Biosensori impiantabili. La nuova frontiera della diagnostica
Sensori impiantabili sottopelle che forniscono parametri clinici senza la necessità di prelievi e test di laboratorio. È la nuova frontiera della diagnostica in avanzata fase di sperimentazione.
Il nostro obiettivo è cambiare il paradigma della misurazione dei parametri nell’ambito clinico diagnostico. Solitamente le molecole di interesse clinico vengono individuate prelevando dei fluidi corporei (sangue, saliva, urina) che sono in seguito analizzati in laboratorio. Il nostro sensore può essere impiantato sottopelle e direttamente in loco può misurare i parametri che ci interessano.”
Lo afferma Giuseppe Barillaro, docente di Elettronica, dipartimento di Ingegneria dell’Informazione presso l’Università di Pisa, primo firmatario dello studio, (pubblicato su Advanced Science) realizzato in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia e Surflay Nanotec GmgH di Berlino. Spiega Barillaro:
i materiali di cui è composto il sensore sono biocompatibili, in modo che non si arrechi danno all’organismo. Inoltre, devono essere biodegradabili e bioriassorbibili in modo tale che non si debba rioperare per rimuovere il sensore. Il primo sensore bioriassorbibile che abbiamo sviluppato va a misurare il pH, ovvero la concentrazione di ioni idrogeno in un fluido, rilevando quindi il livello di acidità o basicità; questo parametro risulta essere molto importante, perché l’acidificazione dei tessuti è predittiva di diverse patologie come quelle oncologiche o cardiovascolari.
“Lo studio realizzato dal gruppo di ricerca è durato 3 anni – aggiunge Barillaro – oltre alle validazioni di laboratorio sono stati fatti test su animali e il sensore si è mostrato completamente biocompatibile e bioriassorbibile”.
Sensore chimico bioriassorbile nanostrutturato per il monitoraggio in vivo del pH
Biosensori per il monitoraggio di farmaci chemioterapici
La rivoluzione dei biosensori in campo clinico diagnostico è appena cominciata. Infatti, Resorb, un progetto Horizon Europe EIC PathFinder Open finanziato dalla Comunità Europea con 3 milioni di euro e iniziato ad aprile di quest’anno prevede l’utilizzo di sistemi di rilevamento chimico impiantabili, biocompatibili e bioriassorbibili, integrati per il monitoraggio di farmaci chemioterapici in vivo e in loco.
Questo permetterebbe di andare a misurare l’esatta concentrazione di doxorubicina, utilizzata prima o in seguito a rimozione di tumori al seno, al colon ed altri. Questo progetto vede coinvolte 5 università europee ed è sempre coordinato dal professor Barillaro che così lo descrive:
solitamente, di questo chemioterapico viene valutato l’assorbimento sui fluidi corporei estratti e quindi non c’è un dato preciso dell’assorbimento effettivo in situ. La nostra idea è sviluppare un sensore da impiantare nel momento in cui si va a rimuovere un tumore in modo da sapere esattamente quanto chemioterapico va ad agire nel sito specifico.
Un altro utilizzo vantaggioso che potrebbe avere un sensore bioriassorbibile, lo troviamo, ad esempio, nel post operatorio per il monitoraggio della sepsi. La probabilità di sopravvivenza del paziente colpito da sepsi sta anche nel valutare se l’infiammazione è di tipo virale o di tipo batterico. Quindi la possibilità di impiantare, in sede di intervento operatorio, un sensore che discrimini l’una o l’altra tipologia di sepsi, qualora si verificasse, permetterebbe al medico di somministrare la terapia giusta”.