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zanzara dito

Chikungunya, il vaccino arriva anche in Italia

Dal 30 ottobre è disponibile anche nel nostro paese il vaccino a particelle simil-virali approvato dalla FDA negli Stati Uniti e dalla Commissione Europea nel febbraio 2025

La chikungunya è una malattia virale, caratterizzata da febbre e dolori articolari, trasmessa da zanzare del genere Aedes (vedi Scheda in fondo).

La malattia è diffusa nelle zone tropicali ed è considerata endemica in Asia e Africa. Recentemente un comunicato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha segnalato che “nel 2025  è stata rilevata una recrudescenza della malattia da virus Chikungunya in diversi Paesi, compresi alcuni che non avevano segnalato un numero significativo di contagi negli ultimi anni”.

Tra gennaio e settembre di quest’anno sono stati segnalati 445.271 casi sospetti e confermati e 155 decessi in 40 Paesi. Nello stesso periodo in Italia, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, ci sono stati 416 casi confermati di chikungunya (47 casi associati a viaggi all’estero e 369 autoctoni, nessun decesso).

Il vaccino

Dal 30 ottobre è disponibile anche nel nostro Paese Vimkunya, il primo vaccino ricombinante, a base di VLP (virus-like particles) a dose singola.

Giovanni Rezza, professore di Igiene all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, già direttore generale della prevenzione al Ministero della Salute, spiega:

uno dei problemi principali della chikungunya è la diagnosi precoce, soprattutto nei casi autoctoni, che possono essere confusi con altre febbri estive come dengue o West Nile. I sintomi più tipici sono febbre alta, rash cutaneo e dolori articolari molto intensi e persistenti, che in circa il 40% dei pazienti possono cronicizzare.

“In Italia – aggiunge Rezza – abbiamo avuto diversi focolai, dal primo del 2007 in Romagna fino a quelli più recenti di Carpi e Verona. Il cambiamento climatico sta estendendo la stagione delle zanzare Aedes albopictus, aumentando il rischio di trasmissione. In questo contesto, la disponibilità di un vaccino rappresenta un passo avanti importante, utile non solo per i viaggiatori diretti in aree endemiche, ma anche per prevenire nuovi cluster locali. Fondamentale è poi il follow-up territoriale: serve una stretta collaborazione tra infettivologi, reumatologi e medici di medicina generale, con protocolli condivisi per gestire il dolore cronico e assistere i pazienti a domicilio”.

Il ruolo del medico di medicina generale

“Il medico di medicina generale – spiega Luigi Vezzosi, Dirigente Medico, specialista in Igiene e Medicina Preventiva presso l’ASST di Crema, dovrebbe identificare come principali candidati alla vaccinazione contro la chikungunya i viaggiatori abituali, sia per turismo che per lavoro, diretti in aree endemiche o in zone dove si sono verificati casi o focolai.” E aggiunge:

anche se il vaccino potrebbe non essere subito disponibile negli studi dei medici di base, il ruolo del MMG resta fondamentale per il counseling e per indirizzare i pazienti ai centri vaccinali. Oltre alla destinazione, è importante valutare il tipo di soggiorno, se all’aperto o al chiuso, la durata e le condizioni di pernottamento, nonché l’età e la presenza di comorbidità, fattori che aumentano il rischio di complicanze croniche come artriti e osteoartriti post-chikungunya”.

Le strategia per prevenire le punture di zanzara

Caterina Rizzo, professore ordinario di Igiene e Medicina Preventiva presso il Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e chirurgia dell’Università di Pisa, ha precisato quali strategie risultino più efficaci per prevenire le punture della zanzara tigre, un obiettivo che appare particolarmente complesso:

evitare le punture è fondamentale, ma con questa specie particolarmente invasiva diventa quasi impossibile quando raggiunge densità elevate. Anche utilizzando repellenti, le zanzare tigre trovano comunque il punto dove pungere. Questo ci pone di fronte a un problema: le misure necessarie devono essere adottate tempestivamente è indispensabile, infatti, ridurre la densità del vettore attraverso larvicidi e adulticidi, non solo nelle aree pubbliche, ma anche e soprattutto nei giardini privati. Sappiamo però che questo non basta. Ci aiuta a evitare forse un’epidemia da 300 casi se manteniamo la situazione sotto controllo, ma i casi secondari possono verificarsi comunque.”

“Abbiamo a disposizione strumenti limitati per la prevenzione di queste infezioni.- conclude Rizzo – Considerando il cambiamento climatico, i continui spostamenti di persone da aree endemiche verso il nostro paese e la scarsità di mezzi a disposizione, dobbiamo necessariamente pensare di integrare le misure di prevenzione tradizionali con altre strategie disponibili, soprattutto quando si verificano focolai di rilevante entità.”

 

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Pogliaghi
Silvia Pogliaghi

Giornalista scientifica, specializzata su ICT in sanità.

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