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Emergenza diabete: medici di famiglia al centro della sfida

I diabetici in Italia sono quasi 4 milioni con una prevalenza che raggiunge il 15,5% negli over 65. Il MMG può svolgere un ruolo chiave nella prevenzione e nella gestione della malattia

Continua la crescita del numero dei diabetici in Italia e si registra un’inversione di tendenza nella prevalenza di genere: gli uomini superano le donne. Nel 2003, infatti, il diabete interessava il 13,1 % degli uomini e il 14,9 % delle donne, mentre nel 2023 l’incidenza riguarda il 20,5% dei maschi e il 15,6 per cento delle donne.

Il dato emerge dall’ultima edizione dell’Italian Barometer Diabetes Report a cura dell’IBDO Foundation. L’ampio e documentato rapporto analizza la prevalenza del diabete e delle complicanze legate alla malattia in tutte le regioni italiane, mostrando forti disuguaglianze nella prevenzione e nella gestione della malattia fra le regioni del Nord in cui è maggiore l’accesso ai trattamenti e quelle del Sud, dove la prevalenza del diabete e delle complicanze è più alta.

Italiani tra 45 e 64 anni che dichiarano di essere affetti da diabete per regione.
Anno 2023. Tassi standardizzati per 100 persone

Fonte: Istat, indagine Aspetti della vita quotidiana, da “Diabete in Italia: dati, disuguaglianze, azioni”, IBDO foundation, 2025

Da sottolineare che la crescita del numero dei diabetici (nel 90% si parla di diabete di tipo 2) non va attribuita solo all’invecchiamento della popolazione. “I tassi standardizzati, che eliminano gli effetti legati alla struttura della popolazione, mostrano un incremento significativo, a conferma di una patologia che si radica sempre più nella nostra società” spiega nell’introduzione dell’IBDO Report il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli.

Italiani tra ≥65 anni che dichiarano di essere affetti da diabete per regione.
Anno 2023. Tassi standardizzati per 100 persone

Fonte: Istat, indagine Aspetti della vita quotidiana, da “Diabete in Italia: dati, disuguaglianze, azioni”, IBDO foundation, 2025

Il professor Paolo Sbraccia, ordinario di Medicina Interna all’Università di Roma Tor Vergata e presidente dell’IBDO Foundation, commenta:

il dato più eloquente del report è l’aumento costante della prevalenza del diabete: dal 4% del 2003 al 5,3% nel 2023, pari a oltre 3,6 milioni di persone. Ma il numero reale è probabilmente doppio, se consideriamo i casi non diagnosticati. Il diabete è una malattia “silenziosa” che evolve lentamente: intercettare i pazienti ignari di esserlo è un compito fondamentale del medico di medicina generale, che deve agire su prevenzione primaria e secondaria”.

Professor Sbraccia, il medico di medicina generale è stato definito la “sentinella” del diabete. Quanto è reale oggi questo ruolo e quali sono i principali gap assistenziali da colmare?

“Il medico di medicina generale è e resta centrale, non solo nel diabete, ma in tutte le patologie croniche. È il primo presidio, la prima barriera di prevenzione, diagnosi precoce e gestione integrata delle comorbilità. Il suo ruolo è stato riaffermato anche negli Stati Generali del Diabete, che hanno identificato quattro aree chiave: prevenzione precoce, gestione integrata, valorizzazione del territorio e uso delle nuove tecnologie.

Tuttavia, persistono diseguaglianze significative: da un lato il gradiente geografico nord-sud, dove nel Mezzogiorno si registrano prevalenze e complicanze più elevate; dall’altro, la disomogeneità legata alla cosiddetta “devolution sanitaria”, che consente alle Regioni di definire proprie regole di accesso e spesa. Tutto ciò si traduce in differenze di cura inaccettabili per una patologia così diffusa”.

Un altro tema cruciale è quello dell’integrazione tra medicina generale e rete diabetologica. Quali sono oggi i principali ostacoli organizzativi e formativi?

“Gli ostacoli esistono, anche se il dialogo è migliorato negli anni. IBDO, mettendo insieme società scientifiche, istituzioni e stakeholder, lavora proprio per facilitare questa collaborazione. Un punto critico è la gestione dei piani terapeutici: la nota 100 dell’AIFA consente ai medici di base di rinnovarli, ma non sempre ciò avviene. Alcuni colleghi si sentono esclusi dal processo decisionale, percepiscono di dover solo “firmare” scelte altrui. Serve invece un’integrazione reale, con piattaforme condivise che permettano di seguire in tempo reale il percorso diagnostico-terapeutico del paziente. Il medico di medicina generale deve poter intervenire, discutere e commentare, come parte attiva del team. Dall’altra parte, anche gli specialisti devono coinvolgere di più i colleghi di territorio: il diabete tipo 2, specie se neodiagnosticato e senza complicanze, deve essere gestito in prima battuta dal medico di famiglia, con il supporto dei centri diabetologici”.

Il Diabetes Report 2025 fotografa un’Italia ancora diseguale nella prevenzione e nella gestione del diabete: prevalenze più alte e minore controllo metabolico al Sud, maggiore accesso ai trattamenti e alle tecnologie al Nord. I dati confermano quindi un’Italia a due velocità?

“Anche se non si può tracciare una linea netta, di fatto sì. Il Diabetes Report di IBDO, elaborato con Istat, Coresearch, Crea Sanità e altri Partner, presenta i dati Regione per Regione, confrontandoli con la media nazionale. Emerge chiaramente che Regioni come il Trentino-Alto Adige presentano valori di prevalenza più bassi e migliori controlli metabolici, mentre man mano che si scende verso Sud la situazione tende a peggiorare. Il fenomeno è multifattoriale: stili di vita, livelli socioeconomici, accesso ai servizi sanitari. Ma anche vincoli economici imposti alle Regioni “in piano di rientro”, che devono stringere la spesa e finiscono per ridurre l’accessibilità alle cure”.

Veniamo all’innovazione tecnologica: sensori, microinfusori, telemedicina. Come si possono integrare nel lavoro quotidiano della medicina generale?

“La tecnologia è una risorsa straordinaria, ma va resa semplice e fruibile. Il medico di famiglia deve poter accedere rapidamente ai dati clinici essenziali, come glicemia, emoglobina glicata o le terapie in corso, senza essere sommerso da informazioni o notifiche. Servono strumenti che facciano risparmiare tempo e migliorino la comunicazione con lo specialista. La priorità è snellire i processi, non appesantirli. Allo stesso modo, la telemedicina può essere un alleato prezioso se riduce i tempi di referral e facilita il follow-up. Infine, va introdotta una maggiore flessibilità nel monitoraggio: non ha senso rivedere ogni sei mesi pazienti ben compensati, mentre chi ha scarso controllo metabolico dovrebbe essere seguito molto più da vicino. L’attuale rigidità dei sistemi di prenotazione rende tutto più difficile”.

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Pogliaghi
Silvia Pogliaghi

Giornalista scientifica, specializzata su ICT in sanità.

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