Osteoartrosi. Presente e futuro di una patologia tra le più frequenti e invalidanti
A cura di
Simone Parisi
Struttura Complessa Reumatologia, Azienda Ospedaliera Universitaria, Città Della Salute e della Scienza di Torino, Torino
L’artrosi e sue ricadute sulla società
L’osteoartrosi (OA) è la più comune patologia dell’apparato muscolo-scheletrico ed è associata ad una significativa diminuzione della qualità di vita. Dopo le malattie cardiovascolari, l’OA rappresenta la più frequente causa di disabilità e riduzione della capacità lavorativa. Ne è affetta 1 persona su 3 di età superiore ai 65 anni e in maggioranza di sesso femminile. Si stima che 242 milioni di persone vivano con OA sintomatica dell’anca e/o del ginocchio (3,8% della popolazione mondiale; 2,3% uomini e 4,5% donne). Tra le nazioni sviluppate, la sua prevalenza è compresa tra il 20% e il 30% della popolazione ed è destinata ad aumentare per il progressivo incremento dell’aspettativa di vita e almeno in parte a causa della crescente prevalenza di fattori di rischio, tra cui obesità e inattività fisica.
L’OA, infatti, può compromettere la capacità delle persone con alterate condizioni cardiometaboliche di praticare esercizio e perdere peso, che è fondamentale per la gestione di queste condizioni. Negli studi di coorte, l’OA dell’anca/ginocchio è associata ad una maggiore mortalità per cause cardiovascolari, in gran parte a causa delle difficoltà motorie correlate all’OA. Alcuni studi hanno mostrato che i pazienti sottoposti a intervento di protesi d’anca o di ginocchio avevano una probabilità significativamente inferiore rispetto ai controlli non operati di avere un evento cardiovascolare (p <0,001).
Tra le persone con OA e diabete, è stato anche dimostrato che la difficoltà motoria predice un rischio maggiore di complicanze gravi del diabete e un rischio maggiore di incidenza dello stesso nei pazienti sani al basale. Le potenziali spiegazioni includono l’influenza dell’infiammazione sistemica di basso grado correlata all’OA sulla resistenza all’insulina, l’uso di FANS per il dolore, l’aumento di peso e la sedentarietà dovuta al dolore. Oltre 50 studi randomizzati e controllati (RCT) hanno dimostrato che l’attività fisica è efficace nel ridurre il dolore al ginocchio, migliorare la funzionalità e prevenire lo sviluppo di limitazioni motorie maggiori rispetto alle terapie standard, con un profilo rischio-beneficio maggiore di qualsiasi altro trattamento non chirurgico. Inoltre, l’attività fisica riduce anche il peso corporeo in eccesso e quindi il carico e la rigidità articolare, la debolezza muscolare, la depressione e lo scarso equilibrio, e ha effetti positivi sul metabolismo dei lipidi, sull’iperglicemia e sull’infiammazione sistemica.
Data l’elevata prevalenza di condizioni di comorbidità tra le persone con OA, il trattamento più sicuro ed efficace per questa patologia è l’attività fisica/esercizio accoppiato con strategie di autogestione. Per questo, tutte le linee guida per il trattamento dell’OA sono concordi nel raccomandare la promozione dell’autogestione, del controllo del peso e una combinazione di esercizi aerobici e di potenziamento come strategie di gestione di base.
Il trattamento ideale dell’OA richiede, dunque, un approccio ampio basato su una combinazione di trattamenti farmacologici e non farmacologici da individualizzare a seconda del paziente sulla base di alcune caratteristiche come: le aspettative del soggetto, sede, danno anatomico e tipo di OA, fattori di rischio, presenza di segni di flogosi attiva, comorbidità e trattamenti farmacologici concomitanti.
Attualmente non ci sono farmaci autorizzati con comprovata attività di modificazione della malattia per l’OA, pertanto, la gestione dell’OA è focalizzata sul miglioramento del dolore, della disabilità e della qualità della vita (1-9).
Trattamenti attualmente disponibili
Alcune tra le principali linee guida come Osteoarthritis Research Society International (OARSI) e European Society for Clincal and Economic Aspects of Osteoporosis, Osteoarthritis and Musculoskeletal Disease (ESCEO) raccomandano l’uso di FANS topici nella gestione di prima linea dell’OA del ginocchio, per la loro comprovata efficacia e basso rischio di eventi avversi gastrointestinali, cardiovascolari e renali. L’uso a lungo termine del paracetamolo come trattamento di prima linea per l’OA del ginocchio è sconsigliato, mentre è maggiormente accettato un trattamento a breve termine.
Come terapia di fase 2, sia le linee guida OARSI che ESCEO raccomandano l’uso di FANS orali in pazienti con sintomi di OA persistenti, personalizzati in base al profilo di rischio gastrointestinale e cardiovascolare del paziente. I FANS orali dovrebbero essere usati solo in modo intermittente per il più breve periodo di tempo e alla dose più bassa possibile per controllare il dolore, a causa dei loro noti eventi avversi cardiovascolari, epatici e renali. Nei soggetti con aumentato rischio di eventi cardiovascolari, sia le linee guida ESCEO che OARSI sono molto caute: la prima suggerisce di limitare l’uso degli inibitori della COX2 a 30 giorni e dei FANS non selettivi a 7 giorni, mentre la seconda sconsiglia l’uso di qualsiasi FANS orale in questo gruppo di pazienti. L’età è un importante fattore di rischio a sé stante per eventi avversi e dovrebbe essere presa in considerazione, soprattutto, quando si valuta il rapporto rischio/beneficio dell’uso di FANS.
Le linee guida europee supportano l’uso di iniezioni intra-articolari di corticosteroidi soprattutto per un’efficacia a breve termine (circa 2–4 settimane). L’acido ialuronico intra-articolare (IAHA) è raccomandato in entrambe le linee guida; in particolare per OARSI condizionalmente per tutti i pazienti in diverse fasi del trattamento o per mancata risposta ai FANS e secondo i loro profili di comorbilità.
Le linee guida ESCEO, inoltre, raccomandano l’uso di farmaci sintomatici ad azione lenta per l’OA (SYSADOA), includendo glucosamina solfato e condroitina solfato (di grado farmaceutico) e terapia fisica. La glucosamina e la condroitina sono composti naturali nell’organismo che funzionano come i principali substrati nella biosintesi dei proteoglicani. Agiscono potenzialmente come condroprotettivi e farmaci modificanti la malattia OA (DMOAD). Una recente revisione che ha vagliato più di 30 trial clinici ha affermato che la condroitina orale nel dosaggio raccomandato è più efficace del placebo nell’alleviare il dolore e nel migliorare la funzionalità fisica. Rispetto al placebo, la glucosamina ha mostrato un effetto significativo sull’esito della rigidità e sotto l’aspetto della sicurezza, entrambi i composti si sono dimostrati molto ben tollerati.
Come ultimo tentativo di gestione dei sintomi prima dell’intervento chirurgico di protesizzazione, le linee guida ESCEO, a differenza dell’OARSI, raccomandano l’uso a breve termine di oppioidi deboli (come il tramadolo) per la loro efficacia nell’alleviare il dolore e nel fornire piccoli miglioramenti nella funzionalità articolare. Tuttavia, gli effetti avversi di questi farmaci, che comprendono sonnolenza, vertigini, nausea, stitichezza e un aumento del rischio di cadute (soprattutto nei pazienti anziani) sono ben noti; quindi, dovrebbero essere usati solo per brevi periodi di tempo. In alternativa agli oppioidi, le linee guida ESCEO e OARSI raccomandano inoltre l’uso della duloxetina (un inibitore della ricaptazione della serotonina-noradrenalina), in particolare nei pazienti con sensibilizzazione centrale, nonostante un aumentato rischio di eventi avversi tra cui vertigini e rischio di cadute (10-13, Figura 1).
Nuove prospettive farmacologiche
In tabella 1 sono illustrate alcune opzioni di trattamento emergenti, in fase più o meno avanzata di sperimentazione.
Terapie ad azione mirata sulla cartilagine
Sebbene non direttamente associata al dolore, la progressiva perdita di cartilagine predice il rischio di una futura protesi del ginocchio. La cartilagine è dunque, un importante bersaglio terapeutico in OA, anche se rimane incerto se questo possa determinare una riduzione dei sintomi a lungo termine. Un trattamento basato su questo concetto è l’utilizzo di inibitori delle proteasi che agiscono contrastando la rottura dei componenti della matrice extracellulare (ECM), attraverso l’inibizione delle metalloproteinasi ADAMTS5 e MMP13.
Terapie senolitiche
L’età è uno dei maggiori fattori di rischio per OA, infatti, si pensa che le cellule senescenti contribuiscano notevolmente al danno articolare correlato all’OA. Questo fenomeno è caratterizzato principalmente da risposte alterate allo stress cellulare, alla perdita della proliferazione cellulare e ad un particolare fenotipo pro-infiammatorio che può alterare la funzione di cellule e tessuti adiacenti. Condrociti senescenti si accumulano con l’età nella cartilagine e contribuiscono a incrementarne la fragilità. Utilizzando un approccio farmacologico, con farmaci senolitici come l’UBX0101, studi recenti hanno dimostrato che è possibile rimuovere le cellule senescenti con buoni risultati in termini di riduzione del danno articolare e del dolore.
Terapie che promuovono la riparazione della cartilagine
Promuovere la riparazione della cartilagine è un altro modo per contrastare la perdita di cartilagine in OA. Uno degli sviluppi più importanti nell’ambito dei trattamenti anabolizzanti è stato fatto con la sprifermina (Fattore di crescita dei fibroblasti 18 – FGF18). Gli studi hanno identificato l’FGF18 come un importante fattore coinvolto nella condrogenesi, nella proliferazione dei condrociti e nella riparazione della cartilagine. Tuttavia, il vantaggio a lungo termine della sprifermina rimane incerto e sono necessari ulteriori studi per confermare se il beneficio strutturale del farmaco si mantenga nel tempo.
Un cambiamento importante che si verifica durante il processo di invecchiamento è la disregolazione della segnalazione del Fattore di crescita trasformante-β (TGF-β) nei condrociti, con un aumento di attivazione della via del recettore procatabolico dell’activina chinasi 1. Alti livelli di TGF-β nell’articolazione durante l’OA contribuiscono alla formazione di osteofiti e fibrosi sinoviale. Negli ultimi anni, nel trattamento di OA, è stato studiato il trasporto di TGF-β in articolazione attraverso l’iniezione di condrociti allogenici trasdotti con un vettore retrovirale e nei modelli animali i risultati hanno dimostrato la riparazione della cartilagine con un buon profilo di sicurezza.
A causa della loro capacità di rigenerarsi, il loro potenziale di differenziazione multilineare (soprattutto in condrociti) e le loro proprietà immunomodulatorie le cellule staminali (MSC) sono state ampiamente studiate per il trattamento dell’OA. Tuttavia, i meccanismi d’azione delle MSC autologhe sono in gran parte sconosciuti, in parte perché gli studi presenti in letteratura sono di bassa qualità. Attualmente è in fase di studio una terapia intra-articolare con un farmaco KA34, che dovrebbe promuovere la differenziazione delle cellule progenitrici endogene.
Terapie mirate al rimodellamento osseo
I risultati degli studi preclinici hanno suggerito che il riassorbimento osseo subcondrale è aumentato nelle prime fasi di OA. Gli osteoclasti dell’osso subcondrale sono stati anche associati al dolore da OA, in quanto possono regolare l’innervazione sensoriale attraverso la produzione di netrina-1, una proteina di controllo assonale. La densità degli osteoclasti nell’osso subcondrale, infatti, è associata a dolore nei pazienti con OA sottoposti ad artroplastica di ginocchio, e il dolore è correlato alle concentrazioni sieriche di biomarcatori associati all’attività degli osteoclasti.
Tra i trattamenti mirati al riassorbimento osseo, i bisfosfonati sono stati i farmaci più studiati nel contesto dell’OA. Nonostante i promettenti risultati negli studi preclinici, con la riduzione della gravità del danno cartilagineo, gli RCT e le metanalisi hanno prodotto risultati contrastanti e poco significativi. È stato prospettato un ruolo dei bisfosfonati come possibili farmaci efficaci nei pazienti con OA ed edema osseo evidenziato alla risonanza magnetica, maggiormente associato al dolore e alla progressione della malattia. Tuttavia, i risultati non sono stati molto incoraggianti, anche se vanno considerati alcuni aspetti legati alla metodologia degli studi. Ad oggi comunque, a parte l’edema osseo, non è disponibile alcun biomarcatore che consenta l’individuazione facile e precoce dei pazienti con OA con alti tassi di rimodellamento osseo subcondrale.
La catepsina K è prevalentemente espressa negli osteoclasti ed è coinvolta nel riassorbimento osseo attraverso la degradazione di proteine della matrice ossea come il collagene di tipo I. È anche espressa nella sinovia e nei condrociti ed è in grado di clivare il collagene di tipo II nella cartilagine. Nei modelli murini di OA indotta, topi carenti della codificazione genica per la catepsina K hanno sviluppato un danno cartilagineo più lieve rispetto ai controlli wild-type, evidenziando il ruolo della catepsina K nella patogenesi dell’OA. Un inibitore della catepsina K, MIV-711, in un recente studio su modelli animali di OA, ha dimostrato di ridurre il danno cartilagineo, prevenire il riassorbimento osseo e diminuire i biomarcatori di rimodellamento osseo e cartilagineo.
Terapie antinfiammatorie
L’infiammazione locale di basso grado osservata nell’OA è stata anche considerata come un possibile target terapeutico. Gli studi epidemiologici hanno riportato un’associazione tra infiammazione sinoviale, dolore e danni strutturali. Tuttavia, se l’infiammazione locale contribuisca direttamente al danno articolare o sia un semplice epifenomeno dell’OA non è chiaro. I glucocorticoidi (GC) sono gli antinfiammatori più utilizzati, in particolare per il trattamento di malattie come i reumatismi infiammatori. Mentre l’uso dei GC orali (prednisolone) sembra avere effetti positivi sull’OA della mano (seppur parziali) ed è associato ad un rischio sostanziale di effetti avversi sul lungo periodo, i GC intra-articolari offrono un’opportunità di terapia mirata, riducendo così l’esposizione sistemica al farmaco e alle sue complicanze. Tuttavia, le iniezioni di GC hanno solo effetto a breve termine sul dolore e sulla funzionalità del ginocchio e permangono dubbi sulla sicurezza a lungo termine, in particolare sui possibili effetti anti-anabolizzanti nella cartilagine.
Il liquido sinoviale nell’OA contiene varie citochine proinfiammatorie (es.IL-1β, TNF, IL-6). Poiché alcune di queste citochine sono in grado di innescare il catabolismo cartilagineo, i farmaci biologici che inibiscono queste citochine sono stati proposti come potenziali DMOAD. Tuttavia, a parte i risultati positivi dello studio CANTOS sull’utilizzo di canakinumab nel trattamento dell’OA del ginocchio e dell’anca, gli inibitori dell’IL-1 non hanno prodotto risultati soddisfacenti. Anche gli inibitori del TNF sono stati ampiamente studiati nell’OA, infatti, il TNF è stato rilevato all’interno di articolazioni di pazienti con OA erosiva della mano. Nel complesso, gli studi pubblicati in letteratura suggeriscono che il TNF potrebbe essere maggiormente coinvolto nel danno articolare così come nei processi dolorosi durante l’OA, ma il risultato clinico è stato finora poco incoraggiante. Un’altra citochina pro-infiammatoria che potrebbe essere coinvolta nel dolore da OA è il fattore stimolante le colonie di granulociti-macrofagi (GM-CSF) così come la CC-chemochina ligando 17 (CCL17) e l’interleuchina-36 (IL-36) che sono attualmente in fase di studio.
Terapie mirate alla via di segnalazione Wnt
La via di segnalazione di Wnt è un sistema biologico che coinvolge una famiglia numerosa di glicoproteine. Sia l’iperattivazione che l’abrogazione del segnale Wnt sono stati associati allo sviluppo e alla progressione dell’OA, indicando che la via Wnt deve essere accuratamente equilibrata per mantenere l’omeostasi cartilaginea. Data la complessità della regolazione del segnale Wnt nelle articolazioni sane e in quelle colpite da OA, e visto anche il coinvolgimento di Wnt in molti processi fisiologici in altri tessuti, utilizzarlo come bersaglio terapeutico per trattare l’OA è un obiettivo piuttosto impegnativo. L’inibitore della via di segnalazione Wnt lorecivivint ha dimostrato di promuovere la rigenerazione della cartilagine in un modello di OA con un effetto antinfiammatorio e condroprotettivo. Anche in uno studio RCT di fase IIb a 24 settimane che includeva solo pazienti con OA sintomatica del ginocchio, quelli trattati con lorecivivint hanno mostrato miglioramenti della scala WOMAC e del dolore.
Terapie mirate al dolore
Il dolore è il sintomo centrale dell’OA ed è un importante determinante del rischio di protesi articolare totale. I meccanismi del dolore nell’OA sono complessi e non del tutto correlati al danno tissutale, come evidenziato dalla discordanza tra dolore e cambiamenti strutturali nelle articolazioni colpite. La cartilagine stessa non è innervata, ma sono presenti nocicettori nei tessuti circostanti come sinovia e capsula articolare, osso subcondrale e periostio, menisco e legamenti. Nei modelli murini, l’innervazione nocicettiva del ginocchio diminuisce con l’età, ma è marcatamente aumentata nelle articolazioni del ginocchio, riflettendo la plasticità dei meccanismi di sensibilizzazione periferici. Inoltre, le caratteristiche della sensibilizzazione centrale sono state osservate in pazienti con OA e sono associate a gravità del dolore, ma non a gravità radiologica. È importante sottolineare che le caratteristiche della sensibilizzazione sono reversibili, indicando che i cambiamenti nel sistema nervoso centrale potrebbero essere un bersaglio per il trattamento del dolore da OA.
Il fattore di crescita nervoso (NGF) è una proteina appartenente alla famiglia delle neurotrofine ed è un importante mediatore del dolore e della sensibilizzazione. Il ruolo di NGF nel dolore correlato all’OA è stato dimostrato in diversi studi preclinici. Nei pazienti con OA grave del ginocchio o dell’anca, anticorpi anti-NGF (tanezumab e fasinumab) costituiscono un approccio interessante al trattamento del dolore. I risultati del primo RCT di fase III di tanezumab e fasinumab, recentemente pubblicati, ne confermano l’efficacia nel migliorare il dolore e la funzione in pazienti con grave OA dell’anca o del ginocchio, tuttavia, pongono l’accento su un aumentato rischio di artropatie erosive, suggerendo che questi eventi avversi correlati alle articolazioni sono un effetto di classe degli inibitori dell’NGF.
La capsaicina è un componente del peperoncino e un potente modulatore agonista di TRPV1 (transient receptor potential vanilloid 1, canali recettoriali ampiamente espressi a livello delle fibre sensoriali e del SNC). Dopo aver attivato transitoriamente i nocicettori periferici, la capsaicina induce una sostenuta desensibilizzazione e di conseguenza attenua la sensibilità al dolore. In un RCT di fase II controllato con placebo, una singola iniezione intra-articolare di transcapsaicina sintetica (CNTX-4875) ha migliorato il dolore in 12 settimane, in pazienti con OA del ginocchio con un buon profilo di sicurezza (14-32).
Sfide per il futuro
I meccanismi del dolore nell’OA sono complessi e coinvolgono la sensibilizzazione sia periferica che centrale. Questa complessità potrebbe spiegare la dimensione dell’effetto relativamente scarso di analgesici tradizionali (es. paracetamolo, tramadolo e oppioidi) per alleviare il dolore da OA e migliorare la funzione, e dovrebbe essere preso in considerazione nelle prove di valutazione di efficacia di nuovi farmaci. Pazienti con OA potrebbero non avere tutti lo stesso fenotipo di dolore; quindi, individuare il fenotipo di pazienti da includere negli studi clinici rappresenta ad oggi una grande sfida. Probabilmente la sensibilizzazione centrale e il dolore di tipo neuropatico compromette l’efficacia dei trattamenti mirati ai nocicettori periferici, ma potrebbe anche rappresentare un bersaglio terapeutico rilevante nel dolore cronico da OA.
La storia naturale dell’OA è segnata da un basso tasso di progressione e studi che valutano l’efficacia dei DMOAD richiedono un lungo periodo di follow-up e un imaging avanzato per misurare in modo appropriato risultati strutturali come le modifiche del volume cartilagineo e il rimodellamento osseo. Saranno necessari studi a lungo termine per determinare se l’effetto strutturale di un DMOAD si traduca in beneficio clinico per i pazienti, con una significativa riduzione del dolore o diminuzione del rischio di sostituzione articolare.
Infine, l’OA colpisce varie articolazioni ed è caratterizzata da una sostanziale variabilità di presentazione clinica e radiografica. Sono stati proposti più fenotipi per spiegare questa straordinaria eterogeneità, basati sulla presenza di fattori di rischio (es. fenotipo “Meccanico”, “Infiammatorio”, “Metabolico” ecc.) o sulle caratteristiche dell’imaging (OA femorotibiale mediale rispetto a OA laterale ecc.).
La rilevanza di questi fenotipi è dibattuta. Un individuo potrebbe presentarsi con più di un fattore di rischio e diversi fattori di rischio potrebbero avere in comune un meccanismo patogenetico.
Come i vari i fenotipi di OA possano essere applicati per predire gli esiti della malattia o la risposta ai trattamenti è ancora oggetto di studio; la ricerca è in corso per definire i fenotipi di OA più significativi, cioè quelli che potrebbero influenzare le decisioni terapeutiche. Oltre a questa eterogeneità clinica, i multipli processi fisiopatologici descritti rappresentano molti endotipi, che potrebbero essere coinvolti a loro volta in ogni fenotipo di OA. È anche probabile che questi endotipi si sovrappongono in un dato paziente e che siano differentemente coinvolti nella patogenesi dell’OA in base allo stadio di malattia. Tuttavia, non esistono ancora prove convincenti per supportare questa ipotesi e mancano biomarcatori robusti per identificare tali pazienti.
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