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HIV, l’infezione rimane un problema di salute pubblica

I farmaci antiretrovirali hanno reso l’infezione da HIV una malattia cronica. La loro assunzione regolare consente infatti alla viremia di raggiungere lo stato “U-U” acronimo anglosassone per “non rilevabile – non trasmissibile”. Paradossalmente, questa controllabilità dell’infezione ha reso la popolazione generale poco consapevole dei rischi di contagio, soprattutto tra i più giovani. Eppure, l’HIV rimane tutt’ora un problema di salute pubblica, non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Se infatti le cifre epidemiologiche parlano infatti di 1303 nuove diagnosi nel 2020, con un trend in costante diminuzione, occorre rilevare che circa il 60% delle diagnosi riguardano i cosiddetti late presenter, cioè soggetti con sistema immunitario già compromesso.

L’infezione da HIV come problema di salute pubblica

Di questo e di altro ancora si è parlato recentemente al meeting “HIV Screening & Linkage to Care: a Public Health problem?” organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), con il patrocinio del Ministero della Salute e dello stesso (ISS), della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT), della Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza (SIMEU) e del Gruppo Italiano per la Stewardship Antimicrobica (GISA-APS) e con il contributo non condizionante di Gilead Sciences.

Barbara Suligoi, del Centro Operativo AIDS presso il dipartimento di Malattie infettive dell’ISS, ha spiegato:

Il numero delle persone HIV positive residenti in Italia aumenta ogni anno: siamo passati da circa 70mila casi di persone con HIV nel 2000 a più del doppio oggi. Questo aumento avviene nonostante l’incidenza si riduca: il merito è delle nuove terapie, che prolungano l’aspettativa di vita delle persone HIV positive a 71 anni, non lontana da quella della popolazione generale”.

Perché la protezione sia efficace, tuttavia, occorre una diagnosi precoce e una corretta e regolare assunzione della terapia antiretrovirale – due condizioni che non sempre si verificano. Aggiunge Suligoi:

Oggi abbiamo due priorità: anzitutto, è indispensabile far emergere il sommerso, visto che si stima che il 10% delle persone HIV positive ancora non ne sia consapevole; ciò significa che non accedono alle terapie e rischiano di trasmettere involontariamente il virus ad altre persone e si deve pertanto agevolare l’accesso al test per accelerare l’avvio della terapia e interrompere la catena dei contagi. Il secondo punto riguarda la necessità di una rete di servizi multidisciplinari che offra un’assistenza di lungo periodo alle persone con HIV per i diversi problemi sanitari a cui possono andare incontro, specialmente avanzando con l’età. Infine, serve maggiore precisione nella rilevazione dei dati, un sistema di raccolta dei dati moderno e integrato tra HIV e AIDS, includendo anche la conoscenza di eventuali comorbidità al momento della diagnosi”.

Una proposta per aggiornare la legge del 1990

Oltre a ciò occorre inserire l’azione di prevenzione, ricerca e sorveglianza all’interno di un quadro normativo adeguato: a questo proposito, presso la commissione Affari sociali di Montecitorio è stata approvate la proposta di legge dell’on. Mauro D’Attis per aggiornare la Legge 135/90.

“È il primo passo formale per un nuovo provvedimento su un tema delicato e socialmente importante, anche se ultimamente trascurato, sul quale abbiamo deciso di riaccendere i riflettori”, ha commentato l’On. D’Attis.

Aumentare la disponibilità di test diagnostici

Sul fronte della clinica, si segnala come il test HIV sia ampiamente disponibile presso i centri di malattie infettive del territorio italiano, ma non si può dire lo stesso di altre specialità, contrariamente a quanto sarebbe auspicabile sulla base dei dati della letteratura.

Claudio Mastroianni, presidente della SIMIT, precisa:

Gli infettivologi stanno avviando diverse collaborazioni con altri specialisti che auspichiamo possano consolidarsi ulteriormente: occorre creare diverse opportunità affinché si possano fare test per l’HIV anche a livello di setting diversi che possono scaturire da sinergie con altre società scientifiche. Una collaborazione particolarmente fruttuosa per incrementare gli screening può essere quella con gli specialisti di medicina d’urgenza, al fine di implementare i test nell’ambito del pronto soccorso, dove si possono identificare gli eventi sentinella come una linfadenopatia, l’Herpes Zoster, l’Epatite A, una polmonite interstiziale sospetta, altre malattie a trasmissione sessuale. Questi segnali possono far sospettare la presenza di HIV e favorire  uno screening per anticipare le diagnosi”.

Folco Claudi
Folco Claudi

Giornalista medico scientifico