Skip to content
inquinamento aria2

Artrite reumatoide, l’inquinamento aumenta incidenza e severità della malattia

Sul fronte del contrasto alle malattie reumatologiche, oltre alla ricerca di nuove cure, vanno considerati altri fattori che possono contribuire all’insorgere delle patologie o diminuire l’efficacia dei trattamenti. Lo sostiene la Fondazione Italiana per la Ricerca in Reumatologia (FIRA), che ha posto l’accento in particolare sul ruolo dell’inquinamento ambientale e delle condizioni socioeconomiche dei pazienti.

Gli effetti dell’esposizione agli inquinanti sulle malattie autoimmuni

Un recente studio, coordinato da Giovanni Adami della UOC di Reumatologia (direttore prof. Maurizio Rossini) dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona, ha indagato la possibile relazione tra l’incidenza e la severità di diverse malattie reumatologiche, sia autoimmuni che degenerative, con l’esposizione all’inquinamento atmosferico. Lo studio ha esaminato dati clinici di 888 pazienti affetti da AR e la concentrazione giornaliera di inquinanti atmosferici nel territorio veronese, confrontando l’esposizione agli inquinanti nei 30 e 60 giorni precedenti una riacutizzazione della malattia con l’esposizione nei 30 e 60 giorni precedenti una visita con attività di lieve malattia. Come spiega Maurizio Rossini, ordinario di Reumatologia all’Università di Verona e membro del Comitato Scientifico di FIRA:

l’indagine ha riscontrato un rischio maggiore di severità di malattia e di riattivazioni di artrite reumatoide durante i periodi più inquinati da ossidi di carbonio o d’azoto o da ozono o da polveri sottili. Inoltre, è stato dimostrato che l’esposizione acuta ad elevati livelli di inquinamento atmosferico è una potenziale causa di inefficacia o perdita di efficacia delle terapie, determinando quindi la necessità di cambi di terapia e un aumento dei costi per il Servizio Sanitario Nazionale”.

I risultati dello studio veronese si inseriscono nel quadro prospettato in uno studio di popolazione a livello nazionale, che hanno messo in luce l’effetto deleterio dell’esposizione cronica all’inquinamento, specie da particolato, sul rischio di altre malattie autoimmuni, non solo reumatologiche, ma anche gastroenterologiche e neurologiche. Inoltre, l’esposizione a polveri sottili (PM10 o PM2,5 e polveri ancora più sottili) sembrerebbe avere un effetto negativo anche sul metabolismo scheletrico in quanto sembra in grado di aumentare la concentrazione della proteina RANKL (coinvolta nella regolazione e nel controllo del metabolismo osseo) e di favorire il rilascio di citochine infiammatorie, cui consegue l’attivazione degli osteoclasti, le cellule che demoliscono l’osso rendendolo più fragile.

Gli studi dei ricercatori veronesi hanno messo in luce anche che l’esposizione a polveri sottili si associa ad un aumentato rischio di bassa densità minerale ossea. Spiega Rossini:

Uno studio, condotto su oltre 59 mille donne distribuite sul territorio italiano, ha documentato che l’esposizione a concentrazioni elevate di polveri sottili di dimensione inferiore ai 10 millesimi di millimetro (PM 10) o ai 2.5 µm (PM 2.5) porta ad un aumentato rischio di osteoporosi di circa il 15%, in particolare al femore. Questo contribuirebbe a giustificare l’aumentato rischio di fratture di femore osservato nei periodi di maggiore concentrazione ” .

I progressi nelle terapie per l’AR e la quota di pazienti non responder

Negli ultimi due decenni i progressi nella terapia delle malattie reumatologiche croniche e potenzialmente invalidanti, come l’artrite reumatoide, hanno completamente cambiato la storia naturale della malattia e la qualità di vita dei pazienti. Come spiega il professor Maurizio Montecucco, ordinario di Reumatologia dell’Università di Pavia al Policlinico San Matteo e presidente di FIRA:

I risultati ottenuti nella cura dell’artrite reumatoide negli ultimi due decenni sono stati a dir poco sensazionali. Attraverso l’istituzione anche in Italia di apposite strutture organizzative denominate ‘Early Arthritis Clinic’, che consentono una diagnosi precoce e un trattamento volto al rapido e completo controllo della malattia, è oggi possibile ridurre al minimo l’invalidità, un tempo inevitabile, e azzerare l’eccesso di mortalità che storicamente accompagnava questi pazienti.”

Tuttavia, una quota intorno al 15% dei pazienti non risponde completamente ai trattamenti e vanno chiariti i motivi di questa difficoltà di cura. “Tra i fattori più importanti nell’identificazione della popolazione difficile da trattare – spiega Montecucco – vi sono l’obesità e il fumo, fattori di rischio per lo sviluppo dell’artrite, e il basso livello socioeconomico”.

La FIRA cita anche un recente studio inglese, svolto su un esteso campione di oltre 16.000 pazienti affetti da artrite reumatoide, che ha evidenziato come la capacità di gestire la malattia sia proporzionale al reddito: cala a mano a mano che questo diminuisce, con una ridotta risposta e una minore persistenza del trattamento.

Il cambiamento delle caratteristiche della artrite reumatoide

Infine FIRA segnala altro aspetto emergente nell’ultimo decennio, ossia il cambiamento delle caratteristiche dell’artrite reumatoide, che appare meno grave dal punto di vista dell’infiammazione e della deformità articolare, ma più impattante sulla qualità di vita dei pazienti. Esiste infatti una quota di pazienti che, grazie al trattamento, hanno una malattia “spenta” a giudizio del medico, ma che continuano a soffrire di dolori, stanchezza e profondo senso soggettivo di malessere. Aggiunge Montecucco:

È attualmente in corso un vigoroso dibattito scientifico sulla natura di questi disturbi che sono stati per lo più interpretati come di natura “psicologica”. In realtà appare probabile che possa trattarsi di un’infiammazione residua limitata al sistema nervoso e non direttamente diagnosticabile con gli abituali indicatori utilizzati nell’artrite. L’efficacia di alcuni farmaci per l’artrite che attraversano la barriera emato-encefalica e che quindi sono in grado di agire sulla neuro-infiammazione sembra fornire prove a supporto di questa possibilità e aprire nuove strade di trattamento anche per questi pazienti. ”

“Se da un lato – conclude Montecucco – i farmaci di nuova generazione hanno raggiunto un buon livello di efficacia, le ricerche ci stanno dimostrando che ci sono una pluralità di fattori da considerare e di meccanismi correlati da indagare per garantire un migliore stato di salute e benessere dei pazienti. Si tratta di importanti sfide per la ricerca scientifica che ci pongono obiettivi sempre più alti e che occorre continuare a supportare.”

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.