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diabete glicemia

Gestione del paziente con prediabete: l’approccio clinico-terapeutico

Intervista al professor Arrigo Cicero, professore di Scienze Dietetiche presso l’Università degli studi di Bologna, presidente della Società Italiana di Nutraceutica (SINut)

La diagnosi di diabete è preceduta da una fase asintomatica, comunemente definita prediabete. Quali sono i parametri di riferimento di questa condizione e qual è la correlazione con i fattori di rischio cardiometabolici?

Nella maggior parte dei pazienti che diventeranno o che rischiano di diventare diabetici di tipo 2 abbiamo una fase, spesso definita come alterata glicemia a digiuno.

Se non si interviene, i soggetti con glicemia superiore a 100mg/dl dopo 12 ore di digiuno, presentano una probabilità elevata di evolvere verso diabete tipo 2; inoltre valori subottimali di glicemia, possono provocare quei danni che tipicamente caratterizzano il diabete: alterazione delle strutture proteiche a carico di vari organi e tessuti come retina, rene, arterie.

Si tratta quindi di una situazione da non trascurare che peraltro è facilmente identificabile cominciando semplicemente dal dosaggio della glicemia a digiuno a cui si possono poi affiancare altri test altamente standardizzati come la curva da carico glicemico, che ci indica come l’organismo risponde all’esposizione al carico di zuccheri e che può dare informazioni ulteriori rispetto alla predisposizione di sviluppare diabete o a riconoscere casi di diabete “mimetico” o nascosto. Il consiglio è di farsi carico del paziente e intervenire subito, con la glicemia a digiuno come primo test.

In ambito di prevenzione cardiovascolare, quali sono i soggetti più a rischio di sviluppare prediabete?

I soggetti tendenzialmente sedentari, in sovrappeso, oppure quelli che, pur non essendo in sovrappeso, hanno una scarsa massa muscolare rispetto alla quantità di tessuto adiposo, soggetti che concentrano l’assunzione di calorie su carboidrati ad alto indice glicemico (dolciumi e carboidrati ad alta assimilabilità, tutti quelli che non richiedono masticazione) come pane, pasta a base di farine raffinate, farine di riso, farine di mais. I fattori di rischio secondari che aggravano i precedenti, sono l’abitudine al fumo di sigaretta, elevati livelli di acido urico nel sangue e la predisposizione familiare.

Potrebbe essere schematizzato un approccio clinico-terapeutico per la gestione del paziente affetto da prediabete?

Questi soggetti devono essere innanzitutto informati, resi cioè sensibili all’argomento, quindi devono essere avviati a un protocollo dietetico-comportamentale integrato, identificando il tipo di attività fisica reale svolto dal soggetto e le reali possibilità di amplificazione e potenziamento, valutando con precisione anche gli impedimenti fisici e/o patologici che potrebbe avere il singolo.

Per quanto riguarda la dieta non deve essere solo di tipo ipocalorico, deve essere mirata a tarare il carico calorico in funzione delle reali necessità energetiche, ma deve anche essere una dieta in cui si riduce in maniera importante l’indice glicemico medio, introducendo cereali integrali, vegetali, verdure, ecc. A supporto ulteriore del processo, almeno nelle prime fasi, quando il soggetto non riesce a migliorare, può avere un senso utilizzare alcune sostanze naturali, in veste di integratori alimentari che possano influire positivamente sul metabolismo glucidico e quindi portare a un miglioramento dei parametri.

Quali sono i criteri di scelta di un nutraceutico per i pazienti affetti da prediabete?

I criteri di scelta sono come tutti quelli validi per i nutraceutici finalizzati alla prevenzione e alla gestione di condizione croniche. In prima battuta dobbiamo avere un nutraceutico che contenga principi attivi di cui sia realmente dimostrata l’utilità nella modulazione della glicemia e dell’insulino-resistenza. E già questo criterio restringe notevolmente il campo, inoltre devono essere utili a dosaggi facilmente impiegabili, infatti alcuni sono poco gestibili per compliance e tollerabilità a causa dell’elevata quantità di sostanza attiva che si dovrebbe assumere per ottenerne l’efficacia.

Quindi orientarsi verso nutraceutici che possano essere usati a dosaggi congrui, possibilmente in monodose quotidiana per favorire la compliance del paziente, con caratteristiche di efficacia e tollerabilità elevate e che abbiano nel loro insieme un razionale di associazione farmacologico.

In base alle attuali conoscenze, un integratore da utilizzare in quest’ambito non può non contenere il cromo picolinato, una delle pochissime molecole naturali che, per quanto riguarda la modulazione del glucosio, ha un claim salutistico riconosciuto dall’Ente per la Sicurezza Alimentare.

Potrebbe essere interessante associare a molecole che hanno un’azione diretta sul metabolismo glucidico, come il cromo picolinato, molecole di origine naturale che possono avere un effetto di stimolazione del metabolismo come l’ilex paraguariensis, o molecole che possono agire sia sul metabolismo glucidico che indurre il senso di sazietà, come ad esempio il gelso bianco o morus alba: tutte molecole studiate clinicamente singolarmente e in associazione.

Quali caratteristiche rendono un nutraceutico di elezione e perché?

Un nutraceutico è d’elezione quando è ben tollerato e per le sue caratteristiche farmacologiche, che derivano dalla letteratura clinica a supporto dei singoli componenti.

Il nutraceutico ideale è quello che agisce su marcatori facilmente misurabili, come la glicemia, è importante che sia facile da assumere, per esempio in monosomministrazione e che, nella sua formulazione, sia stato testato su pazienti target dell’integratore stesso, che rispondano alle nostre abitudini standard di dieta mediterranea.

In collaborazione con

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.