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epatite test

Epatite C, perché è importante proporre il test agli over 50

  • Alessandro Visca
  • Medicina

L’epatite C è un’infezione virale identificata solo nel 1989 quando venne isolato il virus HCV. In precedenza la malattia veniva definita epatite “non A non B”. L’infezione da HCV è quasi sempre asintomatica nella fase iniziale e nella grande maggioranza dei casi (85%) si cronicizza. Il 20-30% dei pazienti con epatite cronica C sviluppa, nell’arco di 10-20 anni, cirrosi e, in circa l’1-4% dei casi, un epatocarcinoma. La malattia si trasmette principalmente per via parenterale e molto meno frequentemente per via sessuale.

Le epatiti virali rappresentano uno dei principali problemi di sanità pubblica a livello globale. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel mondo ci sono circa 71 milioni di portatori cronici del virus dell’HCV. In Italia si stima che la prevalenza di epatite C nella popolazione generale sia attorno allo 0,68%. Un dato che include anche le persone non ancora diagnosticate, che sarebbero tra le 250 e le 300mila.

Alessandra Mangia, responsabile dell’Unità di Epatologia presso l’IRCCS “Casa sollievo della sofferenza” di San Giovanni Rotondo (FG), spiega:

“l’Unità che dirigo ha promosso nel 2020 un progetto di screening -cosiddetto opportunistico- di tutti i pazienti ammessi per la prima volta nell’arco dell’anno, fra l’altro l’anno della pandemia. Su circa 12.000 persone sottoposte al test per HCV al ricovero, abbiamo identificato 356 anti-HCV positivi, di cui 114 presentavano un’attiva replicazione virale, avevano cioè una malattia in fase attiva. Abbiamo riscontrato una prevalenza complessiva dell’infezione dello 0.9%. Tutti i pazienti con un’aspettativa di vita superiore a 6 mesi sono stati sottoposti al trattamento e hanno ottenuto l’eradicazione del virus nell’98.7% dei casi”.

L’incidenza della malattia è maggiore nella fascia d’età sopra i cinquant’anni

Sotto il profilo epidemiologico la malattia ha una maggiore incidenza nella fascia d’età sopra i cinquant’anni. “La novità più importante della nostra indagine – conferma Mangia – è stata l’evidenza che la maggior parte delle infezioni si concentra nei soggetti nati prima del 1964 e aumenta all’1.3% se prendiamo in considerazione i nati prima del 1954, per toccare il 2% nelle persone che hanno oggi 75-85 anni. Il valore del nostro studio, pubblicato nel 2021, è stato quello di evidenziare come il corretto target per lo screening di popolazione nel nostro Paese non siano i giovani, ma i nati prima del 1960”.

La maggiore diffusione dell’infezione da HCV negli over 50 si spiega con le differenze nelle conoscenze e nelle tecniche sanitarie degli anni che precedono l’identificazione del virus. Non esistevano test per il plasma trasfuso e organi da donatore, né si utilizzavano aghi, siringhe e strumenti chirurgici monouso.

Inoltre le persone che oggi hanno tra cinquanta e sessant’anni hanno vissuto un’epoca caratterizzata da un diffuso uso di sostanze stupefacenti e da una maggiore libertà sessuale con poca cognizione del rischio.

L’infezione da HCV rappresenta una minaccia non solo per il fegato

Stefano Brillanti, professore di Gastroenterologia dell’Università di Siena spiega:

“L’infezione da HCV è causa diretta dell’epatite C. Tuttavia, non deve essere vista solo come causa di epatite, poiché si tratta di un’infezione con interessamento e coinvolgimento sistemico. Ben nota è la patologia da crioglobuline che essa determina, con le importanti manifestazioni patologiche a scapito principalmente della cute, dei reni e del sistema nervoso periferico. Inoltre la stimolazione continua della risposta immunitaria comporta un’aumentata incidenza di linfoma. Se, da un lato queste complicanze non-epatiche sono note e conosciute, dall’altro, negli ultimi anni, è divenuto sempre più evidente come l’infezione da HCV rappresenti un fattore di rischio indipendente per altre malattie ad importante impatto sociale. Mi riferisco all’aumentata incidenza di diabete, malattie cardiovascolari, insufficienza renale non-crioglobulinemica e, non da ultimo, di depressione. L’incidenza di tali patologie è significativamente maggiore nei soggetti HCV-positivi rispetto ai controlli HCV-negativi. Infine, studi prospettici longitudinali di coorte hanno dimostrato come nei soggetti con infezione da HCV la probabilità di morte per cause non epatiche è quasi il doppio rispetto ai soggetti HCV negativi a dimostrazione di come l’infezione da HCV possa essere causa di gravi patologie non legate al fegato”.

Una malattia curabile con i farmaci antivirali

Negli ultimi anni l’introduzione di farmaci antivirali ad azione diretta consente di curare l’epatite C con percentuali di successo vicine al 90%, tanto che l’OMS ha fissato come obiettivo l’eradicazione della malattia entro il 2030. Inoltre la terapia tempestivamente avviata ha un ruolo anche nella prevenzione delle complicanze extraepatiche dell’infezione. “La terapia antivirale – conferma Brillanti – una volta eradicata l’infezione, può prevenire anche gli outcome negativi non legati al fegato. Ovviamente, come nel caso, ad esempio della cirrosi epatica, anche per le malattie sistemiche associate all’infezione da HCV esistono dei punti di verosimile non-ritorno, in cui la sola eliminazione dell’infezione virale non è più in grado di modificare significativamente in modo positivo il decorso della malattia” e aggiunge:

Pertanto, appare importante iniziare la terapia antivirale per l’infezione da HCV il più presto possibile ed identificare sempre più i soggetti con infezione da HCV non nota, o perché apparentemente asintomatici o perché non sospetti di avere l’infezione. Il compito di sospettare ed identificare il cosiddetto “sommerso” appare fondamentale nel contrasto non solo dell’epatite C, ma anche delle patologie non-epatiche legate all’infezione HCV”.

Un importante obiettivo per la sanità pubblica

Far emergere i casi non diagnosticati di epatite C rappresenta quindi un importante obiettivo di Sanità pubblica, tanto che recentemente sono stati sbloccati 70 milioni di euro stanziati già nel 2019 per screening gratuiti e campagne d’informazione. “L’eliminazione dell’epatite C, – conferma Mangia – non è solo un obiettivo etico e socialmente rilevante, ma anche economicamente e finanziariamente conveniente. Studi di farmacoeconomia effettuati negli Stati Uniti, per esempio, hanno evidenziato che i trattamenti per HCV effettuati in quel Paese si convertiranno in 50 miliardi di dollari risparmiati nei prossimi 10 anni. Una gestione condivisa tra Medico di Medicina Generale (MMG) e lo specialista Epatologo rende il percorso assistenziale complessivo del paziente con epatite virale da virus C appropriato, efficace e sostenibile”.

Il ruolo del Medico di Medicina Generale

“All’interno di un algoritmo per l’identificazione del sommerso, cioè dei casi di infezione da HCV non diagnosticati – specifica Mangia – il medico di medicina generale ha un ruolo chiave nello screening e i dati dimostrano che vale la pena sottoporre a screening tutti gli over 50. L’invio diretto degli anti-HCV positivi allo specialista ridurrà i tempi di attesa prima della terapia e il rischio di “lost to follow-up” cioè dei pazienti che si perdono prima di iniziare la cura.  Un altro ruolo chiave del MMG si esplicherà nel monitoraggio a lungo termine dei pazienti che, guariti dopo la cura e senza danno epatico significativo prima del trattamento, non necessitino più di controlli specialistici. Infine, soprattutto in alcune categorie a rischio il medico di base può avere un’azione incisiva nel cambiamento dello stile di vita del paziente e penso alle persone che fanno uso di sostanze che con il contributo del MMG possono decidere di intraprendere la terapia per HCV”.

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.