Ancora molte disparità regionali nell’utilizzo dei farmaci equivalenti – i dati dal rapporto OsMed
Per fotografare la spesa pubblica e privata in tutte le Regioni Italiane l’Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali (OsMed) dell’AIFA ha prodotto la ventesima edizione del “Rapporto sull’uso dei Farmaci in Italia”, pubblicato il 4 agosto 2020 e relativo all’anno 2019.
Lo studio delinea in 567 pagine il quadro nazionale dell’assistenza farmaceutica a carico del SSN in ambito sia territoriale che ospedaliero e quello dell’acquisto privato da parte del cittadino.
Dal Rapporto risulta che ogni italiano ha assunto in media 1,6 dosi di farmaco al giorno, per una spesa media annua pro capite di 510 euro, 390 dei quali a carico del SSN. La spesa farmaceutica totale è risultata di 30,8 miliardi di euro, con un aumento del 5,8% rispetto al 2018. La quota rimborsata dal SSN è stata pari al 76,4%”.
Farmaci equivalenti
Come nel precedente rapporto del 2018, si conferma il trend di crescita dei farmaci equivalenti.
Per i farmaci di classe A, erogati nel canale della spesa convenzionata, si registrano valori pari all’83,7% per i farmaci a brevetto scaduto con consumi pari al 67,3% della spesa. I farmaci equivalenti occupano invece il 30,6% dei consumi, pari al 20,3% della spesa. I maggiori utilizzatori di farmaci generici sono al Nord.
Dati interessanti si osservano anche per quanto riguarda la compartecipazione del cittadino alla spesa farmaceutica. A livello nazionale, la compartecipazione alla spesa sostenuta dai cittadini italiani ammonta a 1,58 miliardi di euro (di cui il 71% è attribuibile alla differenza di prezzo fra il farmaco acquistato dal paziente e il prezzo di riferimento e il restante 29% al ticket fisso), pari al 15,7% della spesa farmaceutica convenzionata lorda e con un tasso di variazione rispetto al 2018 del -1,5%. Per quanto concerne la quota di compartecipazione pro capite, a livello regionale si evidenzia una variabilità piuttosto marcata: a fronte di un valore nazionale di 26,2 euro pro capite (33,3 euro al Sud e nelle Isole e 22,1 euro al Nord), i cittadini della Regione Campania hanno pagato una quota di quasi 40 euro pro capite, mentre nel Friuli Venezia Giulia ogni cittadino spende mediamente poco meno di 15 euro.
Come già osservato nel 2018, le Regioni a più basso reddito sono quelle che presentano una maggiore compartecipazione. Le ragioni di questa discrepanza sono state a lungo dibattute dagli esperti e quello che risulta chiaro è che ci sia un’obiettiva necessità di comunicare in maniera più efficiente il valore del farmaco equivalente come opportunità terapeutica perfettamente sovrapponibile all’originatore in termini di qualità, sicurezza ed efficacia.
Classi farmacologiche
I farmaci cardiovascolari si confermano al primo posto per consumi (492,9 DDD/1000 abitanti /die) e rappresentano la terza categoria terapeutica con la maggior spesa farmaceutica pubblica per il 2019 (3.181 milioni di euro).
I farmaci dell’apparato gastrointestinale e metabolismo rappresentano la seconda categoria in termini di consumi (182,2 DDD/1000 abitanti /die) e la quarta per spesa farmaceutica pubblica (2.899 milioni di euro).
I farmaci del sangue e organi emopoietici (135,6 DDD/1000 abitanti die) risultano al terzo posto in termini di consumi e al quinto in termini di spesa farmaceutica pubblica (2.178 milioni di euro).
A seguire i farmaci del sistema nervoso centrale (92,1 DDD/1000 abitanti/ die) al sesto posto in termini di spesa farmaceutica pubblica complessiva (1.840 milioni di euro) e i farmaci dell’apparato respiratorio al quinto posto in termini di consumi (44,4 DDD/1000 abitanti die) e al settimo in termini di spesa farmaceutica pubblica (1.242 milioni di euro).
La categoria terapeutica con il maggiore impatto sulla spesa farmaceutica pubblica è quella dei farmaci antineoplastici e immunomodulatori (6.038 milioni di euro), all’undicesimo posto per consumi (16,5 DDD/1000 abitanti die).
Il rapporto fotografa, quindi, un uso del farmaco equivalente in aumento, benché la sua diffusione sia ancora lontana da quella che si osserva, già da molti anni, nei maggiori Paesi europei. Permane la forte disomogeneità geografico-economica nell’utilizzo, cui si aggiunge il paradosso di una maggiore diffusione dell’equivalente nelle zone a reddito maggiore.