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Sanità italiana, 14 mila medici in meno nei prossimi 15 anni

  • Alessandro Visca
  • Sanità

Non è più un semplice allarme. La carenza di personale medico, causata da anni di insufficiente turnover, dall’invecchiamento della classe medica e dai limiti del sistema universitario è ormai una realtà accertata.

A disegnare uno scenario complessivo, con una proiezione per i prossimi anni, arriva un nuovo studio dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, che opera all’interno di Vithali, spin off dell’Università Cattolica di Roma.

Il dato complessivo che emerge dalla ricerca è che il Servizio Sanitario Nazionale perderà nei prossimi 15 anni circa 56 mila medici, a fronte di non più di 42 mila nuovi arrivi tra i camici bianchi.

Elaborando i dati del Ministero dell’Istruzione (MIUR) e della Salute, nell’ipotesi che nel prossimo anno accademico 2019/2020 siano immatricolati 10 mila studenti, si può prevedere che di questi circa 8 mila e 700 saranno laureati tra 6 anni, considerando poi i gruppi successivi, in 10 anni in Italia ci saranno circa 49 mila nuovi laureati in medicina e chirurgia. In conseguenza è possibile prevedere che gli specializzati tra 15 anni saranno circa 42 mila.

“Negli anni non è stata fatta una programmazione adeguata da parte delle autorità competenti – commenta Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni italiane – e questo rischia di compromettere le basi portanti del Sistema sanitario nazionale. In un mondo in cui la carenza di medici e di personale sanitario sta diventando drammatica, l’Italia aggiunge la miopia di finanziare la formazione di un numero importante di giovani e di ‘regalarli’ poi a Paesi in grado di accoglierli a braccia aperte”.

Turnover e taglio della spesa sanitaria

Negli ultimi 15 anni, si è osservato un costante rallentamento della crescita della spesa sanitaria. In particolare la spesa per il personale dipendente del Ssn, scesa nel 2016 al 30,6% del totale della spesa sanitaria pubblica. Negli ultimi anni in alcune Regioni italiane su 100 pensionati ci sono state solo 25 nuove assunzioni.

Scorrendo i dati pubblicati dalla Ragioneria generale dello Stato tra il 2008 e il 2012 si vede una costante riduzione del tasso di compensazione del turnover. Si è passati dal 97,2% del 2008 al 68,9% nel 2012. Nel 2016 si registra un tasso di compensazione del turnover nazionale del 97,2%, ma nel 2015 era del 76,3% e nel 2014 all’80,5%.

Invecchiamento dei medici

Nel 2016 quasi il 52% del personale medico ha oltre 55 anni, (61% tra gli uomini, 38% tra le donne). La quota dei medici tra 50 e 59 anni si attesta al 41%, tra i 40 e i 49 anni al 23%.

Dal 2013 al 2016 è aumentata di quasi il 10% la quota di medici ultra sessantenni, la variazione è del 7% al Nord, 8% al Centro e arriva al 14% nelle regioni del Mezzogiorno. Al contrario per tutte le fasce di età più giovani si è verificata una diminuzione del peso percentuale, su tutto il territorio italiano.

“Il rientro dal deficit delle Regioni – concludono gli autori della ricerca – attuato tagliando la spesa per il personale medico da un lato, la cattiva programmazione degli accessi ai corsi di laurea e di specializzazione dall’altro mettono il Ssn di fronte a una vera emergenza per il futuro”.

Perché i medici abbandonano il SSN?

Secondo Danilo Mazzacane, segretario generale regionale Cisl Medici della Lombardia: “Non vanno dimenticate altre problematiche, quali il mancato rinnovo dei contratti di lavoro nazionali dei medici dipendenti e convenzionati e l’emanazione dei decreti attuativi della Legge Gelli-Bianco”

“La carenza di programmazione italiana – spiega Mazzacane – è comune ad altre nazioni europee, come Francia, Germania, Gran Bretagna ed i paesi scandinavi. L’età media elevata dei medici italiani è una aggravante considerevole. Viene molto enfatizzato il pensionamento (accelerato dalla “quota 100”). Assistiamo però anche all’abbandono per autodimissioni o licenziamento di medici dal sistema pubblico. Assistiamo da una parte a concorsi come quelli della medicina generale che vanno deserti e dall’altra al ricorso a cooperative di medici in rapporto libero professionale che suppliscono alle carenze di personale medico, con un maggiore impegno economico da parte delle aziende sanitarie. Tali fenomeni paiono al momento prevalere al Nord-Centro Italia e in minore misura al Sud . Contemporaneamnte è in significativo incremento il numero di medici che vanno a lavorare all’estero, ove sono gratificati professionalmente e salarialmente.

“Allora sorge spontaneo il dubbio  – conclude Mazzacane – che in realtà non vi è ancora una emorragia gravosa di medici, ma che il posto di lavoro nella sanità pubblica non sia più appetibile. Le condizioni di lavoro sono disagiate da tempo in ambito ospedaliero per il mancato turn-over che dura ormai da circa 10 anni ed anche la remunerazione per il servizio reso non è più tale da far considerare la professione medica come ambita ed intellettualmente considerata. Aumentare i posti nelle scuole di specialità può essere un buon viatico, ma solo a condizione del miglioramento delle prospettive e delle condizioni  di lavoro nel postspecialità, diversamente si fornirebbe ulteriore gratuito aiuto alle altre nazioni in carenza di medici.”

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.