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Tiroide e Covid-19, ritardi nelle diagnosi e rischi clinici

  • Alessandro Visca
  • Sanità

La Settimana mondiale della tiroide (24 -30 maggio) quest’anno ha scelto come tema: “Tiroide e pandemia da Covid”. Come ricorda Luca Chiovato, presidente dell’Associazione Italiana della Tiroide (AIT) e responsabile scientifico dell’iniziativa:

Con la pandemia è ancora più importante mantenere in buona salute la tiroide rivolgendosi al proprio medico senza trascurare alcun campanello di allarme. Questa ghiandola svolge importanti funzioni per il nostro organismo come la regolazione del metabolismo, il controllo del ritmo cardiaco, la forza muscolare e il corretto funzionamento del sistema nervoso centrale e periferico. Per converso, la malattia da Covid-19 può alterare la funzione tiroidea creando ulteriori problemi diagnostici e terapeutici.”

Ecco il quadro delineato dagli esperti sugli effetti della pandemia nella gestione delle principali patologie tiroidee.

Morbo di Basedow: la terapia con cortisonici può vanificare l’effetto della vaccinazione

“Il morbo di Basedow si manifesta con un eccesso di ormoni tiroidei e il processo infiammatorio che ne è la causa può estendersi anche all’orbita causando il quadro clinico comunemente noto come ‘esoftalmo’  – spiega Francesco Frasca, rappresentante della European Thyroid Association, (ETA) – In questi casi bisogna fare molta attenzione anche alla vaccinazione anti Covid-19 perché la terapia tipica dell’orbitopatia Basedowiana, i cortisonici ad alte dosi per via endovenosa, può vanificare l’effetto del vaccino se questo è somministrato durante il ciclo terapeutico.”

Emma Bernini, presidente dell’Associazione Basedowiani e Tiroidei aggiunge:

Il paziente con orbitopatia di Basedow è un paziente molto fragile, spesso gravato da ritardi diagnostici e terapeutici a causa della complessità della sua malattia che richiede il supporto di un team medico multidisciplinare (endocrinologo, oculista, radiologo-radioterapista, chirurgo orbitario, chirurgo plastico). In questi pazienti, la maggior parte dei quali sono donne, il danno non è soltanto funzionale sino, nei casi più gravi, alla perdita della vista, ma anche estetico, a causa della sporgenza degli occhi e alla conseguente deformazioni dei tratti del volto. Ciò comporta una dolorosa perdita di identità che si aggiunge alle manifestazioni tipiche della malattia. Una volta controllato l’ipertiroidismo e il processo infiammatorio, la chirurgia “ricostruttiva” dello sguardo e del volto deve quindi essere considerata un irrinunciabile completamento della cura. È quindi auspicabile che il preannunciato potenziamento del servizio sanitario nazionale porti alla creazione di questi team multidisciplinari in sempre più ospedali. La pandemia ci ha infatti insegnato come siano difficili i viaggi della speranza nei pochi centri specializzati spesso presenti in regioni lontane”.

Tumori alla tiroide: necessari percorsi protetti per i pazienti con i tumori più aggressivi

“La pandemia da Covid-19 ha sollevato ulteriori quesiti in relazione al trattamento dei pazienti con patologia oncologica tiroidea, soprattutto nei casi di tumori più aggressivi o avanzati che richiedano farmaci di ultima generazione – afferma Franco Grimaldi, presidente Associazione Medici Endocrinologi (AME)  – e, al fine di ridurre il rischio di contagio nelle strutture ospedaliere, vengono raccomandati per questi pazienti percorsi di diagnosi e cura protetti. In particolare, nei pazienti con carcinoma tiroideo avanzato e in terapia con gli inibitori delle Tirosin-kinasi (TKI) bisogna considerare alcuni importanti aspetti: se questi vengono colpiti da malattia infettiva Covid-19 devono essere considerati pazienti fragili e con un maggior rischio di esiti negativi, compresa la possibilità che l’infezione possa aggravare ulteriormente gli effetti collaterali dei TKI. Questi pazienti inoltre richiedono un continuo monitoraggio clinico, biochimico e strumentale. Ai pazienti in trattamento attivo deve essere offerta la vaccinazione SARS-CoV2. Quando possibile, la somministrazione del vaccino deve essere eseguita prima dell’inizio della terapia oncologica”.

Tiroidite di Hashimoto: non aumenta il rischio per il Covid-19

“La tiroidite di Hashimoto, molto frequente soprattutto nelle donne, pur essendo di natura autoimmune, non è una malattia sistemica e non richiede per il suo trattamento farmaci immunosoppressori; quindi, non espone chi ne è affetto ad un più alto rischio di sviluppare una malattia grave da Covid-19 – precisa Francesco Giorgino, Presidente Società Italiana di Endocrinologia (SIE). – Fanno eccezione a questa regola i casi in cui la tiroidite di Hashimoto si associa a due malattie endocrine che più gravemente impegnano l’organismo e il cui trattamento è molto più complesso: il diabete mellito di tipo 1, cioè quello che solitamente colpisce i bambini, i ragazzi e i giovani adulti ed è insulino-dipendente, e la malattia di Addison, che compromette un asse endocrino critico per la sopravvivenza in caso di malattie gravi intercorrenti come quella da Covid-19. Questi pazienti sono considerati veramente fragili e, giustamente, hanno una priorità per la vaccinazione utilizzando le formulazioni a RNA che assicurano una maggiore protezione. Lo stesso dicasi per l’associazione con altre malattie autoimmuni sistemiche come il lupus. Quindi, la buona notizia è che, salvo i casi associati a patologie autoimmuni più gravi o sistemiche, non sussiste alcun valido motivo per ritenere fragili nei confronti della malattia da Covid-19 i pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto, anche quando questi siano in terapia con tiroxina per curare il loro ipotiroidismo”.

Patologie della tiroide in età pediatrica: importante garantire la continuità assistenziale

“Rassicuranti sono i dati, ad ora disponibili, sulla popolazione pediatrica affetta da tireopatia come ipotiroidismo congenito o acquisito e ipertiroidismo. Non emerge infatti un maggior rischio di contrarre l’infezione da Sars-Cov2, né che questi pazienti possano avere una prognosi peggiore in caso di infezione – afferma Maria Cristina Vigone, Segretario generale Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) – Però i pazienti con funzionalità tiroidea scompensata, soprattutto in caso di ipertiroidismo, pur non essendo più suscettibili all’infezione da Sars-Cov2, possono avere maggiori complicanze in caso di infezioni. Per questo motivo, in tutti i centri di endocrinologia pediatrica, è stato fatto un grande sforzo per garantire la continuità assistenziale con visite periodiche programmate e, nei casi in cui questo non è stato possibile, attivando modalità alternative come consulenze telefoniche, video-consulenze e servizi di telemedicina. Lo screening dell’ipotiroidismo congenito non ha subito interruzioni o ritardi, così come la cura dei neonati affetti da questa patologia”.

Sindrome del malato eutiroideo: prevalenza superiore al 50% negli anziani ricoverati

“La malattia da Covid-19 si è rivelata particolarmente aggressiva e con elevata mortalità nei pazienti anziani e soprattutto negli ultraottantenni – precisa Fabio Monzani, Rappresentante Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, SIGG – La polmonite da Covid-19 si associa ad un quadro di alterata risposta immunitaria che determina la liberazione massiva nel sangue di citochine infiammatorie, responsabili a loro volta di alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide con lo sviluppo della cosiddetta sindrome del malato eutiroideo o sindrome con bassa T3. Dati preliminari ottenuti da un registro nazionale elaborato sotto l’egida della SIGG documentano una prevalenza particolarmente elevata della sindrome del malato eutiroideo, superiore al 50 per cento nei pazienti anziani ricoverati. La comparsa di questo quadro, pur rappresentando una difesa dell’organismo in caso di malattie gravi, ha un valore prognostico negativo perché si associa ad una maggiore mortalità”.

La pandemia ha ridotto prevenzione, controlli e cure per i pazienti con patologie della tiroide

“L’attuale periodo pandemico ha ridotto il ricorso da parte dei pazienti ai programmi di prevenzione e ai controlli periodici sia per quanto riguarda le patologie tiroidee benigne sia, e questo è più preoccupante, per quelle maligne – spiega Celestino Pio Lombardi, presidente Società Italiana Unitaria di Endocrino Chirurgia, SIUEC – La paura di ‘andare in ospedale’ per visite ed esami ambulatoriali, il contingentamento degli appuntamenti e, in molti casi, la temporanea sospensione dei servizi ha causato sia ritardi diagnostici, sia l’allungamento dei tempi per effettuare interventi di tiroidectomia, spesso necessari. Il rischio, in caso di noduli tiroidei tumorali, è l’aumento di dimensioni che, non solo può peggiorare il successivo decorso, ma può rendere impossibile il ricorso alla chirurgia tiroidea mininvasiva e più conservativa, con conseguenze post-operatorie ed estetiche talvolta importanti. La nuova sfida è quindi ‘recuperare il tempo perduto’ intensificando l’attività dei centri di chirurgia endocrina”.

“Nel corso della pandemia si è verificata una riduzione di tutte le prestazioni di Medicina Nucleare – conferma Maria Cristina Marzola, consigliere Associazione Italiana di Medicina Nucleare, AIMN –  Il 19% circa di questa perdita riguarda prestazioni terapeutiche, nel 50% e più dei casi rappresentate dalla terapia con iodio radioattivo per il carcinoma della tiroide.”.

“Indubbiamente, le cure hanno subito un rallentamento a causa della pandemia da Covid-19 – ribadisce Anna Maria Biancifiori, Presidente Comitato delle Associazioni dei Pazienti Endocrini, CAPE – molti interventi chirurgici sono stati rimandati, la paura del virus ha dissuaso alcuni pazienti dal recarsi in ospedale per i normali controlli e anche per le terapie. Nel contempo, le liste di attesa si sono notevolmente allungate a causa del carico di lavoro delle strutture ospedaliere. L’attenzione a tutte le patologie, in particolare a quelle oncologiche, deve tornare al centro dell’agenda di Governo, dal momento che gli ultimi dati paventano il rischio che nei prossimi anni la mortalità dei pazienti colpiti da tumore aumenti del 20% circa in conseguenza della pandemia”.

La Settimana Mondiale della Tiroide 2021 è promossa dalle principali società scientifiche endocrinologiche, mediche e chirurgiche, quali l’Associazione Italiana della Tiroide (AIT), la Società Italiana di Endocrinologia (SIE), l’Associazione Medici Endocrinologi (AME), la Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), l’Associazione Italiana Medici Nucleari (AIMN), la Società Italiana Unitaria di Endocrino Chirurgia (SIUEC), la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), insieme al Comitato delle Associazioni dei Pazienti Endocrini (CAPE) e il supporto della European Thyroid Association-ETA ed è sostenuta con un contributo incondizionato da Ibsa Farmaceutici Italia, Merck Serono e Eisai.

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.