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Fibrillazione atriale

Fibrillazione atriale, trattamenti poco efficaci se la malattia è sottostimata

La fibrillazione atriale (FA) è la più diffusa forma di aritmia, e la sua prevalenza è in aumento in tutto il mondo. La compromissione dello stato di salute e della qualità della vita che spesso ne derivano per il paziente, fanno sì che il controllo dei sintomi e la preservazione della funzionalità cardiaca siano obiettivi primari del trattamento ambulatoriale.

Tuttavia, per arrivare a un trattamento adeguato ed efficace occorre un corretto inquadramento della condizione del paziente da parte del medico.

Un recente studio giapponese, condotto in due centri ambulatoriali di Tokyo, si è occupato di verificare se la conoscenza dei medici rispecchi lo stato di salute percepito dai loro pazienti con FA. Il risultato mostra come ci sia una tendenza a sottostimare questa condizione, che può influire negativamente sull’efficacia della terapia. Lo studio, quindi, supporta l’utilizzo di strumenti, come i questionari validati, che consentano di dare un peso maggiore alla voce dei pazienti nelle scelte terapeutiche.

La percezione della sintomatologia da parte medici confrontata con quella dei pazienti

Lo studio, pubblicato su JAMA Network Open, ha coinvolto 330 pazienti che, nel periodo 2018-2020, hanno ricevuto una nuova diagnosi di FA o iniziato un trattamento. I partecipanti hanno compilato il questionario specifico Atrial Fibrillation Effect on Quality-of-Life (AFEQT) progettato per indagare diversi ambiti che riguardano la FA, dai sintomi all’impatto della malattia sulle attività quotidiane, agli aspetti relativi al trattamento. Ai medici è stato chiesto invece di compilare un questionario composto da tre domande, ciascuna relativa a uno degli ambiti indagati presso i pazienti, e in cieco rispetto alle loro risposte.

Questo ha permesso -attraverso il confronto delle due serie di punteggi- di valutare la concordanza tra vissuto dei pazienti e percezione dei medici. Inoltre, la ricerca ha potuto contemporaneamente verificare la progressiva intensificazione del trattamento, intesa come inizio o modifica di una terapia farmacologica antiaritmica, cardioversione o ablazione trans catetere, entro un anno dalla diagnosi.

I risultati hanno mostrato che i medici hanno correttamente stimato lo stato di salute solo per il 34% dei pazienti, e che questo risultava invece sottostimato nel 13% dei casi. Nella maggioranza dei casi (53%) è accaduto che i medici avessero una percezione migliore delle condizioni di salute dei pazienti, rispetto a quella espressa dagli stessi.

Tale discrepanza sembra avere ripercussioni anche sulle scelte terapeutiche: la escalation di trattamento si è verificata solo nel 64% dei pazienti, il cui stato di salute era correttamente stimato, nel 48% di quelli il cui stato di salute era sottostimato e nel 66% dei pazienti il cui stato di salute era sovrastimato.

L’analisi statistica ha poi confermato che, a un anno dalla diagnosi, la sottostima dello stato di salute del paziente, da parte del medico, è indipendentemente associata a livelli di trattamento inferiori, meno “aggressivi”, e inoltre a un meno frequente miglioramento del punteggio complessivo del questionario AFEQT.

Dare un peso maggiore alle valutazioni dei pazienti può migliorare gli esiti del trattamento

I risultati, secondo gli Autori, mettono in luce un importante gap nella pratica clinica tra valutazione medica e peso reale della FA sulla vita dei pazienti, e suggeriscono che standardizzare la valutazione dello stato dei pazienti con strumenti psicometrici validati, specifici per la patologia, potrebbe migliorare le decisioni di trattamento, a vantaggio del processo di cura.

In un editoriale che accompagna lo studio, Benjamin A. Steinberg, dell’Università dello Utah di Salt Lake City (Usa) osserva che quando si deve prendere una decisione riguardo un trattamento terapeutico (specie se invasivo o ad alto rischio) fare affidamento solo sulla valutazione clinica dei sintomi non è la procedura ottimale e può portare alla perdita dell’opportunità di migliorare i risultati clinici. È quindi auspicabile l’introduzione di strumenti di decision making condivisi, per migliorare la comunicazione tra pazienti e clinici, e, più in generale, per migliorare l’assistenza di tutti i pazienti con fibrillazione atriale.

Redazione

articolo a cura della redazione