
Il DNA degli italiani racconta una storia di incroci e migrazioni
Il patrimonio genetico degli italiani, frutto delle migrazioni che si sono succedute nei millenni, rivela una complessità molto maggiore di quella che si osserva nel resto dell’Europa. Lo testimonia una nuova ricerca del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “L. Spallanzani” dell’Università di Pavia, in collaborazione con un folto gruppo di atenei italiani e di altri paesi.
Lo studi, pubblicato sulla prestigiosa rivista Science Advances ha utilizzato campioni provenienti dal “Progetto di studio del Genoma della popolazione italiana”, di Luca Cavalli Sforza, il grande genetista scomparso nel 2018 e del collega Alberto Piazza , realizzato con l’AVIS (Associazione Volontari Italiani del Sangue). Altri campioni, invece, provengono da una raccolta effettuata nel maggio 2013 in occasione dell’Adunata Nazionale degli Alpini.
Lo studio ha coinvolto più di 1500 persone di tutte le regioni italiane , che sono stati analizzate per oltre 200.000 polimorfismi del DNA nucleare. Questi polimorfismi sono stati poi “allineati” in segmenti cromosomici (aplotipi) che sono stati comparati non solo tra di loro, ma anche con quelli provenienti da molte altre popolazioni europee, mediorientali e africane. Questo confronto ha permesso di identificare gruppi genetici simili e di ricostruire dove e quando queste componenti si sono originate ed è stato poi esteso al DNA dell’uomo di Neanderthal in modo da valutare quanto questo nostro parente estinto ha contribuito geneticamente alla popolazione italiana ed europea.
Sulla sinistra sono presenti i contributi preistorici e storici identificabili dal DNA degli Italiani in ordine cronologico. In verde i cacciatori-raccoglitori che giunsero in Italia circa 24.000 anni fa. I contadini del Neolitico (frecce rosse), che si espansero da quella che oggi è la Turchia, arrivarono in Italia circa 8.000 anni fa. In blu sono rappresentante le due rotte parallele datate circa 5.000 anni dei pastori nomadi delle steppe verso il Nord Europa e il “nuovo” segnale proveniente dal Caucaso verso il Sud Italia. In giallo è rappresentata l’eredità genetica della dominazione Araba in Sud Europa che risale a circa 1.300 anni fa. Sulla destra sono raffigurate le proporzioni di questi contributi genetici in Nord e Sud Italia, e in Sardegna con gli stessi colori utilizzati nella parte sinistra dell’immagine; le dimensioni delle vignette contenenti i teschi indicano la proporzione di DNA Neandertaliano nelle diverse macroaree italiane.
Oltre ai tre gruppi ancestrali comuni a tutti gli Europei – i cacciatori-raccoglitori del Mesolitico, gli agricoltori neolitici di origine mediorientale e gli allevatori di cavalli dell’Età del Bronzo – nel genoma degli italiani sono state identificate tracce genetiche di un “nuovo” e precedentemente ignoto quarto gruppo ancestrale geneticamente simile alle popolazioni moderne della regione del Caucaso. Questa componente sarebbe giunta nella penisola italiana, passando dal Sud Italia, in un periodo compreso tra la fine del Neolitico e l’inizio dell’Età del Bronzo.
La variabilità genetica degli Italiani si distribuisce lungo l’asse Nord-Sud rispecchiando chiaramente la geografia del paese con gruppi di campioni che si discostano (Sardegna). Geneticamente questi gruppi variano tra di loro tanto quanto i gruppi di campioni dei diversi paesi europei, che singolarmente presentano una variabilità sempre minore di quella italiana.
Il motivo dell’elevata variabilità osservata nella popolazione italiana è attribuito all’isolamento genetico di alcuni di questi gruppi, combinato con il mescolamento e le migrazioni, con e da altre popolazioni, avvenuti in vari periodi lungo la penisola italiana, in Sicilia ed in Sardegna. In questo contesto è importante ricordare che, a livello genetico, gli esseri umani condividono quasi tutto il loro DNA: le differenze che si possono riscontrare in media tra due soggetti presi a caso dalla popolazione mondiale sono intorno allo 0.1%.