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Congresso SIMIT 2023, il contrasto alle epatiti e al Covid‑19

  • Alessandro Visca
  • Medicina

Oltre mille infettivologi provenienti da tutta Italia dal 3 al 6 dicembre hanno dato vita, a Firenze, al XXII Congresso nazionale della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT. All’interno di un programma ricco e articolato sono stati affrontati due argomenti di particolare attualità: il contrasto alle epatiti e al Covid-19.

Epatiti, l’importanza dello screening per HCV

Il Congresso nazionale della SIMIT è stata l’occasione per fare il punto sulle epatiti virali, che rimangono una minaccia per la salute pubblica, anche se sono stati fatti grandi progressi nella diagnosi, nella prevenzione e nella cura dei pazienti che hanno contratto l’infezione.

Loreta Kondili del Centro Nazionale per la Salute Globale, Istituto Superiore di Sanità, spiega:

L’infezione da HCV è ancora diffusa nella popolazione italiana, anche se molto meno rispetto al passato. Il dato da considerare con particolare attenzione è che l’infezione è presente anche in individui apparentemente sani, che non sanno di averla contratta. L’epatite C spesso non viene percepita come un rischio né a livello individuale, né di popolazione, ma in realtà l’infezione si può contrarre anche con banali procedure diagnostiche, trattamenti odontoiatrici oppure estetici, come per esempio i tatuaggi. Per questo è molto importante raccomandare il test per l’HCV, anche perché oggi abbiamo gli strumenti farmacologici per contrastare l’infezione virale cronica, che può causare diverse comorbidità, tra cui anche il tumore.”

Il ministero della Salute ha messo a disposizione delle Regioni un fondo per lo screening nazionale gratuito dell’epatite C. La campagna di screening, però, non è stata attivata in tutte le Regioni e ha subito una battuta d’arresto anche a causa della pandemia da Covid-19. Inoltre, il decreto che istituisce il fondo per lo screening è in scadenza alla fine di quest’anno.

“L’Italia – conferma Kondili – ha fatto grandi passi avanti nella lotta all’HCV. Abbiamo sicuramente raggiunto un numero molto alto, quasi il più alto in Europa, di pazienti trattati per l’infezione da epatite C, ma c’è ancora molto sommerso. Abbiamo un fondo dedicato allo screening gratuito con un decreto legge, che purtroppo però scade entro quest’anno. Chiediamo quindi al governo di prorogare questa scadenza e di estendere lo screening gratuito a fasce più ampie di popolazione, perché finora abbiamo testato un numero limitato di persone.”

Un impulso fondamentale per una maggiore diffusione del test di screening per l’epatite C può venire anche dalla medicina generale:

“Il medico di medicina generale – conclude Kondili – deve considerare l’epatite C come una minaccia per la salute pubblica e quindi indirizzare un maggior numero di pazienti allo screening, in particolare le persone con comorbidità e quelle sopra i 55 anni d’età. Anche se non dovesse più esserci il fondo per lo screening gratuito, il test va comunque consigliato perché un esame indolore e a basso costo. ”

Nuovo trattamento disponibile per l’epatite Delta

Novità importanti sono da segnalare anche per quanto riguarda il virus dell’epatite Delta (HDV) una forma grave di infezione per la quale è disponibile oggi un nuovo trattamento farmacologico.

Maurizia Brunetto, direttore dell’UO Epatologia dell’Azienda ospedaliera di Pisa, spiega:

l’epatite Delta è la forma più severa di epatite virale ed è caratterizzata dalla coesistenza nello stesso soggetto di due virus: il virus dell’epatite B, che supporta quello dell’epatite Delta, garantendogli il mantello di rivestimento che serve per entrare nell’epatocita. L’HDV è una malattia severa con evolutività due o tre volte superiore a quella dell’HBV e dell’HCV, e con tempi di evoluzione molto rapidi, per cui prima dei 50 anni molti pazienti sviluppano le complicanze.”

Per quanto riguarda la diffusione dell’infezione, Brunetto precisa: “in Italia in questo momento abbiamo un’elevata prevalenza di infezione e malattia da HDV in soggetti stranieri immigrati provenienti da aree ad alta endemia, come Moldavia, Romania, Albania e questo può creare criticità nell’identificare il soggetto portatore di infezione e di malattia.”

Anche per l’infezione da HDV sono disponibili test di facile esecuzione: “Il soggetto che è stato esposto al virus dell’epatite Delta e che è portatore di infezione e malattia – spiega Brunetto – si identifica ricercando gli anticorpi contro l’HDV, con un test immunometrico diffuso e di basso costo. Una volta che abbiamo trovato il soggetto con la positività anti-HDV andremo a vedere se l’infezione è attiva ricercando anche l’Rna del virus, e questo lo farà lo specialista al momento dell’inquadramento clinico del soggetto con sospetta HDV.”

Per quanto riguarda il trattamento dell’HDV va segnalata una novità importante. “I farmaci disponibili per il trattamento dell’epatite Delta – spiega Brunetto – oggi sono sostanzialmente due. Il primo è l’interferone già usato in passato con tutti i limiti che questa terapia comporta, tra cui l’impossibilità di utilizzarlo nel paziente cirrotico. Da poco più di un anno abbiamo anche un nuovo farmaco la bulevirtide. Si tratta di un farmaco con un meccanismo d’azione innovativo, in quanto è in grado di bloccare l’ingresso del virus nell’epatocita e la sua diffusione nel fegato.”

“Il farmaco – aggiunge Brunetto – viene autosomministrato sottocute quotidianamente dal paziente. Negli studi di fase 3 è stato dimostrato che bulevirtide è in grado di indurre una significativa riduzione della viremia, con un consolidamento della risposta virologica anche oltre l’anno. Quindi a 96 settimane di trattamento abbiamo una percentuale molto elevata di soggetti che raggiunge la riduzione di almeno due logaritmi dell’HDV-Rna o la sua non dosabilità. E questa condizione in circa il 50-60% dei pazienti si associa anche alla contemporanea normalizzazione delle transaminasi.”

“Il dato forse più significativo – aggiunge Brunetto –  è che i soggetti che hanno avuto una riduzione di almeno un logaritmo del virus nell’84% dei casi ottengono una riduzione delle transaminasi che raggiungono valori minori di 1,5 volte la norma e in circa il 60% dei casi si normalizzano. Quindi i pazienti trattati hanno beneficio biochimico che, come ci hanno dimostrato gli studi di pratica clinica, si associa a un beneficio clinico, cioè al miglioramento di quei parametri che ci danno misura del danno epatico e della funzionalità del fegato.”

Covid-19, vaccinazioni da raccomandare e terapia antivirale

Massimo Andreoni, direttore scientifico della SIMIT, ha ricordato:

da inizio anno vi sono state quasi 9mila persone decedute per il Covid-19. Parlare di un virus non più aggressivo e che vive con noi non implica una riduzione della gravità di questo patogeno. Diventa quindi necessario promuovere il richiamo della vaccinazione per il Covid nei soggetti fragili. Serve un coinvolgimento quanto più ampio possibile dei pazienti più a rischio, come anziani, malati cronici, pazienti immunocompromessi: oltre il 95% di questa popolazione ha una protezione nei confronti del virus che non è più efficace, in quanto l’ultimo richiamo vaccinale risale a più di 6 mesi fa.”

Per quanto riguarda il trattamento dei pazienti con infezione da Covid-19, Michele Bartoletti, professore associato di Malattie infettive all’Humanitas University e responsabile dell’Unità di Malattie infettive all’Humanitas Research Hospital spiega come e quando utilizzare la terapia antivirale con remdesivir:

redemsivir è un farmaco antivirale che si utilizza sia precocemente nelle prime manifestazioni del Covid-19, sia in pazienti ospedalizzati per forme gravi della malattia. Per quanto riguarda l’utilizzo precoce, il farmaco somministrato entro i primi 3 giorni dall’insorgere dei sintomi ha dimostrato di ridurre il tasso di ospedalizzazione e di morte per Covid-19 dell’87%, in una popolazione all’epoca non vaccinata. Oggi ci aspettiamo percentuali diverse, anche se, con il tasso di vaccinazione che sta calando notevolmente, potremmo tornare ad avere un’efficacia simile a quella degli studi registrativi.”

“In ogni caso – aggiunge Bartoletti – vale la pena di ribadire che tutti gli antivirali che si utilizzano per le infezioni respiratorie funzionano tanto meglio quanto prima vengono utilizzati. Quindi è opportuno iniziare il trattamento antivirale nelle prime ore o primi giorni in cui si manifestano i sintomi. L’altra modalità di utilizzo di remdesivir riguarda i pazienti già ospedalizzati per Covid-19, quindi i pazienti che hanno già sviluppato una forma tendenzialmente grave, soprattutto quelli che hanno bisogno di ossigenoterapia, non in forma invasiva (CPAP o intubazione). Anche in questi casi remdesivir si è dimostrato efficace nel ridurre la mortalità.”

Infine, Bartoletti offre qualche indicazione pratica ai medici di medicina generale con pazienti Covid-19 che vogliano iniziare precocemente il trattamento con remdesivir:

È comprensibile che un MMG con paziente Covid-19 che voglia iniziare una terapia antivirale come prima scelta si orienti sul nirmatrelvir/ritonavir, che è un farmaco che si può somministrare per via orale. Tuttavia questo farmaco può avere delle interazioni farmacologiche con altre terapie concomitanti. Consiglio quindi ai colleghi della medicina generale di consultare un infettivologo, oppure fare riferimento ai centri che possono fare terapia infusionale, anche ambulatoriale. Il paziente può fare le sue infusioni poi andare a casa. Queste procedure possono evitare ospedalizzazioni che, in questo momento, con i pronto soccorso estremamente affollati sarebbe molto utile non dover affrontare.”

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.