Patologie croniche, un’emergenza sanitaria che va oltre il Covid
La pandemia da SARS-CoV-2 ha avuto un impatto impressionante su anziani e malati cronici, non solo per i tassi molto più elevati di mortalità rispetto alle altre fasce della popolazione, ma anche per le difficoltà incontrate dai pazienti nell’accesso alle cure e nella continuità terapeutica, in un sistema sanitario messo a dura prova dall’emergenza.
La presa in carico dei malati cronici rimane uno dei problemi centrali dell’organizzazione della sanità e ci si interroga su quali debbano essere le linee guida per affrontarlo dopo lo “tsunami” che si è abbattuto sull’assistenza sanitaria.
Lo scenario
Secondo la ricerca Confcooperative 2018 in Italia negli ultimi anni l’invecchiamento della popolazione (+ 0,2% all’anno) ha fatto aumentare le patologie cronico-degenerative, fino a interessare il 40% degli italiani, circa metà dei quali (12,5 milioni) è portatore di multi-cronicità, con il 2,9% costituito da anziani.
Un’altra indagine del 2019 ci dice che gli ultra-75enni sono l’11% della popolazione (7.058.755) e 1 su 3 vive da solo/sola.
Ipertensione, diabete, epatiti e cardiopatie scompensate sono oggi le più diffuse malattie organiche croniche (42,6% degli uomini vs 54,4% delle donne) così come l’osteoporosi (5,2% negli uomini vs 31,2% nelle donne) o le artrosi/artriti (27,8% uomini vs 48,3% donne).
Occorre inoltre considerare che l’aumento delle patologie croniche non è dovuto solo a invecchiamento della popolazione, ma anche al fatto che l’innovazione medico-scientifica ha reso disponibili nuove cure che hanno in sostanza cronicizzato patologie che, pur non potendo essere completamente risolte, vengono stabilizzate, interessando peraltro anche fasce di popolazione più giovane: basti pensare, per esempio, ai tumori o ad alcune patologie neurologiche, come la sclerosi multipla.
Secondo dati OMS a livello mondiale le malattie croniche richiedono l’impegno del 70-80% delle risorse sanitarie e in Italia si stima che, nel 2028, la spesa per queste patologie raggiungerà i 70,7 miliardi di euro.
Le difficoltà del SSN
L’assistenza ai malati cronici è una sfida per le strutture ospedaliere, ma soprattutto per la medicina del territorio.
In Italia la media nazionale di assistenza domiciliare dedicata/integrata (ADI) è di circa 17 ore per singolo caso, ed è insufficiente a garantire una presa in carico efficace, che a livello internazionale prevede circa 20 ore mensili.
La pandemia ha trovato terreno fertile nel sovraffollamento delle RSA causato dal vuoto assistenziale a cui si sono trovate esposte le famiglie, che a loro volta hanno alimentato il mercato sommerso e poco qualificato del badantato, quando invece sarebbero stati necessari investimenti sulle reti assistenziali.
Già prima della pandemia il SSN si è trovato a gestire disuguaglianze strutturali a livello regionale, in termini di misure di prevenzione, ritardi diagnostici, disomogenea qualità assistenziale e difficoltà d’interazione tra specialisti, medicina del territorio e ospedali.
A quattro anni dall’approvazione del Piano Nazionale della Cronicità (2016) la strada da fare appare ancora lunga, in particolare per quanto riguarda i costi-benefici dell’assistenza, sia per il paziente, che il per il SSN, conciliando outcome di salute positivi per il primo e costi sostenibili per il secondo.
Nuove proposte
Un’interessante indicazione sui nuovi strumenti che possono essere messi in campo per affrontare le sfide della cronicità viene da un recente convegno intitolato: “Dalla Real World Evidence all’Health Technology Assessment – Strategie per l’evoluzione di governance e sostenibilità.”
Secondo Roberta Siliquini, docente di Sanità Pubblica, School of Medicine di Torino: “Per quanto riguarda il trattamento, cure e follow up di tutte le patologie croniche è ora più che mai indispensabile trovare strumenti che ci permettano di valutare le adatte tecnologie di avvicinamento ai pazienti, soprattutto i cronici.”
Giorgio Racagni, presidente della Società Italiana di Farmacologia (SIF), ha precisato: “La situazione tragica del Covid ci ha insegnato che i Sistemi sanitari globali non sono più sostenibili a meno che non si realizzino interventi normativi, politici ed economici basati su basi tecnico- scientifiche.”
“Ci sono evidenze chiare – ha aggiunto Luca Pani, Università di Miami – che raccomandano l’uso delle tecnologie digitali. La prima è che i sistemi sanitari sono vulnerabili dal punto di vista socio-economico. Poi esiste una mancanza di corrispondenza tra invecchiamento della popolazione e il carico progressivo sulla sanità dovuto a invecchiamento, la terza è avere consapevolezza che le popolazioni usano già molto le tecnologie digitali, non si capisce perché non debbano farlo per la salute. Spero che l’Italia utilizzi queste evidenze in modo precoce e con ruolo guida”.
A beneficiare di questo nuovo corso possono essere, per esempio, i 16 milioni di ipertesi italiani che, a meno di una grave acuzie, nella prima ondata di pandemia non sono stati mai visitati. Altro key point sarebbe quello di dotare gli ambulatori Asl di strumenti diagnostici adeguati per evitare l’imbuto delle visite ospedaliere, come per esempio l’OCT per la diagnosi delle maculopatie.
A giugno Antonio Magi, segretario generale del sindacato SUMAI Assoprof (Sindacato Unico Medicina Ambulatoriale Italiana e Professionalità dell’Area Sanitaria) ha indicato che nel lockdown sono state sospese 11 milioni di prestazioni specialistiche e che per superare questo stallo occorre non solo rafforzare la specialistica, ma anche fare in modo che specialistica territoriale e ospedaliera e medicina generale si parlino.
L’esperienza d’avanguardia del Policlinico di Milano
Forse la prima realizzazione pratica di questo nuovo corso è arrivata all’inizio di dicembre come frutto di una strategia pianificata già prima del Covid-19 per integrare l’attività clinica con ricerca scientifica e insegnamento; un nuovo reparto al Policlinico di Milano dedicato a una gestione globale delle emergenze infettive: non solo Covid-19, ma anche AIDS, antibiotico-resistenza, sperimentazione di vaccini, sepsi grave, ecc.
Diretto da Andrea Gori, è già un punto di riferimento per la ricerca contro gli agenti patogeni e ha appena pubblicato uno studio sul Journal of Allergy and Clinical Immunology che dimostra come sia possibile dimezzare la mortalità dei pazienti con iper-infiammazione polmonare da SARS-COV2 grazie a un’associazione tra immuno-modulanti e cortisonici.
“Questi 14 posti letto- ha dichiarato Ezio Belleri, direttore generale del Policlinico- sono stati concepiti per fornire un’arma in più contro malattie molto diverse come AIDS, epatiti, infezioni antibiotico-resistenti, ma tutte rivelatesi determinanti anche contro la pandemia da Covid-19, su cui abbiamo già in corso numerosi studi scientifici e sperimentazioni cliniche. Una scelta che si è rivelata vincente, grazie anche all’integrazione con diverse nostre discipline mediche come Pneumologia, Centri Trapianti o Terapia Intensiva”.