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Covid-19 Espressione multisistemica di una malattia dell’endotelio?

  • Piera Parpaglioni
  • Medicina

Sempre più numerose sono le evidenze secondo cui negli stati più avanzati e complicati, il COVID-19 possa essere inquadrato come una malattia dell’endotelio. In queste pagine, ripercorriamo i risultati ottenuti e le prospettive che si possono delineare in ambito terapeutico

a cura della redazione (Piera Parpaglioni)


autofomazioneObiettivo formativo: Tematiche speciali del S.S.N. e/o S.S.R. a carattere urgente e/o straordinario individuate dalla Commissione nazionale per la formazione continua e dalle regioni/province autonome per far fronte a specifiche emergenze sanitarie con acquisizione di nozioni tecnico-professionali (codice 20, tabella A).
Tempo di lettura consigliato: 60 minuti
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Le evidenze raccolte dall’osservazione e dallo studio degli individui con COVID-19 supportano l’ipotesi che le cellule endoteliali contribuiscano in modo essenziale all’inizio e alla propagazione dell’infezione severa da virus SARS-CoV-2 e che il COVID-19, in particolare negli stadi più avanzati e complicati, rappresenti una malattia dell’endotelio (1-8). Un articolo su Trends in Cardiovascular Medicine afferma che i dati accumulati dalla ricerca di base, dall’imaging diagnostico e dalle osservazioni cliniche delineano un quadro del COVID-19 come malattia vascolare (9) e alcuni Autori su Journal of Thrombosis and Thrombolysis avanzano l’ipotesi che siamo di fronte a una vasculopatia multisistemica sotto le spoglie di una infezione virale respiratoria (10). Cresce il numero degli studi centrati sui meccanismi della malattia microvascolare e della trombosi micro- e macrovascolare nei casi severi e nelle complicanze del COVID-19 (11-13). In queste pagine proponiamo una breve rassegna di questi temi e delle prospettive aperte da strategie di trattamento mirate sulla disfunzione endoteliale.

 

L’interazione con il raas

L’endotelio costituisce l’interfaccia cruciale tra il compartimento sanguigno e i tessuti ed esercita una serie di funzioni che in condizioni normali mantengono l’omeostasi.

La Figura 1, che riprende lo schema proposto da Libby e Lüscher su European Heart Journal (8), ne riassume le funzioni in stato di riposo e di attivazione.

 

Com’è noto il virus SARS-CoV-2 usa l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2), elemento chiave del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS), per facilitare il suo ingresso nelle cellule. L’ACE2 è espresso in abbondanza sulle cellule endoteliali dei vasi arteriosi e venosi grandi e piccoli e su quelle di vari organi, in primis polmone, cuore e rene. L’angiotensina II, principale effettore del RAAS, esercita i suoi effetti dannosi sul sistema cardiovascolare legandosi ai recettori AT1, attraverso i quali attiva vie di vasocostrizione, di infiammazione e di fibrosi (Figura 2). È stato dimostrato che l’angiotensina II disturba le funzioni endoteliali in modi molteplici, che includono il reclutamento dei monociti, la formazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS), l’attivazione di vie pro-infiammatorie e la promozione della produzione di PAI-1 (inibitore dell’attivazione del plasminogeno-1) nelle cellule endoteliali. In condizioni fisiologiche, l’ACE2 esercita un ruolo contro-regolatorio nel RAAS convertendo l’angiotensina II in angiotensina 1-7 e agisce anche sull’angiotensina I convertendola in angiotensina 1-9. Entrambi questi peptidi di conversione hanno potenti proprietà antinfiammatorie, antiossidanti e antifibrotiche. Fin dai primi studi è stato riscontrato che il virus SARS-CoV-2 limita l’espressione di ACE2 sulla superficie cellulare, portando a una riduzione del ruolo protettivo di questo enzima nell’endotelio e in altri organi, e che pazienti con COVID-19 mostravano un livello marcatamente elevato di angiotensina II. Nell’insieme l’infezione da parte del virus risulta in una attivazione del RAAS con il suo profilo di funzioni lesive per l’endotelio (4, 7, 9).

 

Attivazione immunitaria, infiammazione e trombosi

Lo studio di Siddiqi et al. su Trends in Cardiovascular Medicine mette in rilievo queste tre vie chiave attraverso le quali l’infezione da SARS-CoV-2 sconvolge l’endotelio vascolare (9). L’attivazione del sistema immunitario riscontrata nei pazienti ospedalizzati per COVID-19 si accompagna con uno stato iper-infiammatorio che ha effetti deleteri. In presenza di mediatori dell’infiammazione circolanti come IL-1, IL-6, DAMP (pattern molecolari associati a danno cellulare) e PAMP (pattern molecolari associati a patogeni) le cellule endoteliali passano a uno stato attivato e promuovono l’infiammazione con vari meccanismi: inducono l’espressione di geni pro-infiammatori, attraggono le cellule immunitarie, promuovono il reclutamento delle cellule infiammatorie nei tessuti danneggiati o infetti, aumentano la permeabilità dell’endotelio e alterano il potenziale trombotico locale della superficie dell’intima. Nel caso di una risposta immunitaria regolata e auto-limitante, questi meccanismi aiutano a dominare l’insulto locale, con successiva guarigione e ritorno a uno stato di riposo. Al contrario, negli stati di intensa risposta immunitaria e di protrombosi come nel COVID-19, si innesca una tempesta citochinica che promuove la profonda disfunzione e il danno dell’endotelio a livello micro- e macrovascolare. La Figura 3 riprende lo schema proposto da Nägele et al. su Atherosclerosis per sintetizzare i meccanismi della disfunzione endoteliale (7). L’endotelio ha inoltre un ruolo essenziale nel mantenere una interazione dinamica tra fattori pro-coagulanti e fattori fibrinolitici. In stato di riposo costituisce una barriera tra lo strato subendoteliale protrombotico e i fattori procoagulanti presenti nel sangue. In stato di stress, le cellule endoteliali attivate aumentano l’espressione di PAI-1 (inibitore chiave della fibrinolisi endogena) e di fattore tissutale (potente procoagulante), rilasciano il fattore di von Willebrand (vWF) che promuove la crescita del trombo e riducono l’attività della trombomodulina e dell’attivatore del plasminogeno tissutale, favorendo l’accumulazione del trombo. Tutti insieme questi eventi portano a una malattia trombotica macro- e microvascolare diffusa. Studi clinici sui soggetti con COVID-19 mostrano che essi hanno livelli aumentati di fibrinogeno, di fibrina, di D-dimero, di vWf e di prodotti di degradazione e che l’aumento di questi marker si correla con la severità della malattia e con il rischio di trombosi (Tabella 1 e Tabella 2) (3).

 

Tabella 1 – Marker emergenti di outcome cardiovascolari sfavorevoli nel covid-19
BiomarkerMeccanismo implicatoOutcome clinico previsto

Peptide natriuretico tipo B

(NT-proBNP/BNP)

Rilasciato nella circolazione dai cardiomiociti in risposta a un sovraccarico di volume, a stress cardiaco e a stimolazione ormonaleStress e disfunzione del miocardio
CK-MBRilasciata dai cardiomiociti a seguito di un danno cardiaco o di una lesione del miocardioDanno del muscolo cardiaco
Proteina C-reattivaProdotta dal fegato in seguito alla stimolazione da parte di IL-6Infiammazione
D-dimeroProdotto di degradazione della fibrina, che si forma durante la risoluzione del coagulo attraverso la fibrinolisiInfiammazione e coagulazione
FerritinaRilasciata dal fegato come meccanismo protettivo che depriva di ferro i microbiAssociata con la mortalità ospedaliera
IL-6Citochina proinfiammatoria che aumenta immediatamente a causa di una infezione o di una lesione tissutaleInfiammazione, risposta immunitaria aumentata
Troponina I/TLe troponine sono proteine che si ancorano tra i filamenti di actina per facilitare la contrazione del muscolo cardiaco. Di norma presenti a bassi livelli nella circolazione, sono rilasciate in quantità quando si ha una lesione dei cardiomiocitiDanno dei cardiomiociti
Fattore di von WillebrandPrincipalmente rilasciato nella circolazione dalle cellule endoteliali, può riflettere il grado di attivazione o di lesione dell’endotelioInfiammazione e rischio di trombosi
Fonte: modificata da Gustafson D, Raju S, Wu R et al. Arterioscler Thromb Vasc Biol 2020; 40: 1818-29.

 

Tabella 2 – Manifestazioni cliniche di disfunzione endoteliale  e di trombosi microvascolare nel covid-19
Manifestazioni clinicheCaratteristiche cliniche associate
I. Trombosi microvascolare polmonareSegni e sintomi analoghi a quelli di embolia polmonare
II. Tromboembolismo venoso
• Embolia polmonareTachicardia, dispnea, sincope, dolore toracico, emottisi, febbre, vertigini, sudorazione
• Trombosi venosa profondaDolore, sudorazione, cute dell’estremità calda, arrossata o pallida
• Trombosi venosa cerebraleCefalea di nuova insorgenza o ipertensione intracranica isolata
III. Eventi arteriosi
• Patologia cerebrovascolareOcclusione delle arterie maggiori
Emorragia intracranica
Vasculite del SNC
• Patologia cardiovascolareTroponina elevata, sintomi di cardiomiopatia
• Ischemia acuta di un artoDolore, pallore, assenza dei polsi, parestesie, freddezza, paralisi
IV. Altre evenienze
• Malattia renaleCreatinina elevata, proteinuria
V. Complicanze neurologiche
• Eventi indiretti da risposta sistemicaEncefalopatia, cefalea, sintomi psicotici, crisi o stato epilettico di nuova insorgenza, miopatia
• Invasione diretta del sistema nervosoAnosmia/ageusia
Encefalite/meningoencefalite
• Postinfettive/immunomediateSindrome di Guillain-Barré, sindrome di Miller Fisher
Encefalopatia necrotizzante acuta
Encefalomielite disseminata acuta
Fonte: modificata da Gavrilaki E, Anyfanti P, Gavrilaki M et al. Curr Hypertens Rep 2020; 22: 63.

Esocitosi e malattia microvascolare

In un articolo su Circulation, Lowenstein e Solomon propongono che il COVID-19 severo sia una malattia microvascolare, nella quale l’infezione da SARS-CoV-2 attiva le cellule endoteliali e innesca l’esocitosi, una risposta vascolare rapida che attiva in modo simultaneo a livello microvascolare due vie parallele, l’infiammazione e la trombosi. In ultima analisi, questo porta alla iper-infiammazione e alla trombosi diffusa caratteristiche delle forme severe della malattia (11). L’esocitosi è una risposta secretoria rapida a un danno, nella quale diversi agonisti si legano ai recettori di superficie delle cellule endoteliali e innescano la fusione tra granuli intracellulari e membrana endoteliale, con il rilascio del contenuto dei granuli nella circolazione. Questi granuli contengono vWF (che media l’adesione e l’aggregazione piastrinica), P-selectina (che media l’adesione dei leucociti alla parete vasale) e altre citochine pro-infiammatorie. P-selectina e vWF interagiscono anche tra di loro per promuovere la trombosi. Infatti, dopo l’esocitosi, la P-selectina si trova sulla superficie esterna delle cellule endoteliali, dove interagisce con i lunghi polimeri formati dal vWF, ancorandone un capo alla superficie endoteliale. A questi lunghi fili di vWF si legano le piastrine.

La tempesta citochinica che si osserva nelle forme severe di COVID-19 è con probabilità causata da un circolo vizioso che si auto-amplifica, centrato sulle cellule endoteliali danneggiate. L’esocitosi dà inizio all’adesione dei leucociti e delle piastrine alla parete dei capillari, questo porta all’ostruzione dei microvasi e a un’infiammazione vascolare estesa, la quale a sua volta danneggia i tessuti che rilasciano citochine come IL-6, IL-1beta e TNF-alfa, a loro volta in grado di scatenare l’esocitosi, in un ciclo continuo di lesione vascolare e di infiammazione tissutale.

Gli inibitori dell’esocitosi endoteliale possono rappresentare un approccio terapeutico innovativo alla vasculopatia da COVID-19. L’inibizione della P-selectina potrebbe bloccare parte di questa cascata, e in particolare l’adesione dei leucociti e delle piastrine alla parete vasale. Si studiano composti che hanno come bersaglio l’interazione della P-selectina con il suo ligando PSGL-1 e sono stati sviluppati anticorpi monoclonali contro la P-selectina, come inclacumab e crizanlizumab. Quest’ultimo è oggi approvato per prevenire le crisi vaso-occlusive nella sickle cell disease (drepanocitosi), che ha in comune vari meccanismi patofisiologici con la vasculopatia del COVID-19. Il trial CRITICAL è in corso per valutare se crizanlizumab possa ridurre i mediatori della trombosi e dell’infiammazione nei pazienti con COVID-19 moderato. Anche composti che hanno come bersaglio il vWF o i suoi recettori potrebbero diminuire il rischio di trombosi. Agenti come abciximab o eptifibatide bloccano uno di questi recettori del vWF sulle piastrine (11).

La disfunzione endoteliale come target terapeutico

Per contrastare lo squilibrio negativo tra proprietà trombotiche e fibrinolitiche dell’endotelio, numerose terapie anticoagulanti e antiaggreganti sono allo studio in trial clinici in corso o pianificati. La questione a cui dare risposta è quale agente è indicato, per chi e in quali dosi, poiché la finestra terapeutica di questi farmaci è stretta e le comorbilità innalzano il rischio di sanguinamento in molti pazienti COVID-19 (8, 9).

Sul fronte delle terapie antinfiammatorie, l’inibizione mirata delle citochine, principali effettori dell’attivazione endoteliale, rappresenta un approccio più specifico rispetto agli antinfiammatori generalizzati come i glucocorticoidi e la colchicina. Gli agenti che inibiscono la via dell’inflammasoma IL-1beta–IL-6 hanno finora mostrato segni di efficacia in alcuni, ma non in tutti i trial clinici. Studi piccoli, non randomizzati con anakinra, che è in grado di bloccare IL-1alfa e IL-1beta, hanno fornito risultati sufficienti a incoraggiare un’investigazione più approfondita. Alcuni trial clinici sono in corso con canakinumab, un anticorpo selettivo per IL-1beta. Anticorpi che interferiscono con le vie di segnale di IL-6 hanno mostrato qualche beneficio in alcuni, ma non in tutti gli studi preliminari, sebbene questa e altre terapie anti-citochiniche possano implicare un aumentato rischio di superinfezioni. Il ruolo cruciale dei mediatori proinfiammatori nei meccanismi di difesa rende necessari trial controllati e prospettici per valutare il bilancio tra i benefici potenziali e il rischio di abbassare le difese verso le infezioni batteriche (8). Numerosi studi hanno dimostrato che gli inibitori del RAAS migliorano la disfunzione endoteliale. Tuttavia l’uso di questi farmaci nel COVID-19 è controverso, poiché sia ACE inibitori sia ARB determinano una sovra-espressione dell’ACE2 sulla superficie cellulare che può (in teoria) accrescere la suscettibilità all’infezione. I dati più recenti hanno rassicurato sul fatto che non vi è un rischio aumentato di infezione da SARS-CoV-2 o di progressione verso la malattia severa per chi assume questi farmaci. Secondo il parere espresso da molte società scientifiche, i soggetti già in terapia con ACEi o con ARB per malattie cardiovascolari presistenti dovrebbero continuare il regime di trattamento anche nell’eventualità di una infezione da SARS-CoV-2, perlomeno in assenza di controindicazioni acute come danno renale severo, iperkaliemia significativa o ipotensione sintomatica (7-9). Rimane da dimostrare se l’impiego di questi farmaci nel COVID-19 possa dare benefici.

Per quanto riguarda le statine, è ampiamente dimostrato che migliorano la funzione endoteliale nei soggetti con o a rischio per malattia cardiovascolare.

Un piccolo studio osservazionale ha riportato una maggiore probabilità di avere una infezione da SARS-CoV-2 priva di sintomi in chi assume questi farmaci rispetto a chi non li usa. In uno studio retrospettivo di coorte in Cina, l’uso di statine era associato con una mortalità più bassa per COVID-19 rispetto al non uso.

Fino a che non saranno disponibili dati più consistenti, sembra prudente continuare le statine nei pazienti COVID-19 che già le assumevano prima dell’infezione e iniziare la terapia in tutti i pazienti che soddisfano i criteri delle linee guida cardiovascolari circa il loro uso (7-9).

Conclusioni

L’endotelio ha un ruolo cruciale nel mantenere e regolare l’omeostasi vascolare e la coagulazione del sangue.

La disfunzione endoteliale è un denominatore comune delle comorbilità che aumentano il rischio di sviluppare forme severe di COVID-19, quali ipertensione, obesità, diabete, malattia coronarica e scompenso cardiaco.

L’aggravamento della disfunzione endoteliale nell’infezione da SARS-CoV-2 può innescare uno stato procoagulatorio e portare a eventi trombotici macro-e microvascolari. Terapie che prevengono e migliorano la disfunzione endoteliale potrebbero migliorare gli outcome del COVID-19. Vari trial clinici sono in corso per esplorare queste strategie terapeutiche.

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Piera Parpaglioni

Medico, divulgatore scientifico.