di obesità e alcune stime indicano che questa condizione entro il 2030 potrebbe riguardare il 50% della popolazione.

Le dimensioni del problema, richiedono politiche incisive e condivise a livello internazionale di prevenzione e cura. La lotta all’obesità e alla malnutrizione (secondo il rapporto ONU nel 2019 le persone che hanno sofferto la fame nel mondo sono state 690 milioni, dato aggravato dalla pandemia), si inserisce nelle politiche per un’alimentazione sana, da agricoltura sostenibile. Questi temi sono stati lanciati con forza dalla Carta di Milano nata all’EXPO di Milano 2015, rivolta ai cittadini, associazione, imprese e istituzioni.

Con la stessa impostazione è nata la “Carta di Milano sull’Urban Obesity”, promossa del Centro di studio e ricerca sull’obesità (CSRO) dell’Università degli studi di Milano e sotto scritta da numerose società scientifiche e istituzioni, tra cui la SIMG (Società Italiana di Medicina Generale e Cure Primarie). La Carta è stata condivisa dall’European Association for the Study of Obesity (EASO), con la pubblicazione sulla rivista internazionale Obesity Facts:

“Bisogna rendere l’ambiente e il tessuto urbano meno obesogeni e più orientati alla qualità della vita delle persone con obesità, attraverso l’eliminazione delle barriere sociali, strutturali e culturali che impediscono loro un’esistenza dignitosa e piena. – spiega Enzo Nisoli, coordinatore scientifico del comitato di indirizzo del CSRO – Solo con un lavoro coordinato tra scienza, società civile e politica, sarà possibile vincere le grandi sfide legate a questa malattia, come l’accesso alle cure e la lotta allo stigma sociale, particolarmente rilevante nei contesti a elevato impatto socio-demografico e nelle grandi aree urbane e metropolitane.”

“Già oltre vent’anni fa la comunità scientifica internazionale sottolineava il pericolo per la salute, derivante da una condizione che all’epoca, la stragrande maggioranza considerava un problema prevalentemente estetico – conclude Luca Busetto, Co-chair Obesity Management Task Force di EASO – Invece, è dimostrato che ridurre la prevalenza dell’obesità di 1 punto percentuale può evitare da 1 a 3 milioni di casi di diabete, ipertensione arteriosa, malattie cardiovascolari e tumori tra i cittadini europei; una stima che aumenta a 2-9 milioni se la riduzione è del 5 per cento. Stiamo parlando di una malattia che riguarda il 20 per cento dei maschi e il 23 per cento delle femmine in Europa, che causa 337 mila decessi ogni anno e costa 70 miliardi di euro; tale malattia, infine, potrebbe raggiungere entro il 2030 la drammatica soglia del 50 per cento della popolazione europea. Una malattia che, nel nostro Paese, riguarda oltre 5 milioni di adulti ai quali si aggiungono circa 800 mila bambini.”

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.