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vene gambe

La malattia venosa cronica può essere un indicatore di rischio cardiovascolare?

Chi soffre di Malattia venosa cronica (MVC) agli arti inferiori può avere un rischio aumentato di sviluppare un evento cardiovascolare, questa condizione può essere quindi considerata un marker predittore di eventi cerebrocardiovascolari, come infarto e ictus. Questo è il messaggio fondamentale lanciato nell’incontro “Le gambe una finestra sul cuore”, che si è recentemente tenuto a Milano con il supporto di Servier.

Che cos’è la Malattia venosa cronica

La MVC degli arti inferiori è una condizione caratterizzata da un’alterazione del meccanismo che riporta il sangue dalla periferia verso il cuore. Questa patologia provoca un aumento di pressione nei capillari, con successiva formazione di edema, ipossia generalizzata e lattacidemia (eccessiva presenza di acido lattico nel sangue).

Si tratta di una patologia molto diffusa che, solo in Italia, colpisce circa 19 milioni di persone, con una prevalenza più alta nelle donne. Spesso la MVC viene considerata solo un problema estetico: solo una persona su tre sa di esserne affetta e segue una corretta terapia.

Un cambiamento culturale necessario

Romeo Martini, presidente della Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare, spiega perché questa patologia va considerata in un altro modo:

le evidenze scientifiche emerse rimettono in discussione il pensiero convenzionale sulla separazione tra malattia venosa e arteriosa. L’osservazione delle gambe è fondamentale per diagnosticare la MVC, ma la presenza di vene varicose, edema, cambiamenti della pelle e ulcere deve essere considerata anche un potenziale campanello d’allarme di malattia cardiovascolare.”

Lo studio Gutenberg

In particolare, gli esperti presenti nell’incontro milanese hanno sottolineato i dati emersi dallo studio Gutenberg, pubblicato nel 2021 sull’European Heart Journal. Si tratta di un ampio studio sulla popolazione della Germania centro-occidentale, che ha arruolato 12.423 partecipanti di età compresa tra 40 e 80 anni e li ha seguiti per 5 anni (2012-17). Su questa popolazione è stata fatta un’accurata valutazione dell’Insufficienza venosa cronica (IVC), nei diversi gradi di gravità e di altri parametri, compresa una valutazione del rischio cardiovascolare.

Roberto Pola, segretario della Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare, spiega:

Lo studio Gutenberg ha dimostrato che le persone con MVC nelle fasi più avanzate hanno un rischio maggiore di sviluppare negli anni una malattia cardiovascolare di tipo arterioso e hanno anche una più alta mortalità per tutte le cause, rispetto alle persone che non ne soffrono.”

Leonardo De Luca, Segretario generale ANMCO e cardiologo presso la U.O.C. di Cardiologia dell’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma, aggiunge:

il link tra la MVC e le malattie cardiovascolari è dato principalmente dal fatto che le due patologie condividono alcuni fattori di rischio come l’età, il fumo, il diabete mellito, l’obesità e il sovrappeso, che si associano ad una disfunzione dell’endotelio, un’infiammazione cronica e una trombosi, dovuta al lento flusso e alla conseguente ipercoagulabilità, che costituiscono le basi fisiopatologiche di entrambe le patologie.”

Inoltre, secondo Pola: “Un’ipotesi che si sta facendo strada nella comunità scientifica presuppone che sia l’infiammazione cronica il meccanismo biologico sottostante a queste due patologie. Infatti, nella patologia aterosclerotica, che è alla base dell’infarto e dell’ictus, si riscontra un importante contributo infiammatorio e d’altro canto anche nella malattia venosa cronica si osserva un’aumentata produzione di molecole infiammatorie”.

L’approccio olistico ai pazienti

Per dare il giusto rilievo alle possibili associazioni tra le patologie venose e la salute del cuore occorre un diverso approccio al paziente, che  Claudio Borghi, Direttore UO Medicina Interna Cardiovascolare Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche-Università di Bologna, sintetizza così:

occorre quella che si definisce visione olistica del paziente, vale a dire farsi carico di tutte le sue problematiche e considerare la possibilità che esistano interazioni a distanza fra patologie apparentemente non collegate tra loro. Negli ultimi 20 anni, nell’ambito delle malattie cardiovascolari, questo approccio ha fatto emergere anche altre condizioni, apparentemente distaccate dal funzionamento dell’apparato cardiocircolatorio, che sono invece in grado di condizionare lo sviluppo delle malattie cardiovascolari stesse e fanno sì che oggi l’approccio a queste malattie non possa più essere focalizzato solo su un prevalente fattore di rischio, ma debba valutare ogni singolo paziente nella sua complessità. In questo senso tutti i professionisti sanitari dovrebbero collaborare in maniera multidisciplinare per definire percorsi diagnostico-terapeutici in grado di gestire al meglio il paziente”.

 

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.