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Ipovitaminosi D e carcinoma prostatico: quale correlazione. Una rassegna della letteratura

Enrico Pendenza – Unità Operativa Complessa di Medicina Riabilitativa, Ospedale di Tagliacozzo (L’Aquila)
Daniele Pendenza– Dipartimento di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnologiche, Università degli Studi dell’Aquila

Sebbene siano trascorsi quasi cento anni dalla sua scoperta, la vitamina D continua a riscuotere grande interesse nella letteratura medica e scientifica dell’era moderna, in virtù del suo complesso metabolismo, delle sue molteplici funzioni e dei numerosi effetti benefici. Di fatto, la vitamina D, che un tempo era nota essenzialmente per i suoi effetti scheletrici, è da considerare una molecola con azione ormonale, caratterizzata da spiccato pleiotropismo e da numerose attività significative per la salute dell’uomo sia di tipo scheletrico che extrascheletrico.

Infatti, tra le altre molteplici funzioni, favorisce l’assorbimento di calcio e fosforo nell’intestino, il riassorbimento del calcio nei tubuli renali, stimola gli osteoblasti a produrre più fosfatasi alcalina e osteocalcina e meno collagene (favorendo così la formazione dell’osso), inibisce la secrezione del paratormone. Inoltre svolge importanti funzioni immunomodulatorie, antiangiogenetiche e antiproliferative.

Molteplici studi hanno individuato un’associazione tra carenza di vitamina D e alcune  patologie tumorali come il cancro della prostata.

Diversi Autori suggeriscono una supplementazione di vitamina D e una fortificazione di alcuni alimenti come strategia per contrastare i livelli carenti rilevati in alcune aree del pianeta e in alcune sottopopolazioni specifiche.

Sono sufficienti i dati di cui disponiamo per avviare un ripensamento del reale ruolo della vitamina D e suggerire una strategia di supplementazione/fortificazione?

Per cercare di rispondere a questa domanda, abbiamo voluto prendere in considerazione i dati derivanti dai maggiori studi osservazionali e metanalisi relativi all’impatto della carenza di vitamina D sul rischio di cancro della prostata.

 

Principali fattori di rischio del carcinoma alla prostata

Il carcinoma della prostata (CaP) rappresenta circa il 20% di tutte le neoplasie diagnosticate tra gli uomini a partire dai 50 anni di età (in Italia il 18,5% nel 2020; Figura 1). L’incidenza del carcinoma ha mostrato negli ultimi anni una costante tendenza all’aumento, in particolar modo intorno al 2000, divenendo il tumore maligno più frequente nell’uomo. Questo è dovuto all’aumento dell’età media della popolazione e all’introduzione dell’esame del PSA (antigene prostatico specifico).

Figura 1. Tumori maligni in Italia nel 2020 nel sesso maschile
(I 5 tumori più frequenti nel sesso maschile su un totale di 194.754 casi stimati)

I cinque tumori più frequenti nel sesso maschile in Italia
Fonte: AIRTUM -i numeri del cancro il Italia- Ed.2020

Le incidenze alte sono registrate a carico della popolazione afroamericana (185 casi per 100.000 abitanti), seguita dalle popolazioni caucasiche dei Paesi scandinavi (90 casi su 100.000 abitanti). Nei Paesi asiatici i tassi d’incidenza sono molto più bassi (in Cina 1,7 casi su 100.000 abitanti) (1).

Nonostante un aumento dell’incidenza, la mortalità è in costante riduzione a conferma del ruolo decisivo giocato dalla diagnosi precoce attraverso lo screening spontaneo con il dosaggio del PSA e la visita urologica.

Fattori di rischio ed eziologia

A tutt’oggi, l’eziologia della neoplasia prostatica non è perfettamente chiara.
Diversi lavori pubblicati in letteratura mostrano però un’associazione tra fattori di rischio e maggiore incidenza di malattia (2).

Figura 2. Fattori di rischio del tumore alla prostata

Fattori di rischio del tumore alla prostata
Figura 2 : American Cancer Society(ACS).Cancer.org/Prostate cancer. Last Revised :January 12,2022
  • Età. L’età avanzata rappresenta uno dei fattori di rischio più evidenti del tumore. La malattia è di raro riscontro prima dei 50 anni, mentre l’incidenza aumenta  esponenzialmente con l’invecchiamento.
  • Etnia. È stato riscontrato che l’etnia nera ha un rischio più elevato d’insorgenza di carcinoma prostatico.
  • Ormoni e attività sessuale. La presenza di ormoni androgeni biologicamente attivi in circolo costituisce un possibile fattore causale di notevole rilievo. Il polimorfismo genico dell’enzima 5 α-reduttasi e del recettore androgenico potrebbe determinare variazioni dei livelli e attività biologiche degli androgeni e quindi spiegare le differenze inter-etniche rilevate nell’incidenza.
  • Fattori ambientali e dietetici. Si ritiene che una dieta ricca di lipidi, come l’acido α-linoleico, o di idrocarburi aromatici policiclici, che si formano durante la cottura di carni  rosse, incrementi il rischio. Anche un body mass index (BMI) elevato è correlato a un aumento d’incidenza della patologia. L’obesità sarebbe responsabile di forme biologicamente più aggressive, ad alto grado e frequentemente recidivanti. Fattori dietetici protettivi sembrano invece essere il licopene (contenuto nei pomodori), il selenio, la vitamina E, la soia, il tè verde. La vitamina D verrà trattata in seguito.
  • Fattori familiari e genetici. Studi di linkage analysis hanno identificato multipli loci cromosomici che possono essere associati a geni di suscettibilità per il cancro della prostata. Sul cromosoma 1: HPC1, PCaP, CAPB; sul cromosoma 8: MSR; sul cromosoma X: HPCX. E inoltre sono state evidenziate mutazioni in geni come BRCA1 e BRCA2.

I fattori molecolari coinvolti

Il tumore della prostata è una neoplasia età-correlata, la cui incidenza aumenta con l’età. Tuttavia le basi molecolari che determinano questa stretta correlazione non sono ancora ben conosciute. Alcuni studi riportano che l’incremento dello stress ossidativo in età avanzata sia responsabile anche dello sviluppo del carcinoma prostatico (Figura 3) (3).

Figura 3. Le cause dello stress ossidativo

stress ossidativo
da Brunelli et al.,2021

 

La via di segnale mediata dalla proteina p53 (pro-apoptotica) ha un impatto molto importante sulla longevità e sulle malattie legate all’età. L’efficacia della risposta di p53 allo stress diminuisce significativamente con l’età e, dato il suo ruolo cruciale nella prevenzione dei tumori, il declino della sua attività a età avanzate potrebbe contribuire all’aumento dell’insorgenza del CaP nell’anziano.

La p53 induce l’apoptosi, media le risposte di riparazione e difesa all’interno delle cellule ed è inoltre capace di incrementare l’espressione di numerosi geni i cui prodotti riducono i livelli dei radicali liberi. La p53 è stata inoltre identificata come uno dei numerosi substrati delle sirtuine, una famiglia di proteine altamente conservate (SIRT1 nei mammiferi) che regolano il silenziamento genico, la riparazione del DNA, la stabilità cromosomica. SIRT1 inattiva la p53 tramite deacetilazione suggerendo che le sirtuine aumentino il rischio d’insorgenza di cancro. Infatti, un’elevata espressione di SIRT1 è comune nel cancro della prostata (4).

È noto che anche gli androgeni hanno un ruolo nel CaP. Infatti, esso si sviluppa da un epitelio androgeno-dipendente ed è di solito sensibile agli androgeni nei primi stadi della malattia. Nelle fasi avanzate le cellule tumorali stesse diventano in grado di attivare i recettori androgenici che da regolatori della proliferazione e differenziazione dell’epitelio prostatico, divengono induttori di una crescita incontrollata (5).

Lo stress ossidativo agirebbe inoltre aumentando l’espressione di diversi fattori di crescita, come il VEGF (vascular endothelial growth factor), un potente fattore pro-angiogenetico, in grado di promuovere la progressione tumorale e l’eventuale metastatizzazione (6). Ciò avverrebbe in particolare nell’età avanzata.

 

La vitamina D

Tradizionalmente, la vitamina D è identificata con il benessere dell’osso. Come un vero e proprio sistema endocrino, essa svolge, in sinergia con il paratormone (PTH), il ruolo di regolatrice dell’omeostasi fosfocalcica, attraverso il riassorbimento intestinale del calcio e la modulazione dell’architettura ossea (azioni scheletriche).

Negli ultimi anni, grazie a un’intensa attività di ricerca è stata identificata la presenza di recettori per la vitamina D (VDR) in molti distretti corporei, come tessuto muscolare, fegato, pancreas, apparato immunitario, sistema nervoso centrale e prostata. Di conseguenza, si è evidenziata la crescente importanza del ruolo della vitamina D in processi come differenziazione cellulare, funzione neuromuscolare, malattie cardiovascolari, neoplasie, diabete e nei processi d’inibizione e regolazione del sistema autoimmune

Azioni extrascheletriche – Tab. 1

vitamina d tab1

vitamina d tab2

 

Biosintesi della forma attiva

Per vitamina D s’intende un gruppo di pro-ormoni liposolubili costituito da 5 diverse vitamine: D1, D2, D3, D4 e D5.

Le due forme principali sono il colecalciferolo o vitamina D3, che deriva dal colesterolo ed è sintetizzato dagli organismi animali, e l’ergocalciferolo o vitamina D2, che deriva dall’ergosterolo, di origine vegetale ed è assunto solo con l’alimentazione. Le due forme hanno attività biologica molto simile e possono essere considerate come precursori della forma attiva della vitamina D. La vitamina D3 è sintetizzata nella cute dalla conversione del 7-deidrocolesterolo a previtamina D3 dopo l’esposizione ai raggi ultravioletti (UV-B 290-315 nm) attraverso una reazione proteolitica non enzimatica. La previtamina D3 è un composto intermedio e instabile che subisce rapidamente il riarrangiamento del doppio legame e si converte spontaneamente in un composto termodinamicamente più stabile chiamato vitamina D3 o colecalciferolo.

Circa un terzo del fabbisogno quotidiano è introdotto attraverso la dieta come vitamina D2 e D3 che, essendo liposolubili, sono rapidamente assorbite nel duodeno e nel digiuno. Il trasporto nel torrente ematico avviene tramite una globulina, la proteina legante la vitamina D (VDBP) (vitamin D binding protein) e l’albumina.

In seguito, la vitamina è distribuita quasi totalmente al tessuto adiposo attraverso la circolazione linfatica e da qui liberata in piccole quantità rispetto alla quota immagazzinata. La quota che si libera subisce due idrossilazioni: la prima nel fegato, dove viene immediatamente convertita in 25- idrossicolecalciferolo [25(OH)D o calcifediolo] per opera dell’enzima 25-idrossilasi; la seconda nel rene, dove la 25(OH)D viene trasformata per azione dell’enzima 1-idrossilasi nel metabolita attivo 1,25(OH)2D o calcitriolo.

La forma metabolicamente attiva ricopre la maggior parte delle sue funzioni tramite il legame con uno specifico recettore VDR (vitamin D receptor). Questo è presente in molti tessuti e ha localizzazione cellulare, sia nucleare sia citoplasmatica. Il primo è in grado di stimolare direttamente la trascrizione di geni e quindi la sintesi ex novo di proteine (meccanismo genomico); il secondo, localizzato sulla membrana cellulare, agisce inducendo la formazione di secondi messaggeri (come l’adenosina monofosfato ciclico, il diacilglicerolo, l’inositolo trifosfato e l’acido arachidonico) o fosforilando alcune proteine cellulari (meccanismo non genomico).

Il calcitriolo legato al VDR forma eterodimeri con l’RXR (retinoid X receptor); il complesso eterodimerico 1,25(OH)2D3-VDR-RXR interagisce con delle specifiche sequenze nucleotidiche chiamate VDREs (vitamin D responsive elements). In comunione con diversi fattori trascrizionali, questo complesso porta alla trascrizione di geni responsivi alla vitamina D e alla traduzione di proteine come la proteina legante il calcio (CBP) o l’osteocalcina. Più di 2.000 geni sono modulati da 1,25D3. L’azione della vitamina D è limitata da processi catabolici mediati principalmente dall’enzima CYP24A1 (25-idrossivitamina D-24-idrossilasi), che trasforma il calcitriolo in 1,24,25(OH)2D3, un composto che ha una bassa affinità per il recettore della VD3 e viene metabolizzato in prodotti che poi sono escreti, come ad esempio l’acido calcitroico.

Figura 4. Meccanismo d’azione della vitamina D

Vitamina D fig. 4

 

I cambiamenti biochimici cellulari associati agli effetti antitumorali del trattamento con vitamina D sono stati ampiamente studiati nel cancro alla prostata e in altre linee cellulari tumorali. Il calcitriolo (1,25-diidrossicolecalciferolo) è il composto più attentamente studiato in vitro e in vivo. Esso inibisce la crescita del tumore in associazione con diversi effetti biochimici

Figura 5. Azioni dal calcitriolo sulle cellule prostatiche

Vitamina D fig. 5

 

Ipovitaminosi D e fattori di rischio

La radiazione solare ultravioletta B è fondamentale per la sintesi di vitamina D. Un’insufficiente esposizione al sole rappresenta il primo dei fattori di rischio che espongono alla carenza di vitamina D, così come: la latitudine eccessivamente elevata, la pigmentazione cutanea, il momento della giornata e la stagione in cui ci si espone al sole, l’inquinamento atmosferico, la percentuale di cute esposta, il tipo di vestiario adottato e il ricorso a filtri solari. La collocazione geografica e le abitudini di vita si intrecciano con altre caratteristiche come la carnagione scura: dato che la melanina assorbe le radiazioni UVB, l’incremento della pigmentazione cutanea riduce infatti la sintesi di vitamina D.

Tra le condizioni che aumentano il rischio di ipovitaminosi D figurano l’obesità, in quanto si ritiene che gli adipociti sequestrino parte della vitamina circolante, le patologie dermatologiche estese, le sindromi da malassorbimento, le malattie granulomatose, l’insufficienza epatica cronica e l’insufficienza renale cronica, le malattie neurodegenerative. Bisogna considerare anche il ricorso ai farmaci che interferiscono con il metabolismo della vitamina D.

Tab. 2. I più importanti fattori di rischio di carenza di vitamina D

 

VITAMINA D e CaP: rassegna degli studi più significativi

Tra i più importanti e molteplici studi sull’assunzione di vitamina D e rischio di cancro alla prostata, sono stati presi in esame i seguenti:

Tab. 3. Riassunto prospettico dei più importanti studi esaminati su vitamina D e CaP
(in verde con riscontri positivi, in rosso con dati contrastanti)

Tabella 3. Riassunto prospettico dei più importanti studi esaminati su vitamina D e CaP

 

  • Uno studio statunitense di coorte condotto dal 1993 al 2007 (7) ha dimostrato che il rischio di sviluppare CaP tendeva a ridursi del 40% negli uomini che usavano >600 UI di vitamina D rispetto agli uomini che non la utilizzavano.
  • Uno studio americano pubblicato sulla rivista Cancer Epidemiology nel 2016 (8) suggerisce che gli uomini con una concentrazione più elevata della vitamina, misurata prima della diagnosi della malattia, mostrano un rischio di decesso inferiore del 28% rispetto a quelli con concentrazioni più basse; e inoltre, sembra che vi sia una minore aggressività della patologia al momento dell’intervento di prostatectomia radicale chirurgica.
  • Da uno studio preclinico condotto in Francia nel 2018, risulta che l’apporto di vitamina D previene la progressione del CaP (9).
  • Un altro recente studio condotto negli USA nel 2020, i cui risultati sono stati pubblicati su Jama Network Open (10), supporta la conclusione che la supplementazione di vitamina D riduce del 17% il rischio di metastatizzazione e di decesso nelle forme di Ca. avanzato, ma non della sua incidenza complessiva; questo risultato è in linea con quello ottenuto dal grande studio VITAL condotto per 5 anni e fino al 2018 su un campione di oltre 25.000 persone.
  • In un recente studio del 2020 si sostiene l’utilità della vitamina D per ridurre il rischio di cancro e aumentare i tassi di sopravvivenza dopo la diagnosi (11).
  • Un lavoro condotto nel 2004 aveva dimostrato che l’esposizione sistemica al calcitriolo, raggiunta in modelli murini in cui il calcitriolo è efficace nel sopprimere la crescita del cancro, può essere ottenuta negli uomini a dosi orali ed endovenose elevate, ma sicure e tollerabili (12).
  • Altri studi, come quelli di coorte condotti da Tavani in Italia nel 2005 (13) e da Park nel 2007 negli USA (14), nonché una metanalisi USA del 2008 (15), non correlano invece l’assunzione di vitamina D con una riduzione del rischio di cancro.
  • In una revisione sistematica e metanalisi del 2019 si riporta che l’integrazione di vitamina D non avvantaggia i pazienti con cancro alla prostata (16).

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

  • Il cancro della prostata è un grave problema sanitario per gli uomini con un’incidenza principalmente dipendente dall’età.
  • Esistono fattori genetici associati al rischio di CaP.
  • Una varietà di fattori esogeni/ambientali può avere un impatto sull’incidenza di CaP e sul rischio di progressione.
  • La radiazione solare UV è fondamentale per la sintesi di vitamina D.
  • Molti studi ipotizzano un’associazione tra deficit di vitamina D e sviluppo di CaP, come si evidenzia nelle popolazioni che vivono alle più alte latitudini.
  • L’impiego della vitamina D per prevenire il CaP o abbassare il rischio di progressione è oggetto di dibattito: molti studi hanno riportato un ruolo positivo vitamina-malattia, mentre altri riportano dati contrastanti.
  • Saranno necessari ulteriori studi accurati per definire se l’integrazione esogena di vitamina D possa essere impiegata in prevenzione primaria o per ridurre il rischio di progressione del CaP, oppure in associazione con farmaci antineoplastici per incrementarne l’efficacia.

 

Referenze

  1. Haas GP et al. The worldwide epidemiology of prostate cancer: perspectives from autopsy studies. Can J Urol 2008; 15: 3866-3871.
    
  2. American Cancer Society (ACS). Cancer.org/Prostate cancer. Last Revised: January 12,2022.
    
  3. Benelli R, Capecchi S. Carcinoma alla prostata e stress ossidativo. LILT. Ed.2021.
    
  4. Dionigi R. Chirurgia. Masson, Milano, 2006.
    
  5. Jemal A et al. Cancer statistics, 2007. CA Cancer J Clin 2007; 57, 43-66.
    
  6. Gleason DF. Histologic grading of prostate cancer: a perspective. Hum Pathol 1992; 23: 273-279.
    
  7. Ahn, Coorte 1993-2001, Stati Uniti, 2007.
  8. Alison M et al. Circulating 25-hydroxyvitamin D and prostate cancer survival. Cancer epidemiology, biomarkers & prevention. Published online first January 25, 2016.
  9. Capiod et al. Do dietary calcium and vitamine D matter in men with prostate cancer? Nature reviews urol, 2018; 15: 453-461.
    
  10. Chandler PD et al. Effect of vitamin D3 supplements on development of advanced cancer. JAMA Network Open 2020; Nov; 3(11): e2025850.
  11. Grant WB. Review of recent advances in understanding the role of vitamin D in reducing cancer risk. Anticancer Res 2020. Jan; 40(1): 491-499.
    
  12. Muindi JR et al. Pharmacokinetics of 1alpha, 25-dihydroxyvitamin D3 in normal mice after systemic exposure to effective and safe antitumor doses. Oncology 2004; 66: 62–6.
  13. Tavani A. IT 2005, casi controllo (coorte) dal 1991 al 2002.
  14. Park, USA 2017, casi controllo (coorte) dal 1993 al 1996.
    
  15. Huncharek, Usa 2008, metanalisi 2008.
  16. Shahbazi A.M. Dairy products, dietary calcium and vitamin D. Rassegna Narrativa ,2019.
  17. AIRTUM - i numeri del cancro in Italia- Ed.2020
    
  18. https://www.prostatainforma.com/blog/vitamina-d-prostata/
    
  19. https://www.urologyhealth.org/urologic-conditions/prostate-cancer
    
  20. https://www.pcf.org/site/c.leJRIROrEpH/b.5802027/k.D271/Prostate_Cancer_Risk_Factors.htm
    
  21. https://www.cancer.org/cancer/prostatecancer/detailedguide/prostate-cancer-risk-factors American Cancer Society cancer.org1.800.227.2345, Last Revised: January 12, 2022.
Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.