Osteoporosi. Il ruolo critico dell’assistenza primaria per la salute delle ossa
Il carico sanitario e sociale oltre che epidemiologico dell’osteoporosi impone l’adozione di strategie volte a individuare le fasce a rischio e attuare politiche di prevenzione. Una recente review, di cui riportiamo i passaggi più significativi, sintetizza un possibile approccio pratico, utile nell’ambito della medicina generale.
Le cifre epidemiologiche riguardanti le fratture ossee raccontano un problema assai diffuso in tutto il mondo: nel 2019 si calcolavano 178 milioni di eventi in 204 paesi. Particolarmente degno di nota il rischio per gli anziani, legato ovviamente all’osteoporosi. In termini di rischio, a livello globale una donna su tre e un uomo su cinque tra gli over 50 andranno incontro a una frattura da osteoporosi nel corso della loro vita (negli Stati Uniti si stimano tassi ancora superiori: una donna su due e un uomo su quattro).
Ben intuibile l’impatto che le fratture osteoporotiche hanno sulla popolazione, soprattutto anziana: a incidere è in primo luogo la riduzione della qualità della vita, associata alla necessità di assistenza da parte del caregiver, la perdita di produttività lavorativa e infine l’aumento della mortalità, tutti fattori che incidono sui costi a carico delle famiglie e della collettività.
Informazioni più dettagliate vengono da una recente ricerca basata sui dati Medicare, l’assistenza sanitaria federale degli Stati Uniti, da cui è emerso che i pazienti che subiscono una frattura osteoporotica hanno il 40% di probabilità di essere ricoverati entro una settimana, il 14% di avere ulteriori fratture entro un anno, il 3% di finire istituzionalizzati. Altri dati riferiti agli Stati Uniti per il periodo 2000-2011 mostrano in modo significativo che il numero di ricoveri per fratture osteoporotiche (43%) supera di gran lunga quelli per infarto (25%), ictus (26%) e cancro alla mammella (6%).
In Europa, la disabilità legata all’osteoporosi è paragonabile o superiore alla disabilità dovuta a malattie cardiache legate all’ipertensione, all’artrite reumatoide e all’asma. La mortalità a un anno in seguito a una frattura dell’anca è stata segnalata tra il 20% e il 35%.
L’osteoporosi in medicina generale
I medici di Medicina generale (MMG) sono il primo contatto con la popolazione e godono pertanto di una posizione unica per identificare e gestire i soggetti a rischio di osteoporosi e di frattura osteoporotica. Questa posizione vantaggiosa è tuttavia controbilanciata da alcuni fattori che giocano a sfavore di una corretta presa in carico delle problematiche di salute dei pazienti.
Il primo di questi fattori è la scarsa diffusione tra i MMG delle più recenti acquisizioni in termini di valutazione, diagnosi e trattamento dell’osteoporosi. Le ragioni di questa lacuna sono rintracciabili nella scarsità di tempo e nella mancanza di informazioni e conoscenze, che si sommano a dubbi e timori sull’efficacia e sulla sicurezza dei trattamenti. A questo dovrebbero porre rimedio le linee guida elaborate dalle diverse società scientifiche che si occupano di osteoporosi, ed è ciò che è stato fatto in passato. Tuttavia, finora si evidenziava un certo grado di disuniformità tra le raccomandazioni e le indicazioni fornite dalle varie organizzazioni nei differenti Paesi.
A correggere la rotta ci hanno pensato le ultime edizioni delle linee guida dell’American Association of Clinical Endocrinologists/American College of Endocrinology (AACE/ACE), della Bone Health and Osteoporosis Foundation (BHOF; ex National Osteoporosis Foundation), dell’International Osteoporosis Foundation (IOF), della European Society for Clinical and Economic Aspects of Osteoporosis and Osteoarthritis (ESCEO), della Endocrine Society e infine della North American Menopause Society (NAMS).
Esse appaiono ora concordi su una serie di punti, in merito in particolare alla classificazione e al trattamento dei pazienti in base alla categoria di rischio di frattura. Di particolare interesse è lo strumento denominato Radically Simple sviluppato da IOF e BHOF: si tratta di un ausilio visivo che consente ai medici di iniziare il dialogo con i loro pazienti sull’osteoporosi e sul rischio di frattura durante le visite mediche.
Con queste premesse, è possibile adottare un approccio pratico ed efficace alla valutazione e alla gestione dell’osteoporosi, facile da applicare nella pratica clinica e in grado di guidare il processo decisionale clinico.
Tale approccio si articola in quattro diverse fasi successive: identificare i pazienti a rischio, diagnosticare l’osteoporosi, intervenire con un trattamento personalizzato, e infine implementare un monitoraggio a lungo termine.
Nel seguito vengono illustrate più diffusamente le indicazioni per ciascuna fase, tratte da una recente review apparsa su Current Medical Research and Opinion a cura di Singer AJ e coll. che riassume le indicazioni aggiornate delle linee guida sopracitate.
Fase 1 identificare i pazienti a rischio di fratture osteoporotiche attraverso uno screening proattivo
Il punto di partenza è l’evidenza che il più forte fattore predittivo di una futura frattura osteoporotica è la frattura osteoporotica precedente. Un evento fratturativo in un determinato sito anatomico è di solito indice di una qualità ossea compromessa a livello sistemico e aumenta il rischio di future fratture in altri siti. È per questo che la valutazione del rischio dovrebbe iniziare con l’acquisizione di un’anamnesi di frattura, con un colloquio in presenza o da remoto, cercando di coinvolgere i pazienti utilizzando un linguaggio appropriato (FIGURA 1).
Figura 1 Valutazione del rischio di osteoporosi o di frattura
In particolare, le indicazioni delle linee guida BHOF, AACE/ ACE, IOF/ESCEO sottolineano l’importanza dei seguenti punti:
- i pazienti con una recente frattura dell’anca o vertebrale sono ad altissimo rischio di frattura e dovrebbero procedere immediatamente a un piano di trattamento personalizzato;
- ai pazienti che non riportano una recente frattura dell’anca o vertebrale dovrebbero essere poste domande di follow-up volte a identificare i fattori di rischio per l’osteoporosi o le fratture osteoporotiche (anca, colonna vertebrale, polso, omero, tibia e del bacino);
- i pazienti identificati come portatori di uno dei fattori di rischio per l’osteoporosi o per le fratture osteoporotiche, che mostrano segni e sintomi di frattura vertebrale e/o rischio di caduta, o le donne in postmenopausa, dovrebbero essere sottoposti a ulteriori indagini come descritto nella successiva fase 2.
Fase 2 indagare e diagnosticare i pazienti con osteoporosi a rischio di fratture osteoporotiche
La seconda fase consiste nell’indagare e diagnosticare i pazienti sospettati di essere a rischio di frattura a causa dell’età, della presenza di segni e sintomi di frattura vertebrale e/o del rischio di caduta (FIGURA 2).
Figura 2 Pazienti candidati alla valutazione della BMD
Fondamentali in questo processo sono due esami strumentali:
- la densitometria a raggi X a doppia energia (DXA) per la misurazione della BMD,
- l’imaging vertebrale, quando indicato, mediante radiografie laterali della colonna vertebrale o la valutazione della frattura vertebrale (VFA) per identificare eventuali fratture non diagnosticate in precedenza.
La scansione DXA fornisce un T-score che può essere utilizzato nella previsione del rischio di frattura e nella diagnosi di ciascun paziente confrontando i valori di BMD del paziente (in g/cm2) con i valori di BMD di riferimento. La diagnosi di osteoporosi viene perciò posta:
- strumentalmente, con un T-score ≤-2,5 in qualsiasi sito (colonna lombare, anca totale, collo del femore, radio distale, sulla base del punteggio BMD più basso)
- clinicamente, in una persona con una frattura dell’anca o delle vertebre, indipendentemente dalla densità ossea, e in una persona con una bassa massa ossea (osteopenia; T-score tra -1,0 e -2,5) e una precedente frattura all’omero, al bacino o al radio distale).
Una menzione meritano le differenze di genere nelle raccomandazioni. Da un’analisi della letteratura internazionale sul tema emerge infatti che:
- alcune linee guida raccomandano il test della BMD per le donne in postmenopausa di età pari o superiore a 65 anni e per le donne in postmenopausa di età pari o inferiore a 65 anni che presentano fattori di rischio (FIGURA 2);
- non esiste un consenso generale sul test della BMD per gli uomini, ma alcune linee guida raccomandano il test della BMD per gli uomini di età superiore ai 70 anni, poiché la perdita ossea accelera a partire dai 70 anni (FIGURA 2);
- alcune linee guida non raccomandano attualmente il test della BMD per tutti i pazienti; piuttosto, alcuni documenti raccomandano la misurazione della BMD utilizzando una strategia di individuazione dei casi.
Come best practice, si raccomanda di implementare il test BMD come parte dello screening della salute ossea secondo le linee guida cliniche accettate e secondo le indicazioni delle normative nazionali e locali. A questo riguardo, potrebbe essere importante stabilire un valore di riferimento per la BMD che possa essere seguito nel tempo con o senza trattamento. Ciò sarebbe analogo alle pratiche di prevenzione come gli esami periodici negli adulti per lo screening del diabete (glucosio a digiuno o emoglobina glicata) e delle malattie cardiache (colesterolo) e infine la mammografia per le donne per lo screening del cancro alla mammella. Ciò include la richiesta di routine ai pazienti se hanno avuto dolori alla schiena prolungati o insoliti, che potrebbero segnalare una frattura vertebrale.
I generalisti dovrebbero anche verificare con i pazienti eventuali segni che potrebbero indicare fratture vertebrali non precedentemente riconosciute clinicamente, quali:
- la perdita di altezza di due centimetri,
- l’impossibilità di toccare con la nuca una parete quando il soggetto sta in piedi con la schiena e i talloni contro di essa,
- una cifosi ingravescente (FIGURA 2).
È consigliato anche valutare i fattori che aumentano il rischio di caduta, quali:
- le anomalie dell’andatura
- i problemi di equilibrio
- la diminuzione della capacità di eseguire il test temporizzato “sali e scendi” utilizzato per valutare l’equilibrio e l’andatura (FIGURA 2).
Nel caso di pazienti con fratture vertebrali confermate da radiografie laterali della colonna vertebrale o valutazione densitometrica di tali fratture vertebrali (VFA) o con perdita di massa ossea nelle misurazioni della BMD (T-score ≤-2,5 o compreso tra -1,0 e -2,5 con precedente frattura), si dovrebbe procedere a un piano di trattamento personalizzato. Per i pazienti con segni e sintomi che potrebbero indicare un’eventuale frattura vertebrale, ma senza storia di fratture e con un T-score >-2,5, è necessario eseguire un’ulteriore valutazione del rischio.
A questo riguardo, occorre sottolineare anche che oltre l’80% delle donne in postmenopausa con fratture osteoporotiche ha un T-score >-2,5, il che suggerisce che la BMD non è l’unico fattore che contribuisce al rischio di frattura. In questo possono essere di aiuto strumenti di valutazione del rischio, disponibili online, come il Fracture Risk Assessment Tool (FRAX), Garvan, il Fracture Risk Calculator dell’American Bone Health (ABH) e altri.
Fase 3 intervenire
Intervento non farmacologico
L’assistenza di routine ai pazienti dovrebbe integrare anche le strategie non farmacologiche per preservare la forza ossea e ridurre il rischio di frattura, compresa la valutazione e la riduzione del rischio di caduta. Questi interventi comprendono la consulenza ai pazienti sul mantenimento di un sufficiente apporto di proteine nella dieta e di un’adeguata assunzione di calcio (800-1.200 mg/die), preferibilmente da fonti alimentari, con l’uso di un’integrazione per colmare eventuali carenze, e la prescrizione di vitamina D (800-1.000 UI/die o più, come indicato) nei pazienti a rischio di carenza di vitamina D o che ne mostrano l’evidenza.
Inoltre, si raccomanda di eseguire regolarmente esercizi di sostegno del peso, di rinforzo muscolare e di equilibrio in base alle esigenze e alle capacità del singolo paziente, di consigliare di smettere di fumare e di consumare alcolici con moderazione e di fornire indicazioni sulle misure di prevenzione delle cadute. Se necessario, i pazienti possono essere indirizzati a un dietologo, a un fisioterapista o a un infermiere specializzato per un’assistenza specifica al paziente.
È inoltre importante effettuare un follow-up con i pazienti sottoposti a intervento non farmacologico, in genere 1-2 anni dopo lo screening iniziale dell’osteoporosi, per valutare eventuali cambiamenti nello stato clinico o nei fattori di rischio e per eseguire o ripetere il test della BMD, a seconda dei casi. L’intervallo di tempo in cui si raccomanda di ripetere il test BMD deve essere individualizzato in base ai risultati iniziali della BMD e ai fattori di rischio clinici.
Intervento farmacologico
Nei pazienti identificati come a rischio di frattura o in quelli in cui l’intervento non farmacologico è inadeguato, devono essere sviluppati piani di trattamento personalizzati che includano agenti farmacologici (continuando comunque le strategie non farmacologiche come parte del piano di trattamento personalizzato). Occorre sottolineare a questo riguardo che l’osteoporosi è una condizione cronica che richiede una gestione continuativa a lungo termine e per tutta la vita. Tale gestione generalmente include un trattamento farmacologico e può comprendere una sequenza di diversi farmaci.
Le opzioni terapeutiche efficaci per l’osteoporosi includono:
- gli antiriassorbitivi come i bifosfonati (alendronato, ibandronato, risedronato e acido zoledronico),
- un anticorpo monoclonale umano diretto contro il RANKL (denosumab),
- un modulatore selettivo del recettore degli estrogeni,
- la terapia ormonale della menopausa,
- gli agenti anabolizzanti, come l’agonista dell’ormone paratiroideo (PTH) (teriparatide e i suoi biosimilari),
- un agonista del recettore del PTH (abaloparatide),
- un inibitore della sclerostina (romosozumab).
Va da sé che anche in questo ambito terapeutico vale l’indicazione generale di procedere alla scelta delle opzioni terapeutiche con una decisione condivisa tra il medico curante e il paziente e basata su diversi fattori, tra cui il livello di rischio basale del paziente, le sue condizioni mediche concomitanti e le preferenze del paziente, nonché infine le linee guida cliniche e le raccomandazioni locali. Se necessario, le decisioni sul trattamento possono essere prese consultando uno specialista, in modo che l’assistenza al paziente nelle visite successive rimanga allineata tra gli operatori sanitari. Per i pazienti naïve al trattamento e ad alto rischio di frattura, le linee guida raccomandano in prima linea il trattamento con un agente antiriassorbitivo.
Fase 4 implementare, monitorare e rivalutare
La quarta e ultima fase del percorso prevede il monitoraggio del paziente, che può includere una valutazione continua della salute delle sue ossa, come l’esame periodico della BMD e l’esame dei fattori di rischio, come l’anamnesi di cadute e fratture.
Un fattore cruciale per la buona riuscita delle cure è l’aderenza a trattamenti: si calcola che essa non sia soddisfacente nel 30-50% dei pazienti con osteoporosi. D’altra parte, alcuni studi hanno riportato che i pazienti con una buona aderenza al trattamento per l’osteoporosi hanno una diminuzione del 30-40% del tasso di fratture rispetto a coloro che non ce l’hanno.
Occorre perciò uno sforzo da parte del medico per migliorare l’efficacia della comunicazione sui benefici e sui rischi del trattamento, sui rischi del mancato trattamento e sulle conseguenze delle fratture, sull’adattamento delle opzioni terapeutiche alle preferenze dei pazienti e su un attento monitoraggio per l’identificazione precoce della non aderenza.
Più nello specifico, sono state identificate alcune buone pratiche per incoraggiare l’aderenza, tra cui:
- la semplificazione dei regimi di dosaggio
- l’uso di ausili decisionali
- la modifica della via di somministrazione dei farmaci
- l’uso della tecnologia per inviare promemoria per le ricariche e/o le date di iniezione/infusione.
Un ulteriore supporto può essere fornito attraverso l’educazione continua del paziente, compresa la discussione aperta su eventuali effetti collaterali del trattamento, la natura cronica dell’osteoporosi, i programmi di supporto al paziente, la consulenza incentrata sul paziente e l’incoraggiamento di cambiamenti virtuosi nello stile di vita.
In FIGURA 3 sono riassunti i 4 step proposti per la diagnosi e la gestione dei pazienti con osteoporosi.