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Malattia di Parkinson, il rischio è maggiore per le persone sole?

La solitudine sembra essere associata a un maggior rischio di sviluppare, negli anni, la malattia di Parkinson. Questo, secondo uno studio prospettico condotto dall’Università della Florida negli Stati Uniti, e pubblicato su JAMA Neurology.

La ricerca si basa su dati provenienti da UK Biobank, studio di popolazione tuttora in corso, riferiti a 22 centri britannici e raccolti tra marzo 2006 e ottobre 2010. Lo stato di solitudine è stato riportato dai partecipanti attraverso una domanda chiusa (“Si sente spesso solo?” Sì/No). Successivamente i partecipanti sono stati seguiti per 15 anni; l’incidenza della malattia di Parkinson è stata ricavata dagli archivi del National Health Service fino all’ottobre del 2021.

Lo studio ha valutato il peso della solitudine, anche rispetto ad altri fattori, sul rischio di sviluppare la malattia di Parkinson

L’analisi ha quindi coinvolto 491.603 partecipanti, di età compresa tra 38 e 73 anni, 2.822 dei quali hanno sviluppato la malattia nei 15 anni di follow-up (tasso di incidenza del 47%).

I partecipanti che hanno riferito di sentirsi soli (19%) erano in genere più giovani, più spesso donne, avvezzi a comportamenti dannosi per la salute (sedentarietà, fumo), caratterizzati da uno stato di salute generale peggiore (diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari) e da un peggior stato di salute mentale.

I ricercatori hanno quindi valutato se la solitudine fosse associata allo sviluppo di Parkinson nei 15 anni successivi, tenendo conto anche di un possibile ruolo di età, genere, rischio genetico, e se l’associazione potesse dipendere da fattori socio demografici, mentali, fisici, comportamentali, sociali o genetici.

Contrariamente alle aspettative dei ricercatori, la solitudine non è risultata associata all’incidenza del Parkinson nei cinque anni dopo l’inizio dello studio, ma al rischio nei dieci anni successivi.

Una prima analisi ha evidenziato un aumento del rischio di sviluppare malattia di Parkinson, per i partecipanti afflitti da solitudine, pari al 37%; dopo gli aggiustamenti statistici per tenere conto delle variabili esterne l’associazione resta valida, con un rischio aumentato del 25% a dimostrazione del fatto che non dipende da fattori di rischio poligenetici, genere, età.

Si tratta tuttavia, viene sottolineato, di una correlazione e non di una relazione causa-effetto. L’interpretazione più plausibile, e cauta,  riguarda il ruolo della solitudine come fattore di rischio per la malattia di Parkinson, mediato da aspetti metabolici, infiammatori e neuroendocrini. Meno probabile invece il ruolo dello stile di vita e delle cronicità, come il diabete. I risultati sembrano dunque confermare che la solitudine rappresenta una importante determinante psicosociale della salute, con aumento di morbidità e mortalità, e supportano l’importanza di mantenere relazioni sociali significative.

Redazione

articolo a cura della redazione