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fegato malattie

Steatosi epatica non alcolica, il possibile ruolo degli antinfiammatori

La steatosi epatica non alcolica NAFLD è una sindrome caratterizzata da accumulo di grassi nel fegato, spesso associata ad obesità, diabete, e stile di vita scorretto con scarsa attività fisica, dieta povera di fibre e ricca in acidi grassi saturi. Questa condizione può evolvere in steatoepatite non alcolica e aumenta il rischio di sviluppare patologie epatiche più gravi come fibrosi, cirrosi ed epatocarcinoma.

Recentemente AISF (Associazione italiana per lo studio del fegato), SID (Società Italiana di Diabetologia) e SIO (Società Italiana dell’Obesità) hanno pubblicato le Linee guida per la pratica clinica della steatosi epatica non alcolica.

Lo studio clinico con aspirina a basse dosi

L’approccio terapeutico a questa sindrome si basa essenzialmente sul cambiamento dello stile di vita e la riduzione del peso corporeo. Nonostante un gran numero di studi clinici pubblicati o in corso, attualmente non esiste un trattamento farmacologico approvato per la steatoepatite non alcolica. Uno studio americano, condotto su un numero limitato di pazienti ha verificato il possibile ruolo degli antinfiammatori, in particolare ha dimostrato che la somministrazione quotidiana di aspirina a basse dosi comporta, rispetto al placebo, una significativa riduzione di infiltrazione grassa in pazienti con NAFLD senza cirrosi, e migliora i biomarcatori di infiammazione epatica e fibrosi.

Robert Wilechansky, del Massachusetts General Hospital di Boston, che ha presentato lo studio al meeting dell’American Association for the Study of Liver Disease (AASLD) ha affermato:

se l’aspirina può ridurre il grado di infiammazione, potrebbe indurre una riduzione anche delle steatoepatiti. Questo studio mostra sicurezza e tollerabilità della terapia, ma servirebbero studi più vasti e più a lungo termine per testare l’efficacia dell’aspirina nel miglioramento istologico e per in controllo degli eventi avversi.”

La ricerca ha coinvolto 82 pazienti con NAFLD, assegnati in modo casuale a un trattamento con placebo oppure con aspirina, alla dose di 81 mg al giorno, per 6 mesi. Lo studio non ha considerato alcune categorie di pazienti: forti bevitori, cirrotici, utilizzatori di aspirina o anticoagulanti, pazienti con malattia renale, cardiovascolare, oncologica, donne in allattamento e gravidanza.

Dopo sei mesi, nel gruppo sperimentale è stato riscontrato un calo della frazione grassa epatica (HFF) pari al 6,1%, contro il 4,2% registrato nei controlli, che si traduce in una differenza del 10,3% a favore di aspirina (p=0,009); l’uso di aspirina inoltre è risultato associato a una riduzione relativa di HFF, pari ad almeno il 30%, in 16 dei 40 pazienti del gruppo sperimentale. Nello stesso gruppo si sono registrate anche riduzioni significativamente maggiori dei livelli di transaminasi epatiche e nella liver stiffness. indice indiretto della fibrosi epatica.

In circa un terzo dei pazienti, in ogni braccio di studio, si è verificato almeno un evento avverso, ma nessun caso di grave sanguinamento: solo in un caso, un evento avverso collegato all’assunzione di aspirina ha portato all’interruzione dello studio.

Redazione

articolo a cura della redazione