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Covid-19 grave, dopo l’infezione aumentano i rischi per il cuore

“Nei soggetti colpiti dal Covid si è riscontrato un aumento del 20-25% di tutte le malattie cardiovascolari, come aritmie, infiammazioni di miocardio e pericardio, cardiopatia ischemica, ictus cerebrale, malattie a carattere trombo-embolico.” Lo afferma il professor Massimo Volpe, presidente della Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare, che aggiunge:

Questo dato è stato riassunto molto bene in un articolo pubblicato recentemente su Nature Medicine con dati molto solidi ottenuti negli Stati Uniti: l’evidenza emerge sia su una popolazione coeva senza infezione da Covid, che in rapporto a una popolazione del 2017 analoga per caratteristiche. Questo aumento riconducibile al Covid è trasversale ed è destinato a differenziare sia chi ha avuto il Covid da chi non lo ha avuto che questa epoca da quella precedente”.

Lo studio sugli esiti cardiovascolari a lungo termine del Covid-19

Lo studio a cui fa riferimento il professor Volpe ha utilizzato i database del Department of Veterans Affairs degli Stati Uniti per creare una coorte di 153.760 veterani a 30 giorni dalla diagnosi di COVID-19, nonché due gruppi di controllo: una coorte coeva di circa 5,6 milioni di pazienti senza diagnosi di Covid-19 e una coorte storica di circa 5,9 milioni di pazienti nel 2017.

Le diverse coorti sono state seguite nel tempo per stimare i rischi (hazard ratio) e il peso (ossia i casi in eccesso per 1.000 persone) di esiti cardiovascolari. Le malattie considerate includevano disturbi cerebrovascolari, aritmie, insufficienza cardiaca, cardiopatia ischemica, cardiopatia infiammatoria e disturbi trombotici. I pazienti Covid-19 sono stati stratificati in non ospedalizzati, ricoverati in ospedale e sottoposti a terapia intensiva.

Il rischio e il peso di tutti i disturbi cardiovascolari studiati è aumentato nei soggetti con la diagnosi di COVID-19, rispetto alle due coorti di controllo. Di tutte le diagnosi cardiovascolari studiate, i carichi di fibrillazione atriale e scompenso cardiaco erano maggiori rispetto ai controlli.

I pazienti Covid erano a più alto rischio di diagnosi di cardiopatia ischemica. In generale l’Hazard Risk per qualsiasi esito cardiovascolare era 1,63. I rischi di tutti i disturbi cardiovascolari aumentavano con la gravità della malattia acuta da Covid:  con i pazienti reduci dalla terapia intensiva presentavano un rischio particolarmente elevato di successiva fibrillazione atriale (HR 7,69 vs 1,32 per i pazienti non ospedalizzati) e scompenso cardiaco (HR 6,05 vs. 1,37 per i pazienti non ospedalizzati).

Gli autori concludono:

Il Covid-19 è associato a un aumento del rischio e del carico di popolazione di malattie cardiovascolari incidenti nei 12 mesi successivi, con le nuove diagnosi di FA e SC più comuni. L’aumento della gravità dell’infezione acuta conferisce un rischio maggiore di successive condizioni cardiovascolari.”

I cardini della prevenzione secondo la SIPREC

Secondo Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare ci sono tre priorità emergenti da cui è necessario ripartire. “Anzitutto – evidenzia il professor Volpe – si deve attribuire maggiore importanza a sovrappeso e obesità nella determinazione delle malattie cardiovascolari, fattori di rischio finora sottovalutati. Un secondo elemento è l’aderenza, non solo alle terapie, ma anche allo stile di vita: se non si convincono le persone che è necessario mantenere un’alimentazione corretta e varia, non fumare, fare attività fisica, si rischiano grandi danni. Il terzo punto è quello delle vaccinazioni, finora mai sufficientemente considerate come interventi di prevenzione cardiovascolare: tuttavia, sia quella antinfluenzale che quella contro il Covid si sono rivelate importanti per ridurre l’impatto su affezioni del cuore e dei vasi a carattere trombotico, tromboembolico o infiammatorio.”

 

 

 

 

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.