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Iodio, calo preoccupante nelle donne americane in età riproduttiva

Secondo una ricerca condotta negli Stati Uniti, e presentata al convegno annuale della American Thyroid Association, negli ultimi 20 anni i livelli di iodio nelle donne in età riproduttiva sono drasticamente diminuiti, e nelle donne in gravidanza permangono al di sotto della soglia di sicurezza raccomandata.

Questi risultati derivano dalla analisi dei dati di oltre 24 mila donne, arruolate dallo studio NHANES (National Health and Nutrition Examination Survey) nel periodo 2001-2020; la stragrande maggioranza di queste si trovava in età riproduttiva, e 1.702 in gravidanza.

I livelli mediani della concentrazione di iodio nelle urine, nel periodo considerato, sono significativamente calati tra  le donne in età riproduttiva,  passando da 142  μg/L a 106  μg/L; per quanto riguarda le donne in gravidanza, sono stati rilevati valori tra 147 μg/L e 133  μg/L,  ma comunque al di sotto del valore-soglia, pari a 150  μg/L, raccomandato dall’OMS.

Poca consapevolezza dei potenziali effetti avversi della carenza di iodio

Lo iodio gioca un ruolo chiave nello sviluppo cerebrale del feto e nella crescita; una carenza durante la gravidanza può avere potenziali effetti avversi sullo sviluppo cognitivo del nascituro; da qui la necessità di mantenere adeguate concentrazioni di iodio non solo per le donne in gravidanza, ma anche per quelle  in età  riproduttiva.

Elizabeth Pearce, docente di medicina presso la Boston University Chobanian & Avedisian School of Medicine, autrice dello studio, ha detto:

lo studio mette in evidenza un preoccupante declino nella concentrazione di iodio nelle urine, nelle donne in età riproduttiva, avvenuto negli ultimi vent’anni e mette in evidenza la mancanza di consapevolezza circa l’importanza dello iodio, sia nella classe medica che nella popolazione.”

La riduzione del consumo di latticini e l’assenza di campagne per il consumo di sale iodato tra le cause del calo dei livelli di iodio

I dati rivelano la tendenza alla riduzione del consumo di latticini, che nella dieta è direttamente collegata alla carenza di iodio (e inversamente allo status socioeconomico e al livello di istruzione), e alla sostituzione del latte vaccino con prodotti vegetali come latte di soia o di mandorle, che però non contengono iodio.

La percentuale di donne che ha dichiarato di consumarne ”spesso” è passata dal 50% del periodo 2001-2004,  a meno della metà nel triennio 2017-2020.

I livelli mediano di iodio riscontrati nelle donne che consumavano sostituti del latte sono risultati inferiori a quelli delle donne che hanno dichiarato di consumare latte vaccino; allo stesso modo, la concentrazione di iodio è risultata  più elevata nelle donne -in gravidanza e non- che hanno dichiarato di consumare una maggiore quantità di latticini.

Altri elementi che probabilmente contribuiscono alla carenza di iodio riguardano l’assenza, negli Stati Uniti, di campagne per l’introduzione del consumo di sale iodato; una misura raccomandata dall’OMS che, invece, ha permesso a molti paesi di risolvere il problema della carenza di iodio. A seguito dell’introduzione di sale iodato, su 113 paesi che 30 anni fa riportavano documentate carenze, solo 21 si trovano oggi ancora in quella situazione.

Poiché negli USA tali interventi sono ritenuti “politicamente” non realizzabili, ai clinici spetta il compito di raccomandare, qualora non sia possibile attraverso l’alimentazione e nelle regioni a carenza di iodio,  un’integrazione pari a 150 microgrammi di iodi alle gestanti, alle donne in allattamento e a quelle che intendono programmare una gravidanza.

Parallelamente, anche i social media potrebbero contribuire a diffondere la consapevolezza sull’importanza di introdurre adeguate quantità di iodio soprattutto nel primo trimestre di gravidanza, anche seguendo una alimentazione che comprenda pesce, molluschi, latticini.

Redazione

articolo a cura della redazione