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Migliorare l’aderenza alla terapia con vitamina D: quali opportunità

A cura di Fabio Vescini MD, PhD
Direttore SOC Endocrinologia
ASU FC-Dipartimento di Area Oncologica,
P.O. Santa Maria della Misericordia di Udine

Il panorama delle formulazioni di vitamina D disponibili in commercio è vastissimo, offrendo sia ai pazienti che ai medici un’ampia gamma di possibilità. Scegliere la terapia più adeguata per ogni paziente è essenziale, al fine di ottimizzare i benefici del trattamento. Selezionare il tipo di vitamina D di cui il nostro paziente potrebbe maggiormente beneficiare diventa una scelta fondamentale.

Le diverse forme in cui si presenta la vitamina D

La forma di vitamina D più conosciuta e comunemente utilizzata come supplementazione è il colecalciferolo (nota anche come vitamina D3), che corrisponde alla forma prodotta fisiologicamente dal nostro organismo in seguito all’esposizione solare. Il colecalciferolo, tuttavia, necessita di due ulteriori processi di idrossilazione per diventare biologicamente attivo; il primo avviene a livello epatico dove si forma il 25-OH-colecalciferolo, detto anche calcifediolo, ed il secondo a livello renale, con la biosintesi dell’1,25-(OH)2-colecalciferolo, detto anche calcitriolo, che rappresenta la forma attiva della vitamina D. Queste tre molecole differiscono profondamente dal punto di vista biologico, ed è dunque necessario selezionare tra queste la forma più opportuna da somministrare ai nostri pazienti, a seconda del loro quadro clinico specifico.

Colecalciferolo. Nella maggior parte dei pazienti, il colecalciferolo è la forma da preferire, perché questo verrà fisiologicamente trasformato dall’organismo a seconda delle necessità. Esistono moltissime formulazioni differenti di colecalciferolo disponibili in commercio, tra cui gocce, flaconcini, compresse, capsule molli, film sublinguali, che possono essere somministrate a cadenza giornaliera, settimanale e mensile. Non vi sono solide evidenze scientifiche a supporto di una specifica formulazione o di una tempistica di somministrazione rispetto alle altre, dunque è importate concordare con il paziente la formulazione più gradita per favorire l’aderenza terapeutica.

Per quanto riguarda i dosaggi, la Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS) raccomanda l’uso di boli di colecalciferolo per raggiungere concentrazioni plasmatiche sufficienti e quindi un mantenimento con posologie variabili da 800 a 2.000 UI/die; tali indicazioni sono da modulare in base alla condizione di carenza iniziale e ai fattori di rischio presenti.

Calcifediolo. Il calcifediolo può essere considerato in alternativa al colecalciferolo, in particolare nei pazienti affetti da condizioni di malassorbimento intestinale o da obesità, grazie ad una maggiore capacità di assorbimento intestinale ed una minore distribuzione nel tessuto adiposo. Inoltre, non necessitando del passaggio di attivazione a livello epatico, il calcifediolo può essere una possibile opzione nei pazienti affetti da insufficienza epatica severa.

Anche il calcifediolo è disponibile in gocce o capsule molli, da selezionare in base alle preferenze del paziente; la dose iniziale raccomandata per normalizzare velocemente i valori di 25-OH-vitamina D in caso di deficit severo è di 20-40 mcg/die per 1-2 mesi, riducendo la posologia in seguito alla progressiva normalizzazione dei valori.

Calcitriolo. Il calcitriolo, infine, rappresenta la formulazione già attiva di vitamina D, da riservare esclusivamente a casi selezionati di pazienti in cui il meccanismo di idrossilazione renale risulta compromesso (es. insufficienza renale in stadio avanzato o ipoparatiroidismo cronico). Un sovradosaggio di calcitriolo può inoltre associarsi ad ipercalcemia ed altre alterazioni dell’equilibrio calcio-fosforo, dunque sarebbe opportuno che tale terapia fosse gestita dallo specialista.

In conclusione, il panorama delle terapie con vitamina D è così vasto che può talvolta risultare complesso, ma tale varietà di tipologie e formulazioni ci consente anche di impostare una terapia personalizzata per ciascun paziente, massimizzandone i benefici e favorendo l’aderenza terapeutica.

In collaborazione con IBSA

Redazione

articolo a cura della redazione