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Cuore Scompenso

L’utilizzo dell’NT-proBNP per individuare i soggetti diabetici a rischio di scompenso cardiaco

L’insufficienza cardiaca (HF) può essere definita come una sindrome clinica complessa che deriva da qualsiasi compromissione strutturale o funzionale del riempimento ventricolare o dell’eiezione del sangue [1]. I dati epidemiologici relativi a questa condizione sono di assoluto rilievo, con più di 64,3 milioni di soggetti colpiti nel mondo [2] e una prevalenza che si attesta intorno all’1% nella fascia di età tra i 50 e i 59 anni, per arrivare al 10% circa tra gli over 75 [3]. Tali cifre indicano una dipendenza dall’età e da comorbilità quali l’ipertensione, l’obesità e il diabete mellito di tipo 2 (T2D) [1], ma occorre considerare anche l’elevato numero di sopravvissuti a lungo termine all’infarto del miocardio, che sono particolarmente esposti allo sviluppo di disfunzione del ventricolo sinistro (LVD) [3].

Negli ultimi anni, il progresso dei trattamenti ha portato a un miglioramento della sopravvivenza, ma il tasso di mortalità a 5 anni per HF avanzata è di circa il 50% e in alcuni Paesi il numero di decessi per HF ha superato il numero di decessi per infarto miocardico. Secondo i registri e gli studi clinici sull’HF, le caratteristiche dei pazienti, i dati demografici e le strategie terapeutiche nell’HF variano da una regione geografica all’altra, e questo può causare problemi nell’interpretazione dei risultati degli studi.

Un’area di particolare attenzione per il clinico è quella dei pazienti con T2D e HF concomitanti [1]. In generale, l’HF clinicamente manifesta è presente nel 10-30% di tutti i soggetti con T2D, particolarmente comune a partire dai 70 anni di età, mentre il 30-40% di tutti i casi di HF acuta o cronica ha un T2D prevalente [3].

Inoltre, nei soggetti con T2D, l’HF rappresenta spesso il primo evento cardiovascolare e il rischio di ospedalizzazione per HF è superiore del 33% rispetto ai soggetti senza T2D. Si ritiene peraltro che la prevalenza di HF non riconosciuta nelle persone con T2D sia considerevole: la recente Universal Definition and Classification of HF ha riconosciuto il T2D come primo fattore di rischio per HF incidente, suggerendo che gli individui con T2D si trovano nel primo stadio dell’HF (stadio A) [4].

Anche le persone con pre-diabete (secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) hanno un rischio di insorgenza di HF aumentato del 9-58% rispetto ai normoglicemici, oltre a un rischio di morte per tutte le cause e di esiti cardiovascolari maggiorato [3]. Inoltre, alcuni dati indicano un rischio incrementale di morte cardiovascolare (CV) e di ospedalizzazione per HF, rispetto ai pazienti con HF senza diabete di tipo 2 [1]. Infine, studi prospettici di coorte mostrano anche che l’HF può essere una condizione prodromica allo sviluppo di T2D. In sintesi, le evidenze disponibili depongono a favore di una stretta interrelazione tra T2D e HF: il T2D aumenta il rischio di HF, l’HF è altamente prevalente nei pazienti con T2D e l’HF potrebbe aumentare il rischio di sviluppare T2D [3].

La fisiopatologia dello sviluppo dell’HF nel T2D è complessa. In primo luogo, occorre sottolineare che il segno distintivo del T2D, ovvero l’iperglicemia, è uno dei principali responsabili e i dati osservativi suggeriscono un aumento del rischio di HF dell’8-16% per ogni aumento dell’1% dell’HbA1c [1]. Oltre a ciò, T2D è correlato all’obesità e all’adiposità viscerale (in particolare, al tessuto adiposo epicardico), che si associa a una compromissione della funzione miocardica e a un aumento del rischio di HF. Inoltre, il T2D è associato a un declino accelerato della funzione renale e a un aumento del rischio di malattia renale cronica, che influisce negativamente sul rischio di esito di HF [1].

In questo quadro complessivo, emerge con forza l’importanza di un trattamento dei pazienti con T2D che li protegga anche dai rischi cardiovascolari. A tale riguardo, gli studi dimostrano che tale protezione si possa ottenere con diverse classi di farmaci ipoglicemizzanti, come la metformina [5] gli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2i) [6] e gli agonisti recettoriali del GLP-1 [7].

In particolare, gli SGLT2i sono l’ultima novità nella terapia medica indicata dalle linee guida per HF con frazione di eiezione ridotta, con studi recenti che suggeriscono una riduzione significativa degli esiti cardiovascolari avversi nei pazienti con HF con frazione di eiezione lievemente ridotta e conservata. Gli inibitori SGLT-2 si sono evoluti come farmaci metabolici grazie ai loro effetti multisistemici e sono indicati per la gestione dell’HF in tutto lo spettro della frazione di eiezione, del diabete di tipo 2 e della malattia renale cronica [8].

I dati sottolineano soprattutto i vantaggi dell’iniziare precocemente il trattamento con terapie salvavita, una strategia che diminuisce il rischio di infarto miocardico, HF, ictus ed esiti cardiovascolari compositi nei pazienti con T2D di nuova diagnosi [9], nonché il rischio di ospedalizzazione per qualunque causa nei soggetti con T2D e pregresso infarto miocardico [10].

L’importanza di stratificare il rischio di HF

Fortemente raccomandato è perciò l’uso di metodi di valutazione del rischio di HF. In questo si sono rivelati di grande utilità i peptidi natriuretici (NP), in particolare il peptide natriuretico di tipo B (BNP) e il suo frammento N-terminale (NT-proBNP), che hanno dimostrato il loro valore diagnostico e prognostico nei pazienti con HF, tanto che l’NT-proBNP è stato giudicato il gold standard tra i biomarcatori di HF [11].

I dati disponibili mostrano che, indipendentemente dalla storia clinica del paziente, un repentino incremento dei livelli di NT-proBNP può essere rilevato già 6 mesi prima dell’ospedalizzazione per scompenso [12]. Inoltre, l’NT-proBNP si è rivelato un potente predittore di esiti CV al basale e al follow-up e le sue variazioni di concentrazione sono correlate a un profilo di rischio alterato, a differenza delle variazioni dei livelli di emoglobina glicosilata [13].

Molto significativa per l’individuazione dei soggetti con diabete che sono a rischio di esiti cardiovascolari è il valore di soglia di 125 pg/mL. Al di sotto di tale valore di NT-proBNP infatti il valore predittivo negativo per eventi cardiovascolari a breve termine nei pazienti diabetici è del 98% [14].

Utili per gestire il rischio cardiovascolare, e in particolare stratificare il rischio di scompenso cardiaco nel paziente con diabete, sono le indicazioni contenute nelle più recenti linee guida delle maggiori società scientifiche mondiali. In quelle redatte dalla European Society of Cardiology (ESC) 2023, l’indicazione è di misurare il BNP/NT-proBNP (classe I, livello B) e di monitorare in modo sistematico i sintomi e/o segni di HF. In pazienti ospedalizzati per HF acuto, nel follow-up post-dimissione la raccomandazione ESC è di prestare particolare attenzione ai valori di NT-proBNP, oltre ai segni e sintomi di congestione, ipertensione, ritmo cardiaco, concentrazioni di potassio ed eGFR [15].

Simili le indicazioni contenute in un recente documento di consenso dell’American Diabetes Association (ADA) 2024. Secondo tali linee guida, gli adulti con diabete sono a maggior rischio di sviluppare anomalie strutturali o funzionali cardiache asintomatiche (insufficienza cardiaca di stadio B) o sintomatiche (insufficienza cardiaca di stadio C). La raccomandazione è quindi di considerare lo screening degli adulti con diabete attraverso la misurazione di BNP o di NT-proBNP per facilitare la prevenzione dello stadio C dell’insufficienza cardiaca [16].

Il dosaggio di NT-proBNP è utile sia come test iniziale per la diagnosi, sia come marcatore prognostico per valutare la severità della malattia e monitorarne la progressione nel tempo. L’indicazione ancora una volta è di usare la soglia dei 125 pg/mL: al di sopra di tale valore, c’è un rischio raddoppiato di ospedalizzazioni non pianificate o decesso entro 12 mesi, al di sotto, non è richiesta alcuna azione immediata, ma l’indicazione è di ripetere il test dopo un anno [16, 17].

In ultimo, qualche considerazione farmaco-economica: l’utilizzo dell’NT-proBNP anche in una fase asintomatica nei pazienti con diabete di tipo 2 per l’invio ai trattamenti cardioprotettivi è in grado di ridurre i costi, ottimizzare le allocazioni delle risorse e il loro utilizzo [18].

 

Bibliografia

  1. Ofstad AP et al. Heart Failure Reviews 2018; 23:303-323.
  2. Savarese G, et al. Cardiovasc Res. 2023; 118: 3272-87.
  3. Ceriello A et al. Cardiovasc Diabetol 2021; 20: 218.
  4. Dolgin M et al. Criteria Committee. Nomenclature and criteria for diagnosis of diseases of the heart and great vessels. 9th ed. Boston, MA: Lippincott Williams and Wilkins; March 1, 1994.
  5. Han Y et al. Cardiovasc Diabetol. 2019; 18: 96.
  6. Kosiborod M et al. Circulation. 2017; 136: 249-259.
  7. Ghosh-Swaby OR et al. Lancet Diabetes Endocrinol. 2020; 8: 418-435.
  8. Talha KM et al. Int J Heart Fail. 2023; 5(2): 82–90.
  9. Paul SK et al. Cardiovasc Diabetol 2015; 14: 100.
  10. Moady G et al. J Cardiovasc Pharmacol Ther 2024 Jan-Dec: 29: 10742484241252474.
  11. McKie P, Burnett JC. J Am Coll Cardiol 2016. PMID: 27908348.
  12. Wolsk E et al. Circulation 2017; 136: 1560-1562.
  13. Neuhold S et al. Eur J Clin Invest 2011; 41: 1292-1298.
  14. Huelsmann M et al. Eur Heart J 2008; 29: 2259-2264.
  15. Cardiovascular Disease and Risk Management: Standards of Care in Diabetes—2024. Diabetes Care 1 January 2024; 47 (Supplement_1): S179–S2.
  16. Marx N et al. Eur Heart J 2023 Oct 14; 44(39): 4043-4140.
  17. Pop-Busui et al. Diabetes Care 2022; 45: 1670–1690.
  18. Pandey A et al. Heart Failure 9.3. 2021; 215-223.
Redazione

articolo a cura della redazione