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MICI, quando la malattia si può definire difficile da trattare?

Una quota non trascurabile di pazienti con malattie infiammatoria cronica intestinale (MICI), conosciute anche con l’acronimo inglese IBD (Inflammatory Bowel Disease) non risponde adeguatamente ai trattamenti disponibili. Queste forme resistenti sono difficili da inquadrare clinicamente anche per l’assenza di criteri classificativi condivisi.

L’International Organization for the Study of Inflammatory Bowel Disease (IOIBD) ha recentemente organizzato un consensus meeting per definire che cosa caratterizza una IBD difficile da trattare (dtt-IBD).

I lavori si sono svolti sulla base di un sondaggio a livello globale, in cui è stato chiesto ai clinici di descrivere il fallimento dei trattamenti, il fenotipo della malattia e le caratteristiche generali dei pazienti con patologia intestinale resistente ai trattamenti.

Una task force di 16 esperti di 8 nazioni europee, Canada, Giappone, Israele e Stati Uniti, ha valutato le risposte al sondaggio. Per l’Italia hanno contribuito Silvio Danese e Tommaso Lorenzo Parigi dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, Università Vita-Salute San Raffaele, Milano e Ferdinando D’Amico ,dell’Humanitas University, Rozzano, Milano. Le conclusioni del progetto sono state pubblicate su Lancet Gastroenterology and Hepatology

La definizione di malattia infiammatoria cronica intestinale difficile da trattare

La consensus ha proposto un elenco di casi in cui si può parlare di malattia infiammatoria cronica intestinale difficile da trattare, così riassunti da Elena Riboldi sul sito Univadis.it:

  • fallimento delle terapie con farmaci biologici e small molecules avanzate con almeno due diversi meccanismi di azione;
  • recidiva del morbo di Crohn dopo due resezioni chirurgiche (una nei bambini);
  • pouchite cronica refrattaria agli antibiotici (la pouchite è un’infiammazione della tasca ileo-anale creata nei pazienti affetti da rettocolite ulcerosa sottoposta a colectomia totale);
  • malattia perianale complessa (malattia di Crohn difficile da trattare);
  • problemi psicosociali che ostacolano l’adeguata gestione dell’IBD (es. disturbi coesistenti che ostacolano l’aderenza alle terapie, la partecipazione alle visite di follow-up o la valutazione oggettiva dei sintomi da parte del medico).

Sullo stesso sito gli autori hanno dichiarato:

“Gli scopi di questa iniziativa di consenso erano due. Primo, volevamo aiutare a standardizzare le relazioni degli studi e promuovere il disegno di studi clinici che includessero i pazienti con dtt-IBD attraverso la proposta di una terminologia comune. Secondo, speravamo di identificare nella pratica clinica un gruppo di pazienti che necessitano di cure particolari o di essere segnalati a un centro specializzato. Per un paziente con una malattia refrattaria a due o più classi di farmaci avanzati, che quindi si qualifica come dtt-IBD, andrebbero prese in considerazione strategie di trattamento più aggressive, come terapie combinate o approcci multidisciplinari”.

 

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.