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Vitamina D e rischio cardiovascolare, nuovi dati su una possibile associazione

“Un deficit severo di vitamina D è relativamente raro, ma in questi casi è molto importante essere proattivi e prevenire effetti negativi sul cuore.” Con queste parole Elina Hyppönen, direttrice dell’Australian Centre for Precision Health dell’University of South Australia Cancer Research Center riassume il senso dei risultati di un nuovo studio su deficit di vitamina D e rischio cardiovascolare, da poco pubblicato sull’European Heart Journal.

Lo studio ha applicato a un ampio campione di popolazione il metodo della randomizzazione mendeliana (RM), un sistema basato su informazioni genetiche che è in grado di valutare, superando i fattori di confondimento, la rilevanza causale di un fattore di rischio. Con questo metodo è risultato che le persone con un deficit di vitamina D potrebbero avere un rischio più alto di malattia cardiovascolare e ipertensione rispetto a quelle con livelli sufficienti.

Un’analisi che parte dal profilo genetico

Hyppönen e colleghi hanno analizzato i dati della UK biobank selezionando 44.519 pazienti con patologie cardiovascolari (CVD) e 251.269 casi controllo. è stata fatta poi una valutazione dei livelli ematici di vitamina D con il dosaggio del 25-OH-D (25-idrossivitamina D). Una concentrazione sierica di 25(OH)D inferiore a 30 nmol/L indica un deficit di vitamina D, mentre una concentrazione tra 30-50 nmol/L corrisponde a bassi livelli di vitamina D e una concentrazione superiore a 50 nmol/L viene considerata sufficiente.

Per quanto riguarda la popolazione arruolata in questo studio, il 55% dei partecipanti aveva bassi livelli di vitamina D e il 13% aveva una grave carenza di vitamina D, con livelli inferiori a 25 nmol/L. Solo 107 partecipanti avevano concentrazioni superiori a 150 nmol/L.

Applicando la RM non lineare per studiare l’associazione della concentrazione sierica di 25(OH)D con il rischio di CV è emerso che i soggetti con livelli di 25(OH)D sierico inferiori a 25 nmol/L avevano una probabilità maggiore dell’11% di sviluppare una malattia cardiovascolare rispetto a quelli con livelli di 50 nmol/L. Ogni aumento di 10 nmol/L era associato a una probabilità inferiore dell’1,6% di sviluppare una malattia cardiovascolare (OR = 0,98, IC 95%  0,98-0,99).

I ricercatori hanno riportato risultati simili per la pressione sistolica e diastolica. Si stima che gli individui con 25 nmol/L di 25-OH-D abbiano una pressione sistolica mediamente più alta di 0,7 mm Hg (IC 95% 0,15–1,26) e una pressione diastolica più alta di 0,25 mm Hg (IC 95% da –0,02 a 0,51) rispetto agli individui con 50 nmol/L di 25(OH)D.

Gli autori concludono che questa metodologia di analisi (randomizzazione mendeliana non lineare) su un’ampia popolazione rivela un’associazione tra carenza di vitamina D e aumento del rischio cardiovascolare, con maggiore evidenza nei casi di gravi carenze e quindi:

L’impatto (burden) delle malattie cardiovascolari potrebbe essere ridotto mediante la correzione a livello di popolazione dello stato di carenza di vitamina D.”

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Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.