Tubercolosi, le buone pratiche sanitarie per contrastarla
L’individuazione precoce dei casi di infezione è necessaria per garantire l’accesso ad un trattamento precoce in grado di garantire una maggiore efficacia e la tutela della salute dei pazienti.”
Lo ha detto Roberta Siliquini, presidente della Società Italiana d’Igiene (SItI) in occasione della Giornata Mondiale sulla Tubercolosi, celebrata lo scorso 24 marzo. In questa occasione è stata rilanciata la strategia ‘’Yes! We can end TB’’, che ha l’obiettivo di porre globalmente fine alle epidemie di tubercolosi entro il 2030, così come espresso negli Obiettivi dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile dell’ONU.
Il World TB Day ha l’obiettivo di sensibilizzare le istituzioni, ma anche gli enti e gli operatori sanitari del territorio a collaborare attivamente al fine di arrestare la malattia e ridurre il numero di decessi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità esorta non solo al confronto e allo scambio di best practices tra gli Stati membri, ma anche all’investimento sulla ricerca e sulle innovazioni che permettano di perseguire gli obiettivi prefissati, tra cui l’accesso ad una nuova diagnosi molecolare rapida, lo sviluppo di nuovi vaccini e l’introduzione di nuovi (e più brevi) regimi terapeutici contro la tubercolosi resistente ai farmaci.
La tubercolosi in Italia è in calo, ma sono numerosi i migranti da paesi in cui l’incidenza della malattia è elevata
I dati del ‘’Tuberculosis Annual Epidemiological Report for 2020’’, mostrano che l’Italia continua a rientrare tra i Paesi a bassa incidenza (<20/100.000). I casi sono in calo dal 2010 e l’incidenza calcolata sulle notifiche nazionali è anch’essa in diminuzione dal 2019 (2,3%). Per una corretta lettura di questi dati occorre tuttavia considerare che, come evidenziato nel report OMS, la pandemia da SARS-CoV-2 ha inevitabilmente determinato una diminuzione delle notifiche dei casi in tutto il mondo.
Vanno inoltre considerati i flussi migratori provenienti da Paesi in cui l’incidenza di tubercolosi è elevata. Le condizioni di sovraffollamento che possono verificarsi sia durante il viaggio che nei centri di accoglienza gravano sullo stato di salute dei migranti, facilitando la trasmissione del micobatterio. Dal momento che la maggior parte dei casi di malattia si verifica entro 2 anni dall’ingresso nel Paese ospitante e che la differenza nel rischio relativo tra stranieri e italiani è ancora evidente (RR=6,7), il contrasto alla diffusione della tubercolosi deve necessariamente passare attraverso una serie di interventi strutturati e coordinati in modo da ridurre il rischio di diffusione di questo pericoloso patogeno. Precisa Siliquini:
occorre agire sulle condizioni di salute delle persone che giungono nel nostro Paese, sia tramite l’abbattimento delle barriere socio-linguistiche che attraverso l’attuazione di protocolli per la valutazione precoce dello stato di salute e per il monitoraggio nelle fasi successive all’accoglienza.”
Rafforzare la prevenzione
Secondo la presidente della SItI sono necessari “maggiori investimenti nei Dipartimenti di Prevenzione, anche in termini di reclutamento di risorse umane, come in parte previsto dal piano di rafforzamento dell’assistenza territoriale, che possano svolgere un ruolo di coordinamento al fine di attuare una ricerca proattiva dei casi di TBC, avvalendosi dell’ausilio della Medicina Scolastica, deputata alla prevenzione delle patologie in età scolare”. Conclude Siliquini:
la continua ricerca di ‘buone pratiche’ deve abbracciare anche patologie ben note e non più definibili come emergenti quali malaria, malattie sessualmente trasmissibili, parassitosi e HIV. Patologie che, negli ultimi anni, complice un plateau temporale nella loro prevalenza, hanno assottigliato il loro appeal verso gli investimenti in ricerca, nonostante continuino a determinare un importante impiego dei servizi sanitari e aggravare il peso della multiresistenza farmacologica, con un inevitabile impatto sulle condizioni di salute della popolazione”.