L’apnea ostruttiva del sonno (OSA) è una condizione in cui il respiro si interrompe ripetutamente durante il sonno, spesso accompagnata da russamento intenso e risvegli frequenti. Oltre a causare sonnolenza diurna e ridotta qualità della vita, è associata a un aumentato rischio di ipertensione, ictus e patologie cardiovascolari, quali insufficienza cardiaca e cardiopatia ischemica.
Il trattamento mediante ventilazione a pressione positiva continua CPAP (Continuous Positive Airway Pressure) rappresenta l’opzione terapeutica di riferimento, e ha l’obiettivo di mantenere aperte le vie aeree durante la notte, tramite un flusso d’aria erogato attraverso una maschera facciale. In questo modo viene ridotto anche il rischio cardiovascolare.
Secondo una recente metanalisi condotta da ricercatori del Brigham and Women’s Hospital e della Harvard Medical School di Boston e pubblicato sull’European Heart Journal, tuttavia, questo trattamento non avrebbe risultati positivi per tutti i pazienti e sarebbe, anzi, controindicato per alcune categorie, in quanto potenzialmente associato a un aumento del rischio cardiovascolare (CV).
La CPAP produce effetti diversi in relazione al rischio CV individuale
I ricercatori hanno eseguito una meta-analisi dei dati individuali, provenienti da tre trial randomizzati (ISAACC, RICCADSA, SAVE), condotti tra il 2016 e il 2020 per valutare il rischio CV a lungo termine in pazienti OSA con pre-esistenti comorbidità cardiovascolari. Il lavoro si basa su un totale di 3.549 pazienti con apnee notturne.
A differenza degli studi precedenti, la nuova analisi ha distinto tra pazienti con OSA a rischio elevato (definito dalla presenza di marcate desaturazioni notturne o bruschi aumenti della frequenza cardiaca) e quelli senza tali caratteristiche. È emerso che la CPAP non è efficace nella riduzione del rischio CV nei pazienti con OSA, da moderata a grave, minimamente o per nulla affetti da sonnolenza diurna.
Secondo il ricercatore Ali Azarbarzin dell’Harvard Medical School di Boston (USA), primo autore dello studio:
la CPAP sembra offrire un beneficio cardiovascolare solo in presenza di marcatori fisiopatologici chiari di OSA ad alto rischio, come ipossia severa o attivazione notturna del sistema nervoso simpatico, mentre in assenza di questi sintomi potrebbe addirittura avere effetti dannosi.”
“La CPAP – aggiunge Azarbarzin – contribuisce a prevenire l’abbassamento dei livelli di ossigeno e a calmare l’attività del sistema nervoso simpatico durante il sonno, condizioni che sono entrambe legate alle malattie cardiache; ma in assenza di queste caratteristiche e nei pazienti che sono a rischio CV molto basso, la CPAP sembra avere degli svantaggi. Le possibili spiegazioni del fenomeno riguardano la pressione utilizzata nella CPAP, che potrebbe avere un impatto sui polmoni e indurre stress sul sistema cardiovascolare. Una seconda ipotesi riguarda il possibile impatto negativo della CPAP sulla qualità del sonno”.
Più nel dettaglio, i risultati della metanalisi dicono che nei pazienti con OSA ad alto rischio, la CPAP ha ridotto del 17% il rischio di infarto, ictus e mortalità cardiovascolare, al contrario nei pazienti con OSA a basso rischio, la CPAP è stata associata a un aumento del rischio di eventi CV gravi del 22%.
Tra i pazienti che non accusano sonnolenza diurna, l’effetto è stato ancora più marcato; è stato infatti osservata una riduzione del 24% del rischio CV nei soggetti OSA ad alto rischio; mentre nei soggetti considerati a basso rischio l’aumento del rischio di eventi CV è risultato del 30%.
Le ragioni alla base di questo meccanismo restano da chiarire; per questo il gruppo di ricerca sta pianificando un nuovo trial clinico specificamente mirato ai pazienti con OSA ad alto rischio; allo studio anche la comprensione dei meccanismi per cui la CPAP può causare danni nei soggetti OSA a basso rischio, e le possibili alternative terapeutiche per il trattamento delle OSA.
Necessità di terapie personalizzate
Lo studio evidenzia due elementi importanti per il trattamento dei pazienti che soffrono di apnee ostruttive del sonno: da un lato il beneficio clinico nei casi ad alto rischio, soprattutto non sonnolenti e/o con ipertensione, dall’altro l’effetto potenzialmente dannoso della CPAP nei soggetti con OSA a basso rischio, definiti da risposta della frequenza cardiaca <9,4 bpm o carico ipossico <87,1%.
Secondo gli autori, le linee guida attuali andrebbero riviste, in particolare per i pazienti che non soffrono di eccessiva sonnolenza diurna, e senza marcatori di alto rischio. I risultati suggeriscono la necessità di un approccio personalizzato al trattamento delle OSA. Nei soggetti con patologie cardiovascolari preesistenti, ma senza marcatori di OSA ad alto rischio, l’uso della CPAP dovrebbe essere considerato con cautela.



