Allergie alimentari, i consigli degli allergologi ospedalieri
Gli italiani sono sempre più un popolo di allergici? Sembrerebbe così dai racconti aneddotici che circolano. Ora a fare chiarezza sulla questione arrivano le statistiche, recentemente diffuse dall’Associazione Allergologi Immunologi Italiani Territoriali e Ospedalieri (AAITO), che parlano di percentuali di soggetti allergici che arrivano al 5% nella popolazione adulta e del 6-10% in quella pediatrica. A farla da padrone tra gli adulti sono gli allergeni di origine vegetali, che rendono conto del 72% del totale. Frutti della famiglia delle Rosaceae, soia, arachide, grano, frutta a guscio, sesamo, sono solo alcuni esempi dei più diffusi. Non mancano ovviamente all’appello le allergie legate al consumo di cibi di derivazione animale, primi fra tutti i crostacei, e in seconda battuta pesci e carni. Ma bisogna fare i dovuti distinguo.
Riccardo Asero, Presidente di AAIITO, ha spiega:
“Le allergie alimentari rappresentano certamente un rilevante problema di salute pubblica, ma nell’immaginario collettivo la loro prevalenza è enormemente sopravvalutata. Sulla base dei risultati ottenuti da recenti studi multicentrici condotti nel nostro Paese dall’associazione, possiamo fare chiarezza su tre importanti allergie: ai crostacei, al pesce ed all’arachide. È importante gettare una luce questi argomenti spesso resi scarsamente comprensibili da informazioni provenienti da fonti non adeguatamente qualificate”.
Le allergie ai crostacei e al pesce spesso sopravvalutate
Nel caso dei crostacei, si tratta della seconda causa di allergia primaria in Italia, spesso legata alla sensibilizzazione agli acari della polvere. Da sottolineare che l’allergene incriminato è la tropomiosina in meno della metà dei soggetti allergici ai crostacei: ciò implica che esistono diversi altri allergeni significativi da considerare. Giorgio Celi, allergologo AAIITO afferente al ASST di Mantova, sottolinea:
Circa il 40% dei soggetti con allergia a crostacei manifesta sintomi anche con assunzione di molluschi come mitili, cefalopodi (polpo e seppia) e gasteropodi (lumache), quindi più della metà dei pazienti allergici ai crostacei può assumere tranquillamente molluschi e questi sono spesso pazienti non reattivi alla tropomiosina.”
Per quanto riguarda i pesci si tratta di percentuali di allergici inferiore rispetto ad altri alimenti di origine animale. Gaia Deleonardi allergologa AAIITO del Settore Allergologia e Autoimmunità LUM dell’AUSL di Bologna, precisa:
Le persone allergiche al pesce sono molto raramente sensibilizzate verso gli altri prodotti ittici come i crostacei e non tutti i pazienti devono evitare tutte le specie di pesce, in quanto esistono soggetti sensibilizzati solo a poche specie o monosensibilizzati ed è pertanto importante inquadrarli correttamente per evitare inutili diete di eliminazione. L’allergene più importante in questo caso è la parvalbumina che si trova nel muscolo, è resistente alla cottura e alla lavorazione delle carni, e può essere anche un aeroallergene durante la lavorazione e la cottura. Altri allergeni si trovano nel collagene (quindi nella gelatina di pesce), nel sangue e nelle uova.”
La terapia di desensibilizzazione può migliorare la qualità di vita dei pazienti
Per concludere la breve lista dei cibi più frequentemente chiamati in causa, occorre ricordare che l’allergia primaria all’arachide, legata alla sensibilizzazione a proteine di deposito, è rara nel nostro Paese. La maggior parte dei casi di sensibilizzazione riguarda infatti panallergeni come la Lipid Trasfer Protein (LTP), che può dare reazioni anche gravi, o panallergeni pollinici come Profilina o PR-10 a cui il paziente si sensibilizza attraverso i pollini e che spesso causano solo una sindrome orale allergica e solo con l’alimento consumato crudo.
Baoran Yang allergologa AAIITO presso il ASST Mantova, conclude:
La terapia delle allergie alimentari si basa sulla dieta di esclusione e sulla terapia d’emergenza con adrenalina autoiniettabile nei pazienti con reazioni gravi. Esiste la possibilità di prevenire reazioni gravi secondarie all’ingestione occasionale di tracce di allergene con la desensibilizzazione, ossia la somministrazione controllata di quantità crescenti di allergene: tale terapia è eseguita in centri specializzati e permette di migliorare la qualità di vita dei pazienti”.