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Alzheimer, test pungidito potrebbero facilitare la diagnosi

Negli studi clinici sulla malattia di Alzheimer (AD) vengono normalmente utilizzati esami del sangue che valutano la presenza di alcuni biomarker della malattia, come la proteina beta amiloide, il neurofilamento leggero (NfL), la proteina fibrillare acida della glia (GFAP), la tau fosforilata (p-tau).

Gli esami del sangue, da affiancare ai test che valutano la memoria e altre funzioni cognitive, potrebbero avere un ruolo importante anche per la diagnosi precoce della malattia e per il monitoraggio delle terapie. L’applicazione su larga scala di questi test rappresenta però una sfida logistica, perché richiede un esame dei campioni raccolti in tempi stretti e con controllo della temperatura.

Un test pungidito per i biomarker dell’Alzheimer

All’ultima edizione dell’Alzheimer’s Association International Conference (AAIC), che si è svolta lo scorso luglio ad Amsterdam, sono stati presentati i risultati di uno studio pilota che ha utilizzato un esame del sangue per i biomarker dell’AD con puntura del dito (Finger-Prick Blood Test). Il principale vantaggio di questo test, oltre alla facilità di esecuzione, è che per questo esame è sufficiente far cadere una sola goccia di sangue su una striscia di carta dove si asciuga e rimane a temperatura ambiente.

Per verificare l’accuratezza del test, i ricercatori hanno reclutato 77 volontari che frequentavano una clinica neurologica a Barcellona. In un sottogruppo di 28 pazienti, i ricercatori hanno anche ottenuto campioni di liquido cerebrospinale, che rappresentano il “gold standard” per la diagnostica dell’AD. I risultati hanno mostrato un “rapporto estremamente buono” tra le informazioni ricavate dal sangue con il metodo normale e quelle ottenute da una sola puntura del dito.

Nicholas Ashton, professore associato, all’Istituto di Neuroscienze e Fisiologia, dell’Università di Goteborg in Svezia, ha detto:

possiamo misurare NfL, GFAP e tau 217 fosforilata, marcatori noti per l’AD, il tutto con una singola puntura del dito, il che significa che non è necessario fare la centrifugazione, non è necessario congelare il campione, e l’esame può essere fatto ovunque.”

Se i risultati verranno confermati su scala più ampia l’esame potrebbe essere facilmente affiancato ai test per le funzioni cognitive. Ciò non solo potrebbe facilitare la diagnosi precoce, ma potrebbe anche essere utilizzato per monitorare regolarmente la risposta al trattamento dei farmaci. Ashton ha osservato che ciò è particolarmente importante ora che stanno diventando disponibili farmaci modificanti la malattia.

La diagnosi di Alzheimer nel setting delle cure primarie

Un altro studio presentato all’AAIC ha dimostrato che un esame del sangue per cercare i biomarker della demenza può aumentare l’accuratezza diagnostica nel setting delle cure primarie

Lo studio ha incluso 307 pazienti (età media, 76 anni) con disturbi cognitivi in 25 ambulatori di medicina generale in Svezia. Dopo un esame standard, che in genere prevedeva screening cognitivo, valutazione clinica ed esclusione di cause secondarie, ai medici di base è stato chiesto quale pensavano fosse la causa più probabile del deterioramento cognitivo e quanto fossero sicuri della loro diagnosi.

Gli investigatori hanno scoperto che l’accuratezza delle diagnosi del medico era di circa il 55%, mentre saliva all’87% utilizzando biomarcatori. Secondo Sebastian Palmqvist, professore associato della clinical memory research unit, Università di Lund in Svezia:

è molto difficile per i medici di base fare una diagnosi accurata di AD. Non è che abbiano scarse capacità cliniche; è solo che non hanno gli strumenti corretti.”

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.