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Depressione, impatto epidemiologico della “malattia del secolo”

È la prima causa di disabilità a livello globale, con circa 300 milioni di persone nel mondo che nesoffrono. I numeri della depressione sono impressionanti, ancor più se si pensa che i dati potrebbero essere sottostimati, e soprattutto che a seguito della pandemia da COVID-19 si è registrato un trend in netto aumento, le cui conseguenze e il cui impatto a livello di certe fasce della popolazione stanno a poco a poco affiorando, delineandosi come un’emergenza nell’emergenza.

a cura della redazione (Folco Claudi)

Una sensazione di angoscia persistente, accompagnata dalla perdita di interesse per qualsiasi attività, anche quelle che di solito danno piacere, e da difficoltà nello svolgere le azioni quotidiane. In più, alterazioni del peso e dell’appetito, del sonno, agitazione o rallentamento e faticabilità. O ancora difficoltà nelle relazioni interpersonali, e percezione di sé stessi come di persone inadeguate e senza valore, immerse in un ambiente tendenzialmente ostile, con un futuro incerto e irto di ostacoli. È così che possono definirsi i sintomi depressivi. Per poter parlare di un franco disturbo psichiatrico, occorre tuttavia che questi sintomi perdurino per almeno due settimane. Si segnala inoltre una notevole comorbilità con i disturbi d’ansia, che può portare a una ingravescenza del disturbo dell’umore e a una sua cronicizzazione, con il rischio di comportamenti anticonservativi fino all’ideazione suicidaria.

Importante anche definire il quadro dei fattori eziopatogenetici della depressione. Gli studi condotti negli ultimi decenni hanno delineato un quadro multifattoriale. In primo luogo esiste una base di predisposizione genetica, come testimoniato dall’anamnesi familiare positiva che si riscontra in molti soggetti con disturbo depressivo. Su di essa s’innestano una miriade di fattori ambientali, biologici, personologici, da stress, da malattie organiche e da farmaci.

Per quanto riguarda l’interazione con l’ambiente, in molti casi un episodio depressivo è innescato da un lutto, una separazione o un evento drammatico come la perdita del lavoro. Lo stesso si può dire per molte patologie, specie se croniche o invalidanti, mentre alcuni tratti di personalità come la scarsa stima di sé, la tendenza al pessimismo e alle preoccupazioni, giocano un ruolo predisponente, perché si associano a una labilità emotiva e a una minore capacità di adattamento allo stress.

Le manifestazioni depressive, infine, possono essere associate a specifiche terapie farmacologiche o ad abuso di sostanze e/o di alcol. Complessivamente, va ricordato che spesso è difficile stabilire un unico fattore scatenante per il disturbo depressivo, da ricondurre nella maggior parte dei casi a più concause. In molti casi, infine, un episodio depressivo può insorgere senza che si rintracci un’evidente causa diretta.

La depressione in numeri

Circa 300 milioni di persone colpite nel mondo, con una prevalenza che può arrivare a una persona su cinque nella popolazione generale e proiezioni che ne fanno la prima causa di disabilità a livello globale: questi pochi dati riguardanti la depressione sono sufficienti a spiegare perché l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) parla di questo disturbo psichico come della “malattia del secolo”.

Altre stime servono a inquadrare meglio il fenomeno. Sempre l’OMS parla di un rischio di sviluppare un episodio depressivo nell’arco della vita di circa il 15% e valuta inoltre che, su circa un milione di suicidi registrati annualmente a livello globale, circa il 60% trovi origine proprio in un disturbo depressivo. Se poi si guarda alla situazione geograficamente più vicina a noi, si vede che in Europa vivono circa 35 milioni di cittadini che soffrono di depressione, in ogni fascia di età. Più in particolare, la fotografia della situazione italiana mostra una prevalenza di circa il 5,5% sulla popolazione generale, una percentuale che equivale a circa 3,5 milioni di soggetti affetti, secondo le cifre rilevate dall’ISTAT e riportate dal rapporto “Depressione: sfida del secolo” pubblicato nel 2019 dalla Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere [1]. Non bisogna poi dimenticare l’ampio sommerso: si stima infatti che le diagnosi di depressione riguardino meno della metà dei casi reali e che solo un terzo circa dei pazienti riceva cure adeguate.

Un disturbo per tutte le età

La depressione influenza negativamente il periodo più florido e produttivo delle persone, con un impatto significativo sul piano sociale, familiare e spesso anche professionale. Le stime epidemiologiche mostrano infatti che l’insorgenza del disturbo,nella maggior parte dei casi si situa temporalmente nella seconda e nella terza decade di vita, con un picco in quella successiva, anche se l’esordio può avvenire a qualsiasi età.

Un dato particolarmente rilevante si è manifestato negli ultimi decenni: l’aumento d’incidenza nelle giovani generazioni. A favorirlo, sono probabilmente altri fenomeni dilaganti tra i giovani, quali l’abuso di alcol e di stupefacenti, le diete scorrette e la scarsa igiene del sonno, accompagnate da una struttura familiare, sociale e occupazionale sempre più disgregata.

A questo proposito, sono di grande interesse le statistiche su come evolve il disturbo depressivo con l’avanzare dell’età. Secondo i dati PASSI e PASSI d’Argento 2016-2019 [2] a riferire sintomi depressivi tra i diciottenni sono il 7% delle ragazze e il 4% dei ragazzi, valori che diventano il 17% e il 9%, rispettivamente, tra gli over 65.

Le differenze di età si riflettono in modo significativo, come si può ben comprendere, anche sulla qualità della vita. Nel caso degli adulti, i giorni trascorsi in cattiva salute nel mese precedente l’intervista sono circa 8 tra i soggetti con depressione e uno tra quelli che non soffrono del disturbo. Il confronto tra i due gruppi di età in termini di giorni con reali limitazioni delle attività quotidiane si risolve in sei giorni contro uno solo. Se però si guarda al campione di ultrasessantacinquenni, i giorni al mese in cattivo stato fisico arrivano a 15 giorni al mese in soggetti colpiti da depressione contro due giorni in soggetti non colpiti, e a 12 giorni contro meno di uno, in media, per quanto concerne le limitazioni delle attività abituali. Nel caso poi di una patologia cronica, la frequenza di sintomi depressivi arriva a triplicare, sia tra gli adulti sia tra gli anziani. Non sono da trascurare infine i fattori socioeconomici: la prevalenza della depressione aumenta in soggetti con bassa istruzione e basso reddito.

Una malattia al femminile

Se si guardano le stime epidemiologiche in dettaglio, il primo dato che colpisce riguarda certamente le differenze di genere: in tutte le fasce di età, tra le donne la prevalenza è doppia rispetto a quella degli uomini, e la depressione è spesso accompagnata da altri sintomi psichici quali ansia, disturbi del sonno e del comportamento alimentare.

Anche in questo caso, è difficile se non impossibile trovare un’unica origine della maggiore incidenza del disturbo. Contano sicuramente i fattori genetici, come confermato da alcuni studi, e i fattori ormonali, considerato che spesso i disturbi depressivi si presentano in concomitanza con la pubertà, la gravidanza e il puerperio, il climaterio e la menopausa.

Altrettanto rilevanti sono inoltre i fattori emotivi e psichici: alle donne viene generalmente riconosciuta una maggiore empatia nei confronti degli altri e una maggiore capacità di coinvolgimento affettivo nelle relazioni sociali e affettive. Ciò comporta inevitabilmente un maggior rischio di episodi di depressione. Non bisogna poi dimenticare il ruolo sociale complesso delle donne, sempre più coinvolte in attività professionali impegnative e di responsabilità, che devono conciliare con la maternità e con la cura della famiglia, in cui sono compresi spesso anche genitori anziani e non autosufficienti. In tali situazioni, lo stress psico-emotivo, associato a fattori di rinforzo positivo come le cattive abitudini alimentari e la scarsa igiene del sonno, può giocare un ruolo importante nell’insorgenza della depressione. Da segnalare inoltre, che il maggior rischio di andare incontro a una depressione nel pubblico femminile rispetto a quello maschile si associa anche a un maggior numero di sintomi e a una più lunga durata degli episodi di deflessione dell’umore. Non vengono invece segnalate differenze di genere significative per quanto riguarda la tendenza a più frequenti recidive. 

La depressione ai tempi della pandemia

Considerate le dimensioni del problema della depressione nel nostro Paese, si può ben comprendere quanto sia stato grave l’impatto della pandemia di COVID-19 sulla salute mentale degli italiani. Uno studio [3] condotto nel 2020 da Bernardo Carpiniello dell’Università di Cagliari e colleghi del Comitato esecutivo della Società Italiana di Psichiatria ha indagato, mediante due questionari online inviati ai direttori di tutti i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) italiani, l’assistenza psichiatrica offerta durante l’emergenza presso i Centri di salute mentale comunitari e i reparti psichiatrici ospedalieri, rispettivamente. Dall’analisi è emerso che meno del 20% dei centri di salute mentale era chiuso e circa il 25% aveva introdotto orari di accesso ristretti. Gli stessi centri hanno riferito di aver cambiato in modo sostanziale la propria modalità standard di erogazione dei servizi: sono rimasti invariati solo gli interventi psichiatrici urgenti, i trattamenti obbligatori e le consultazioni per i detenuti, mentre tutte le altre attività erano state ridotte, in qualche misura. Il teleconsulto è entrato di prepotenza tra le modalità assistenziali più utilizzate: dai dati raccolti emerge infatti che il 75% dei contatti è avvenuto a distanza.

La situazione degli utenti dei centri di salute mentale è risultata ulteriormente aggravata, in più della metà dei casi dalla positività al COVID. Circa un quinto di queste strutture, inoltre, ha riferito un aumento dei casi di aggressività o violenza tra i pazienti della comunità, anche se solo l’8,6% riguardava casi gravi.

Per quanto riguarda i reparti psichiatrici ospedalieri, si è registrata una diminuzione sia dei reparti stessi (-12%) sia dei letti (circa -30%) sia infine dei ricoveri (nell’87% dei reparti). Nell’8% dei reparti, inoltre, è stato riscontrato un aumento dei ricoveri coatti, così come del tasso di violenza degli utenti verso sé stessi o gli altri ricoverati.

Secondo le conclusioni degli autori, la pandemia di COVID-19 ha quindi determinato una drastica riduzione dei livelli di assistenza, che potrebbe essere ricaduta sulla salute mentale della popolazione, considerando la difficile situazione economica di molti e della seconda ondata della pandemia.

Un altro studio [4], pubblicato sempre dalla Società Italiana di Psichiatria nel 2021, quando la situazione dell’assistenza nel periodo pandemico è risultata ancora più a fuoco, ha messo a confronto i consulti psichiatrici di nove unità di pronto soccorso di ospedali italiani del periodo di lockdown e del post-lockdown del 2020 con quelli degli stessi periodi del 2019. In questo caso, è stata riscontrata una diminuzione del 37,5% nel numero di consulti durante il periodo di isolamento e del 17,9% dopo l’isolamento. Il numero di singoli pazienti visitati è diminuito del 34,9% durante il lockdown e dell’11,2% dopo di esso.

La percentuale di soggetti con precedenti ospedalizzazioni psichiatriche è risultata più alta durante il periodo di isolamento (61,1 vs 56,3%) e più bassa dopo l’isolamento (59,7 vs 64,7%), sempre rispetto al 2019.

Entrando più nello specifico dei problemi all’origine dei consulti psichiatrici, durante il lockdown si è registrato un lieve calo (-3,4%) di quelli dovuti a ideazione e pianificazione suicidaria, seguiti da un rimbalzo verso l’alto dopo il lockdown, insieme a un aumento dei consulti per tentativi di suicidio. Durante il lockdown, inoltre, le prescrizioni di antipsicotici e benzodiazepine sono aumentate del 5,2% e del 4,1% rispettivamente. Dopo il lockdown, il numero di ricoveri obbligatori è stato superiore a quello del 2019.

Da citare infine i dati relativi alla percezione dei pazienti. Come riportato in una lettera al Journal of Affective Disorders [5] da Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia e da Virginio Salvi dell’ASST Fatebenefratelli Sacco di Milano, un campione di più di 2.700 soggetti ha riferito elevati sintomi depressivi nel 32% dei casi e sintomi ansiosi nel 19% dei casi: si tratta di numeri decisamente più elevati rispetto a percentuali di prevalenza intorno al 6% registrate in una survey relativa agli anni 2015-2018.

Bibliografia

  1. Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, “Depressione: sfida del secolo”, 2019.
  2. epicentro.iss.it/passi-argento.
  3. Carpiniello B, Tusconi M, Zanalda E et al. Psychiatry during the Covid-19 pandemic: a survey on mental health departments in Italy. BMC Psychiatry. 2020; 20(1):593.
  4. Balestrieri M, Rucci P, Amendola D et al . Emergency Psychiatric Consultations During and After the COVID-19 Lockdown in Mencacci C, Salvi V. Expected effects of COVID-19 outbreak on depression incidence in Italy. J Affect Disord. 2021; 278:66-67.
Folco Claudi
Folco Claudi

Giornalista medico scientifico