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diabete medico

Diabete, raddoppiati in vent’anni gli italiani con la malattia

  • Silvia Pogliaghi
  • Sanità

Dal 2000 al 2020 in Italia sono raddoppiate le persone con diabete. È il quadro offerto dalla 15° edizione dell’Italian Diabetes Barometer, realizzato da Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation, in collaborazione con Istat e con il contributo di CORESEARCH e BHAVE. Si annullano le differenze di genere attestando una prevalenza intorno al 5,9% della popolazione sia per le donne sia per gli uomini, ma le donne rinunciano più spesso alle prestazioni sanitarie in presenza di diabete e di altre patologie croniche, ovvero il 22,7 % contro il 17,2 % di uomini.

A cura di Silvia Pogliaghi

Il diabete fa parte delle patologie croniche non trasmissibili, che hanno un impatto elevato sul sistema sanitario. Un impatto che, se non efficacemente contrastato, negli anni futuri è destinato a crescere. Si tratta di una sfida globale, recepita anche dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, che, nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, ha fissato, nel target 3.4, l’obiettivo di ridurre di un terzo la mortalità prematura riconducibile alle malattie non trasmissibili, tra le quali è compreso il diabete.

L’Italian Diabetes Barometer è un punto di riferimento fondamentale per conoscere il diabete nel nostro paese, a partire dall’epidemiologia, alle implicazioni sociali, economiche e cliniche. Una grande ricchezza di informazioni e spunti per l’agenda futura, al servizio della ricerca e della sanità pubblica.

La crisi pandemica ha avuto riflessi particolarmente pesanti per i soggetti diabetici, con un decorso dell’infezione da Covid-19 spesso più complesso, con un aumentato rischio di ospedalizzazione, di ricorso a tera­pie intensive e un severo rischio di letalità.

In Italia, si stima che oltre 3,5 milioni di persone nel 2020 hanno dichiarato di essere affette da diabete, pari al 5,9% dell’intera popolazione. La distribuzione per età presenta un andamento crescente: varia dallo 0,8% tra le persone fino ai 44 anni al 21,9% tra gli ultra85enni; nel 68% dei casi i soggetti diabetici sono persone anziane. Tuttavia, come evidenzia buona parte della letteratura, il dato stimato potrebbe escludere una parte della popola­zione che, non avendo consapevo­lezza di essere affetto dalla patologia o anche scoprendola con ritardo, non la riporta in modo tempestivo tra le patologie autoriferite, cau­sando quindi una sottostima che può raggiungere secondo alcuni anche un 20%.

In 20 anni le persone con diabete sono quasi raddoppiate (nel 2000 erano 2milioni150mila). Negli ultimi 10 anni il tasso grezzo calcolato sul­l’intera popolazione risulta aumen­tato di poco più del 20% (era 4,9% nel 2010), ossia in misura minore del progressivo invecchiamento della po­polazione registrato nell’ultimo de­cennio (l’indice di vecchiaia è passato infatti da 144,4 individui over 65 ogni 100 giovani fino a 15 anni nel 2010 a 179,4 nel 2020).

Il diabete è sempre stata una patologia più diffusa tra gli uomini, invece nel 2020 almeno rispetto al totale popo­lazione, e confrontando i tassi grezzi, le differenze di ge­nere, in 10 anni sembrano essersi annullate, convergendo allo stesso valore pari a 5,9%. (Fig.1)

Tenendo conto invece della maggiore longevità delle donne, e depurando questo tasso dal fattore età, viene restituito il noto divario che vede svantaggiato il genere maschile: il tasso standardiz­zato per età è pari a 5,5% tra gli uomini e 4,7% tra le donne. L’andamento nel tempo dei tassi standardizzati per età distinti per sesso attesta che le differenze di ge­nere si sono via via ampliate dopo il 2010.

Cosa possono fare i MMG

Gerardo Medea, Medico di Medicina Generale, Brescia, Responsabile dell’Area Metabolica della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie SIMG commenta a proposito del milione di persone con DM2 che non hanno una diagnosi ancora accertata della malattia

Questo numero di persone con diagnosi misconosciuta di DM2 deriva da stime basate su studi epidemiologici locali proiettate a livello nazionale per cui si presume che per ogni 3 persone con diabete, una non sia diagnosticata. Questo purtroppo è anche dovuto al fatto che il diabete di tipo 2 è una patologia che per lunghi periodi può decorrere in modo silente cioè senza nessun sintomo.  Tuttavia, disponiamo di un metodo molto efficace per ridurre questo rischio: lo screening della malattia che è nei compiti proprio del MMG.

“In pratica, spiega Medea, si tratta di prescrivere periodicamente (ogni uno/tre anni) alcuni semplici e poco costosi esami di laboratorio in talune categorie di soggetti più a rischio per la malattia. Lo screening può essere attuato con metodo opportunistico vale a dire intervenendo nel momento in cui i pazienti target si presentano nello studio del proprio medico di famiglia anche per altri motivi.   Le linee guida inoltre indicano in modo molto preciso quali sono i gruppi più a rischio per questa patologia, non solo per età, ma anche per patologie specifiche come le malattie cardio vascolari, l’obesità, l’ipertensione ed altre. Se queste procedure di screening fossero attuate in modo sistematico e capillare si azzererebbe nel giro di pochi anni quel milione di pazienti con diagnosi misconosciuta di DM2 e si eviterebbe la comparsa di molte complicanze proprio a causa della diagnosi ritardata.  Per consentire e facilitare l’attuazione di queste procedure di screening che interessano un gran numero di pazienti (anche 600-700 per ogni MMG) è prioritario un potenziamento dell’organizzazione all’interno degli studi di MG. Attualmente molto debole (ad eccezione di alcuni esempi virtuosi) a causa della scarsità di risorse ad essa destinate.

Le case della comunità sono sicuramente un’opportunità da questo punto di vista, poiché auspicabilmente, si potranno coinvolgere gli infermieri di famiglia, non solo nella gestione e follow-up delle patologie croniche, ma anche nelle diverse procedure di educazione sanitaria e di screening, incluso quelle per il DM2, in modo proattivo e non solo opportunistico. Purtroppo ad oggi, non c’è ancora un’idea chiara di quali saranno all’interno delle case della comunità i compiti che le diverse figure professionali dovranno svolgere.

La nostra società scientifica è pronta e disponibile a discutere di tutti questi aspetti e contribuire alla nascita di una Medicina Generale moderna, ben organizzata e con alti standard qualitativi”.

Le nuove tecnologie possono aiutare

Agostino Consoli, Professore Ordinario di Endocrinologia dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti Pescara, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università ‘G. d’Annunzio’ di Chieti e responsabile della Uoc Territoriale di Endocrinologia e Malattie Metaboliche della Ausl di Pescara e Presidente pro tempore della Società Italiana di Diabetologia illustra il processo di screening per la retinopatia diabetica.

La tecnologia permette di effettuare la foto del fondo dell’occhio (retinografia) presso il Servizio di Diabetologia, con invio telematico delle immagini all’oculista (che può quindi esaminarle sul suo computer nel suo studio) e la possibilità per l’oculista di redigere il referto direttamente sulla cartella elettronica diabetologica del paziente. Se l’oculista rileva un problema che richiede ulteriori approfondimenti o cure specifiche, il paziente viene avviato in un percorso preferenziale semplificato per accedere ad una visita oculistica specialistica. Stiamo anche studiando la possibilità che la lettura della retinografia di screening effettuata presso il Servizio di Diabetologia venga effettuata non dall’oculista, ma da programmi di intelligenza artificiale, con notevole risparmio di tempo uomo.

Esistono diversi programmi di IA già certificati (2) e in un futuro molto prossimo, quando l’accuratezza sarà dimostrata assolutamente affidabile, lo screening potrebbe essere fatto con questa tecnologia. In ogni caso, il processo di screening della retinopatia attraverso retinografia e refertazione da remoto   è oggetto di un pdta implementato dalla nostra ASL di Pescara e che stiamo esportando a livello regionale, nelle provincie di Chieti, Teramo e l’Aquila, Come Società Italiana di Diabetologa stiamo lavorando perché possa diventare e un pdta nazionale. Il vantaggio in termini di risparmio di tempo e di risorse sarebbe enorme, perché la persona con diabete potrebbe fare, come accade presso la nostra Unità Operativa, il ‘fondo dell’occhio’ nel momento in cui si reca in Diabetologia per la visita”.

La percezione del diabete da parte dei pazienti

Dal campione analizzato da Bhave di 600 pazienti con diabete, sia di tipo 1 sia di tipo 2, per il 52% uomini e il 48% donne, omogenei per zone dell’Italia, emerge chiaro, che nonostante i pazienti dichiarino palesemente che il medico di riferimento sia il Diabetologo e l’Endocrinologo, i pazienti con diabete di tipo 2 senza complicanze e con buon compenso metabolico si sentono gestiti del tutto o quasi del tutto dal MMG (Fig. 2).

Inoltre, dai dati recenti del survey riferiti al primo trimestre 2022, risulta ancora molto sentita la percezione del rischio, infatti il 15% degli intervistati aveva visite mediche programmate o necessità di visite urgenti, ma ha deciso di non effettuarle o di posticiparle per il 35% a causa del Covid-19.   Di costoro, l’elemento che influisce maggiormente risulta essere l’idea che gli ospedali, gli ambulatori e le farmacie non sono luoghi ancora del tutto sicuri (28%) e salta agli occhi anche il dato che i pazienti non si rechino alle viste per indisponibilità economica (28%).

Ma il dato più evidente che emerge dall’analisi dei 4 gruppi omogenei individuati dal campione è un gruppo, con una tendenza alla crescita negli ultimi sette anni, definito “fragili insoddisfatti” dove prevale il disinteresse alla gestione della propria patologia. In particolare sono le donne a rinunciare più spesso alle prestazioni sanitarie in presenza di diabete e di altre malattie croniche (Fig. 3).

“L’ambiente che circonda le persone con diabete è cambiato, conseguenza della pandemia di Covid-19, e quindi la percezione del rischio viene direttamente correlata all’incertezza, dovuta anche alle moltissime informazioni, spesso contrastanti, e dall’incapacità di elaborarle per identificare quelle davvero rilevanti – spiega Lucio Corsaro, CEO di BHAVE. Come risulta dall’indagine, è ancora molto sentita, sebbene diminuita rispetto all’anno della pandemia, l’incertezza e l’insicurezza nel frequentare i poliambulatori o lo studio medico. Spesso, chi non va dal dottore sono donne, sole ed anziane che soffrono anche dell’indisponibilità economica.  Da cui la preoccupazione, che non è nell’impossibilità di pagare la visita, ma quanto nelle conseguenti azioni sugli stili di vita, come ad esempio, il controllo ed il miglioramento dell’alimentazione, la riabilitazione o le problematiche legate al piede diabetico”.

Pogliaghi
Silvia Pogliaghi

Giornalista scientifica, specializzata su ICT in sanità.