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anziano cuore medico

Dopo l’infarto, quali sono i rischi a lungo termine?

Dopo un infarto del miocardio come cambiano i punteggi di rischio per altri eventi avversi o problemi di salute, non solo a breve ma anche a lungo termine? Quali sono le informazioni e le raccomandazioni che il medico dovrebbe trasmettere ai pazienti reduci da un attacco cardiaco? Per rispondere a questi quesiti i ricercatori dell’Università di Leeds hanno condotto una ricerca sull’intera popolazione inglese, analizzando i dati di tutti i residenti nel Regno Unito che hanno subito un ricovero ospedaliero tra il 2008 e il 2017.

I risultati pubblicati su Plos Medicine, mostrano che negli anni dopo l’infarto aumenta il rischio di mortalità per tutte le cause e quello di sviluppare scompenso cardiaco, insufficienza renale e una serie di altre condizioni come fibrillazione atriale, ictus, vasculopatia periferica, sanguinamenti maggiori, diabete e depressione.

Non sono emerse, invece, differenze tra post-infartuati e soggetti che non hanno avuto un infarto per quanto riguarda il rischio di demenza, mentre il rischio di cancro è risultato inferiore.

Lo studio sui ricoveri ospedalieri

Partendo dall’intera popolazione inglese i ricercatori hanno considerato le cartelle di cliniche di 34mila persone  (età media 41,7 anni, 42% maschi) che nel periodo 2008-2017 hanno subìto un ricovero in un ospedale del servizio sanitario nazionale inglese (NHS), per investigare gli esiti a lungo termine di un attacco cardiaco e confrontarli con quelli di coloro che non avevano avuto questo evento.

Oltre alla mortalità per qualsiasi causa, sono stati considerati 11 eventi non fatali: successivo infarto e primo ricovero per scompenso cardiaco, fibrillazione atriale, malattia cerebrovascolare, malattia arteriosa periferica, emorragie gravi, insufficienza renale, diabete mellito, demenza, cancro e depressione.

Sul totale dei 433.361 soggetti (età media 64,7 anni) che hanno avuto un attacco cardiaco l’evento più frequente dopo un infarto è stata la mortalità per qualsiasi causa, con una incidenza cumulativa nei nove anni successivi pari al 37,8%; a questa seguono scompenso cardiaco (29,6%) e insufficienza renale (27,2%). Un secondo attacco cardiaco ha riguardato il 7% dei partecipanti.

Inoltre dal confronto con 2.001.310 soggetti senza infarto pregresso le persone che avevano avuto un infarto miocardico hanno mostrato un rischio più elevato per tutte le patologie considerate, ad eccezione della demenza per la quale non c’erano differenze di rischio (hazard ratio aggiustato [aHR] 1,01; IC al 95%[0,99 -1,02) e per il cancro, che mostrava un rischio più basso (aHR 0,56; IC al 95% [0,56,0,57];p < 0,001).

Lo studio ha inoltre evidenziato che le persone più svantaggiate dal punto di vista socio-economico avevano maggiori probabilità di decesso o di sviluppare gravi condizioni a lungo termine, in particolare insufficienza renale e cardiaca, a parità di età. Informazioni ritenute cruciali per lo sviluppo di raccomandazioni di trattamento che tengano conto dello specifico rischio individuale.

Necessaria una strategia di prevenzione basata sul rischio individuale per i postinfartuati

I risultati di questo studio sono particolarmente significativi considerando l’alto numero di persone che sopravvive a un infarto. Marlous Hall, docente di epidemiologia cardiovascolare alla School of Medicine and Multimorbidity Research dell’Università di Leeds spiega:

nel Regno Unito ci sono circa 1,4 milioni di sopravvissuti ad un attacco di cuore che corrono un alto rischio di sviluppare ulteriori gravi condizioni di salute. Il nostro studio fornisce informazioni accessibili online sul rischio di questi esiti sanitari per specifici gruppi di età, sesso e condizione socioeconomica, in modo che le persone sopravvissute a un attacco cardiaco possano essere ben informate sui loro rischi futuri, e supportare un processo decisionale sanitario informato con il proprio medico.”

Redazione

articolo a cura della redazione