Tiroide, dieci risposte corrette alle domande più comuni
In occasione della settimana mondiale della tiroide le principali società scientifiche endocrinologiche, mediche e chirurgiche hanno pubblicato un decalogo per rispondere alle domande più comuni sulle patologie che riguardano questa ghiandola e sfatare informazioni prive di base scientifica.
La corretta informazione riveste un ruolo centrale per un approccio corretto a patologie e disturbi, molto diffusi, che hanno orgine nel funzionamento della tiroide. In Italia si ritiene che siano 6 milioni le persone con problemi alla tiroide, nella maggior parte dei casi non gravi e curabili.
Di seguito le dieci domande proposte dalla campagna “Tiroide e salute: io mi informo bene” , con le risposte degli specialisti.
1. Non riesco a perdere peso: sarà la tiroide? La terapia con levotiroxina fa ingrassare?
Anna Maria Colao, Presidente SIE, Società Italiana Endocrinologia
I pazienti con ipotiroidismo grave possono presentare sovrappeso, ma questo non si riscontra di regola nell’ipotiroidismo lieve, molto più frequente. Peraltro i pazienti obesi possono presentare alterazioni modeste degli esami di funzione tiroidea, che vanno correttamente inquadrati dall’endocrinologo. In ogni caso, l’uso di farmaci a base di ormone tiroideo a scopo dimagrante non è adeguato né efficace, e presenta rischi per la salute.”
“Il 50% dei pazienti affetti da ipotiroidismo grave – aggiunge Colao – lamentano un aumento di peso, seppur di grado lieve. Studi epidemiologici indicano che i pazienti con lievi alterazioni di funzione tiroidea (ipotiroidismo subclinico) non sono più a rischio di sviluppare sovrappeso ed obesità. Piuttosto, è dimostrato che l’obesità si associa ad alterazioni di funzione tiroidea che seguono all’aumento di peso. Inoltre, aumenti di peso seppur di lieve entità si possono spesso verificare dopo trattamento dell’ipertiroidismo.
In linea generale tutti i pazienti che notano difficoltà a perdere peso o un aumento di peso, apparentemente non giustificato, dovrebbero sottoporsi a una valutazione endocrinologica, che includa la valutazione dello stato di funzione tiroidea ed indaghi, ove indicato, la presenza di altre malattie endocrine che ne possono essere la causa.
“La correzione dell’ipotiroidismo – specifica Colao – mediante la terapia sostitutiva con ormoni tiroidei (tiroxina) quando adeguatamente prescritta non ha effetti negativi sul peso e previene i rischi di peggioramento metabolico e di progressione di malattia.
L’impiego di ormoni tiroidei a scopo dimagrante è una pratica inefficace e possiede molti effetti deleteri sulla salute, non riduce il grasso corporeo ma piuttosto riduce la massa magra.
È inoltre importante ribadire come gli effetti della massa di tessuto adiposo e dell’apporto nutrizionale sulla funzione tiroidea e viceversa degli ormoni tiroidei sul metabolismo siano numerosi e molto complessi; per questo motivo è necessario rivolgersi allo specialista endocrinologo al fine di poter interpretare correttamente i risultati degli esami di funzione tiroidea in ciascun caso specifico.”
2 Sale iodato e salute della tiroide: cosa è importante sapere
Antonella Olivieri, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Nazionale per il Monitoraggio della Iodoprofilassi in Italia, Istituto Superiore Sanità
Marcello Bagnasco, Presidente A.I.T. Associazione Italiana Tiroide e coordinatore scientifico della Settimana Mondiale della Tiroide
Un’adeguata nutrizione iodica consente di prevenire la maggior parte delle patologie tiroidee. La legge 55 del 2005 ha introdotto un programma nazionale di iodoprofilassi tramite il sale iodato (“POCO SALE MA IODATO”), che ha migliorato considerevolmente lo stato nutrizionale iodico della popolazione. Tutti possono usare il sale iodato, anche le persone con patologie tiroidee. Lo iodio, contrariamente a quanto si crede, non si respira, ma si assume attraverso l’alimentazione.”
“Lo iodio – aggiungono gli specialisti è indispensabile per il funzionamento della tiroide perché è il costituente fondamentale degli ormoni tiroidei. Una dieta variata, almeno nelle abitudini alimentari europee ed occidentali, non è in grado di assicurare un apporto sufficiente di iodio. Per questo è stato introdotto in molti paesi del mondo il sale addizionato con iodio. Basta consumare la piccola quantità di sale che è raccomandata per una sana alimentazione (non superiore a 5 grammi al giorno, anche se sfortunatamente tuttora se ne consuma di più) ed adottare una dieta variata, che l’apporto di iodio necessario (circa 150 microgrammi al giorno nell’adulto) viene garantito.
Circolano alcune informazioni errate sull’uso del sale iodato: ad esempio che si possa usare solo per condire e non per la cottura: invece è opportuno usare in ogni caso POCO SALE MA IODATO. È diffusa anche la convinzione che l’utilizzo di sale iodato sia controindicato in pazienti che soffrono di malattie della tiroide: anche questo non è vero, tutti possono usare il sale iodato perché questo alimento garantisce il fabbisogno di iodio necessario ma non determina un apporto di iodio eccessivo (che in effetti non sarebbe desiderabile in pazienti con malattie della tiroide, in particolare ipertiroidismo).
Un’altra opinione errata molto diffusa è che lo iodio non si assuma solo con l’alimentazione ma anche attraverso l’aria che si respira, e che quindi “l’aria di mare” sia ricca di iodio e chi vive al mare non abbia necessità di usare il sale iodato. Di fatto, lo iodio si mangia e non si respira, e respirare al mare o in montagna non determina alcun cambiamento nell’introito di iodio.
Infine, circolano teorie allarmistiche, in verità molto fantasiose, secondo le quali lo iodio usato per arricchire il sale proverrebbe da rifiuti ospedalieri riciclati (secondo alcune fonti, radioattivi!). In realtà il controllo del processo di arricchimento di iodio del sale è regolato da precise disposizioni di legge e il prodotto è strettamente controllato prima del rilascio e processi di sofisticazione come quelli sopra descritti sono totalmente inverosimili (e sarebbero anche economicamente privi di senso).
L’uso del sale iodato è quindi uno strumento primario di prevenzione delle malattie tiroidee, e ha determinato risultati importanti, riducendo patologie come il gozzo e l’ipotiroidismo congenito. Il suo uso è sufficiente per una buona nutrizione iodica della popolazione: ulteriore supplementazione con integratori può essere indicata solo in condizioni particolari, quali la gravidanza (in cui il fabbisogno di iodio aumenta sensibilmente), oppure in soggetti che seguano diete particolarmente carenziate (es. vegani).
Per informazioni esaurienti sul fabbisogno iodico e sul sale iodato si può consultare sul web il sito dell’Istituto Superiore di Sanità, OSNAMI (Osservatorio Nazionale per il Monitoraggio della Iodoprofilassi)
3 Ora che sono anziano serve ancora curare la tiroide?
Fabio Monzani, SIGG Società Italiana di Geriatria e Gerontologia
La patologia tiroidea è molto comune nell’anziano, però la sintomatologia può avere caratteristiche peculiari e può non essere facilmente distinguibile e inquadrabile per la presenza di altre patologie. È importante non limitarsi al semplice dosaggio del TSH ed è sempre consigliato rivolgersi allo specialista che valuterà se, quando e come intervenire con una terapia nel quadro globale di salute della persona.
“È noto – aggiunge Monzani – che la prevalenza di patologia tiroidea aumenta progressivamente con l’età, soprattutto nel sesso femminile, fino a raggiungere percentuali ben superiori a quelle delle più comuni patologie croniche quali l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, la BPCO etc. In particolare, la prevalenza di ipotiroidismo subclinico [aumento del TSH circolante con valori normali di ormoni tiroidei liberi (FT3, FT4)] raggiunge valori intorno al 15-20% nelle donne di età superiore a 70 anni; molto spesso però l’incremento del TSH non configura una reale disfunzione tiroidea ma rappresenta semplicemente una modificazione fisiologica, età correlata, del complesso sistema ipotalamo-ipofisi-tiroide, e non necessita di alcun trattamento. In altri casi, invece, l’aumento del TSH è espressione di una reale malattia tiroidea (tiroidite cronica) come documentato dalla presenza di autoanticorpi nel sangue circolante. In quest’ultimo caso la terapia con ormone tiroideo (tiroxina) può essere indicata, soprattutto se i valori di TSH superano le 8-10 mIU/L. Nel caso quindi di un incremento isolato del TSH evidenziato occasionalmente in un prelievo di sangue per esami di routine, i rari casi nei quali è indicato iniziare il trattamento con tiroxina devono necessariamente essere identificati dal medico specialista, soprattutto nei pazienti più anziani (ultraottantenni).
Diverso è il caso della presenza di ipertiroidismo, anche se subclinico (TSH indosabile e FT3 e FT4 nella norma), perché tale condizione si associa molto spesso a disturbi cardiocircolatori (palpitazioni, fibrillazione atriale), oltre a svolgere un’azione negativa sulla struttura muscolo-scheletrica, favorendo l’osteoporosi e la sarcopenia con conseguente aumentato rischio di cadute e di fratture post-traumatiche. La presenza di ipertiroidismo richiede quindi sempre un’attenta valutazione da parte del medico e, molto spesso, un adeguato trattamento.
“Un ragionamento a parte – conclude Monzani – va fatto nel caso di pazienti anziani affetti da patologia tiroidea (benigna o maligna) insorta in età adulta, presenile. Questi pazienti non infrequentemente con l’aumentare dell’età vanno incontro ad altre patologie ritenute più importanti di quelle tiroidee (quali lo scompenso cardiaco, l’insufficienza renale, l’insufficienza respiratoria, disturbi cognitivo-comportamentali etc.) per cui sono costretti ad assumere numerosi farmaci e la patologia tiroidea di cui sono affetti da anni (anche nel caso di pregressi interventi chirurgici sulla tiroide) passa in secondo piano: non vengono più verificate le terapie con ormoni tiroidei o antitiroidei, con il rischio che il profilo ormonale si alteri progressivamente, favorendo non raramente un peggioramento dello stato di salute generale del paziente, soprattutto se affetto da insufficienza cardiaca, renale o respiratoria, contribuendo spesso ad aggravare l’eventualmente già esistente disturbo cognitivo e comportamentale.”
4 Difficoltà alla deglutizione e tiroide
Francesco Frasca, membro Comitato Esecutivo ETA, European Thyroid Association
In caso di fastidio o difficoltà alla deglutizione spesso è data la responsabilità alla tiroide. Va detto che solo una tiroide molto ingrossata, e in particolare noduli di grandi dimensioni possono portare ad una reale difficoltà alla deglutizione. Andrebbero valutate con attenzione cause più comuni, quali esofagite da reflusso o faringite.”
5 I pazienti con problemi alla tiroide lamentano stati ansiosi e insonnia. Ci sono legami concreti tra tiroide e ansia?
Franco Grimaldi Presidente AME, Associazione Medici Endocrinologi
Ansia, irritabilità, insonnia e altri segni di malessere psicologico possono essere legati a malfunzionamento della tiroide, in particolare ipertiroidismo, e normalizzarsi con adeguata terapia della disfunzione. Peraltro disturbi legati ad ansia patologica sono molto frequenti in generale, e il riscontro di normali esami di funzione tiroidea permette di escludere un legame con disfunzioni della ghiandola.”
“È importante – aggiunge Grimaldi – cogliere la differenza tra ansia fisiologica e ansia patologica. La prima è uno stato di tensione psicologica e fisica che consente un’attivazione generale di tutte le risorse del soggetto, in modo tale da permettere l’attuazione di comportamenti indispensabili per l’adattamento. L’ansia patologica, al contrario, disturbando anche notevolmente il funzionamento psichico, determina una limitazione delle capacità adattative dell’individuo.
Gli ormoni tiroidei sono noti per il loro ruolo nella modulazione del tono dell’umore. La sensibilità del sistema nervoso centrale alle variazioni di funzione tiroidea sembra aumentare con l’età e con le fluttuazioni degli ormoni tiroidei. Alcuni dei sintomi del malfunzionamento della ghiandola tiroidea, nel caso sia presente una iperfunzione, ed in particolare un ipertiroidismo conclamato in persone di età inferiore a 50 anni, ricordano quelli caratteristici dell’ansia, con irritabilità, problemi di concentrazione e insonnia, in qualche caso anche attacchi di panico.
Nella fase iniziale in cui è presente un eccesso di ormoni tiroidei circolanti, anche le tiroiditi subacute possono presentare una sintomatologia simile a quella appena descritta; tuttavia, in questo caso è associata a febbre e dolore in corrispondenza del collo. A conferma della stretta relazione fra disfunzioni e malattie della tiroide da una parte e sintomi mentali caratterizzati da ansia ed insonnia dall’altra, c’è il riscontro di un miglioramento di questi ultimi quando tali patologie sono trattate adeguatamente.
È quindi sensato – conclude Grimaldi – che il medico prescriva esami di funzione tiroidea in pazienti che manifestino senza causa apparente disturbi psichici quali quelli sopra descritti, ed in particolare se sono presenti altri segni quali dimagramento, intolleranza al caldo, tachicardia: peraltro disturbi legati ad ansia patologica sono molto frequenti indipendentemente dalle disfunzioni tiroidee, ed il riscontro di esami di laboratorio di funzione tiroidea normali porta ad escludere con sicurezza la responsabilità della tiroide.
6 Tiroide e web. Il caso “tiroide secca”
Luca Chiovato, Past President A.I.T. Associazione Italiana della Tiroide
Internet e tiroide tra bufale e falsi miti: tra le fake news che circolano in internet, una molto diffusa riguarda la tiroide secca: “la tiroide secca è un farmaco naturale ed è meglio delle medicine a base di ormoni tiroidei”. In realtà i preparati a base di tiroide secca di origine animale contengono quantità di ormoni tiroidei assai variabili, e il loro uso non presenta alcun vantaggio rispetto alle preparazioni di ormoni purificati e titolati con esattezza.”
“La tiroide – aggiunge Chiovato – è probabilmente l’organo endocrino più conosciuto. Nonostante questo, o forse proprio per questo, nel web sono reperibili una grande quantità di informazioni false e/o ingannevoli, fonte di confusione per i lettori. La ragione di questo fiorire di “consigli per l’uso” risiede in alcune “parole chiave” che, nell’opinione comune, si associano ad una funzione tiroidea ottimale: perdita di peso, efficienza di tutto l’organismo con riduzione dell’astenia, miglioramento del tono dell’umore. Nella grande maggioranza dei casi i messaggi ingannevoli hanno scopo commerciale e sono legati alla vendita di prodotti di cui si vanta il potere di migliorare la funzione tiroidea e/o di impedire il ricorso alle terapie mediche basate sui temuti farmaci “chimici” a cui andrebbero preferiti preparati “naturali”.
Anche nel caso della tiroide si fa quindi leva sulla paura dei farmaci, abbastanza diffusa nella popolazione generale. Per semplificare, i messaggi ingannevoli presenti sul web possono essere raggruppati in tre tipologie: 1) i regimi dietetici (…le ricette) di cui si vanta un effetto benefico sulla tiroide, alcuni dei quali pubblicati su libri superpatinati reperibili anche nelle librerie di prestigiosi editori italiani; 2) gli integratori che contengono iodio (spesso, attenzione!, in quantità superiore a quella raccomandata come ottimale), selenio, L-tirosina e erbe “anti-stressogene, antiossidanti”, 3) i trattamenti alternativi (alla medicina ufficiale) “basati sulla cura biologica delle malattie tiroidee che dipende dalla capacità di fare una diagnosi di tipo funzionale, e non solo organica; e di combinare tra loro, con esperienza e maestria, le diverse terapie che fanno parte del mondo della Medicina Biologica”.
Un commento particolare meritano gli integratori la cui composizione sembra basarsi sul principio, abbastanza semplicistico, che mettendo insieme lo iodio e l’aminoacido L-tirosina si possa ottenere la sintesi di ormoni tiroidei, laddove questa richiede complesse reazioni biochimiche e la disponibilità di una grande molecola chiamata tireoglobulina all’interno della quale si ha la sintesi degli ormoni tiroidei. Purtroppo, alcuni di questi testi contengono anche indicazioni completamente errate come l’affermazione che la maggior parte delle malattie tiroidee siano originate dall’infezione di un virus.
Un discorso a parte – specifics Chiovato -merita la tiroide secca, cioè gli estratti secchi di tiroide porcina. La tiroide secca è un vero farmaco presente soprattutto nella farmacopea statunitense. Per decenni, prima dell’introduzione della L-tiroxina di sintesi chimica, è stata utilizzata per il trattamento dell’ipotiroidismo. Contiene una miscela dei due ormoni tiroidei, L-Tiroxina (T4) e L-Triiodotironina (T3) che può variare da preparazione a preparazione a seconda della provenienza e dell’alimentazione degli animali da cui la tiroide è prelevata. Come farmaco, è di conseguenza meno maneggevole della L-tiroxina e il suo utilizzo richiede un monitoraggio più accurato. Di fatto, la terapia con L-Tiroxina da sola è agevole e risolutiva nella grandissima maggioranza dei pazienti con ipotiroidismo. Il “gradimento” soggettivo riportato da alcuni pazienti nei confronti della terapia con estratti di tiroide secca è probabilmente dovuto alla (variabile) presenza di T3 nelle preparazioni. Peraltro, nella minoranza di pazienti la cui sintomatologia non è del tutto risolta con l’assunzione della sola L-Tiroxina si dovrebbe piuttosto pensare all’aggiunta in terapia di L-Triiodotironina con un rapporto ben definito e individualizzabile paziente per paziente. La raccomandazione finale è: evitate le sirene del web e, in caso di dubbio, rivolgetevi sempre al vostro medico/endocrinologo.
7 Le radiazioni a cui si è esposte attraverso le mammografie di screening, possono causare danno alla tiroide? Sarebbe quindi sempre necessario indossare un collare piombato per proteggersi?
Maria Cristina Marzola, AIMN, Associazione Italiana Medicina Nucleare
Non esiste alcun pericolo di danni alla tiroide, e in particolare di insorgenza di tumori, legato allo screening mammografico, procedura preziosa per la diagnosi precoce del cancro al seno. La radioattività erogata è molto bassa e le radiazioni comunque non colpiscono la tiroide. L’uso di collari piombati è non solo inutile ma dannoso perché può alterare il risultato della mammografia
“Il problema – piega Marzola – deriva da un messaggio che tempo fa è divenuto “virale” sui social-media di tutto il mondo, derivante da una trasmissione popolare americana che avrebbe ipotizzato una qualche correlazione fra incremento dei tumori della tiroide ed esposizione a radiazioni ionizzanti per esami di routine quali la mammografia e in cui, come conclusione, il conduttore suggeriva alle donne di richiedere una protezione in piombo per il collo (tipo un collare) prima di eseguire le mammografia di screening.
Diversi sono gli elementi da considerare a questo proposito: elementi da considerare:
- Quando si esegue una mammografia, il fascio di raggi X è, si dice “ben collimato”, ossia precisamente diretto, indirizzato alla mammella (parete toracica) e non arriva in tiroide come “fascio primario”.
- La radioattività che viene emessa è molto bassa, poiché lo scopo è lo screening, quindi la ricerca nella popolazione delle donne che mostrino lesioni potenzialmente a rischio, per cui, dovendo essere eseguita periodicamente per un certo numero di anni, non può fornire un’irradiazione pericolosa (sarebbe un’evidente contraddizione in termini), né alla mammella né ad altri organi.
- Alcuni propongono di usare le protezioni piombate, cioè una sorta di “collari di piombo” per proteggere la tiroide. Ma in realtà il fascio di raggi che arriva alla mammella è precisamente indirizzato e non arriva dunque come tale alla tiroide, ma solo come modestissima radiazione “diffusa”, non mirata, indiretta e di bassa intensità per cui un rapporto di causa/effetto con l’insorgenza di neoplasia non è nemmeno ipotizzabile.
- Il rimedio proposto sarebbe più pericoloso del rischio (peraltro inesistente) da cui vorrebbe proteggere. La presenza del collare piombato potrebbe, invece, addirittura causare artefatti all’immagine mammografica, ostacolando la buona tecnica di esecuzione dell’indagine stessa; il collare, infatti, arriva in basso, un po’ oltre il collo, all’imboccatura del torace, per cui può schermare i raggi che arrivano ai quadranti superiori della mammella, coprendo parzialmente il tessuto mammario, quindi determinando la formazione di un’immagine artefattuale od incompleta e richiedendo quindi la ripetizione della mammografi e in questo caso sì che si avrebbe un aumento dell’irradiazione, con raddoppio della dose.
- La dose di radioattività alla tiroide da una mammografia bilaterale è di circa 3 microGy (0.03 mGy), che equivale all’assorbimento di circa 12 ore di radiazione di fondo naturale cui tutti siamo continuamente sottoposti; il rischio stimato di tumori della tiroide radioindotti in pazienti fra i 40 e gli 80 anni che eseguissero annualmente mammografia di screening è quindi di 1:17.8 milioni (e in Italia, peraltro, lo screening si fa dopo i 50 anni, e ogni due anni, quindi il rischi calcolato sarebbe ancora inferiore)
- L’aumento di tumore della tiroide calcolato secondo la notizia coinvolgerebbe la popolazione generale, quindi anche sugli uomini, che evidentemente non si sottopongono a mammografie di screening.
- L’aumento di incidenza negli ultimi 30 anni di tumore alla tiroide è almeno in parte dovuto a overdiagnosi, in quanto viene diagnosticato un numero molto maggiore di forme poco aggressive per la maggior diffusione di procedure ecografiche, ed al fatto che le forme più aggressive della malattia si diagnosticano più facilmente e precocemente.
- La mammografia di screening salva la vita e salvaguarda l’integrità del corpo femminile, perché prima il tumore viene diagnosticato maggiori sono le sue possibilità di guarigione e minore l’impatto della cura sul fisico e sulla mente della donna. Questo è un dettaglio oggi inequivocabile e chi lo mette in dubbio va contro il bene del mondo femminile.”
8 La scintigrafia tiroidea comporta un’esposizione a radiazioni elevate, bisogna tenerne conto nel programmare una gravidanza? La scintigrafia tiroidea e la terapia con il radioiodio possono aumentare significativamente il rischio di insorgenza di tumori maligni?
Maria Cristina Marzola AIMN, Associazione Italiana Medicina Nucleare
La scintigrafia tiroidea è un’indagine diagnostica che comporta l’esposizione a dosi molto basse di radiazioni: la sostanza radioattiva somministrata si concentra in maniera pressoché esclusiva nella tiroide e l’irradiazione di altri organi, compresi quelli riproduttivi, è trascurabile, e non esiste alcun problema per la programmazione di gravidanze, né per il rischio di sviluppare tumori. La terapia con iodio radioattivo serve a distruggere residui di tessuto tiroideo tumorale, o tessuto tiroideo iperfunzionante. La radioattività però si concentra elettivamente nel tessuto tiroideo (poiché il tessuto tiroideo “capta” lo iodio radioattivo allo stesso modo di quello non radioattivo) ed è in grado di distruggerlo “selettivamente”, irradiando gli altri organi solo in misura minima e non pericolosa
“La scintigrafia tiroidea – specifica Marzola – è un’indagine diagnostica medico nucleare utilizzata per valutare la funzionalità della ghiandola tiroide e le caratteristiche delle nodulazioni eventualmente presenti nel suo contesto. Prevede la somministrazione di una piccola dose di una sostanza radioattiva, il tecnezio 99 metastabile, che è molto simile allo Iodio, sostanza che la tiroide utilizza quasi esclusivamente per il suo metabolismo, per cui praticamente tutto quello che viene somministrato si concentra nella ghiandola, non interferendo con gli altri organi, compresi gli organi sessuali (ovaio e testicoli). La dose di radioattività somministrata, inoltre, è di per sé molto bassa (corrispondente a quella che si assorbirebbe in un paio di giorni di volo aereo) e inoltre si riduce rapidamente nel tempo, divenendo pressochè insignificante in alcune ore. Non esiste dunque alcun rischio di alterazione di ovuli e spermatozoi, anche per una gravidanza che si instauri subito dopo l’esecuzione della scintigrafia.
Sempre per lo stesso motivo (radioattività somministrata estremamente contenuta) la scintigrafia tiroidea non comporta alcun pericolo in termini di rischio di insorgenza di neoplasie.”
“La terapia con radioiodio – aggiunge Marzola – è una procedura terapeutica, che si usa per distruggere residui o recidive di tumore della tiroide, o per distruggere tessuto tiroideo iperfunzionante in caso di ipertiroidismo. Lo Iodio 131, il radiofarmaco utilizzato a questo scopo, possiede, giocoforza, un’energia più elevata di quello del Tecnezio usato per la scintigrafia, poiché il suo scopo non è quello di “fotografare”, ma quello di “curare”, e va usato a dosi più elevate, comportando, ovviamente, un più elevato carico di radiazioni. La cellula tiroidea non lo distingue dallo iodio “stabile” (ossia non radioattivo), che è la sostanza che essa utilizza specificamente per il proprio metabolismo, per cui lo scambia per Iodio non radioattivo, lo incorpora e lo concentra al suo interno, venendo poi distrutta dalla radiazione che esso emette: è come se la cellula “aprisse la porta” al suo assassino, che, poi, la distrugge dall’interno, emettendo radiazioni. Proprio per questo lo Iodio 131 ha un bersaglio preciso, cioè si concentra elettivamente nelle cellule tiroidee; questo consente da un lato di esercitare il potere terapeutico in modo mirato e pressoché esclusivo, e dall’altro di preservare il resto dei tessuti, quelli extra-tiroidei. Per questo, il rischio di questa terapia di indurre tumori in altri organi risulta davvero molto basso, pressoché inesistente, e i risultati anche della letteratura scientifica indicano che i benefici del trattamento con iodio radioattivo superano di gran lunga i rischi.
9 Anche il bambino può avere problemi alla tiroide e ipotiroidismo congenito non vuol dire cretinismo
Mariacarolina Salerno, presidente SIEDP, Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica
La tiroide è un organo fondamentale per la crescita, e le malattie tiroidee possono manifestarsi già alla nascita. Da decenni viene effettuato alla nascita lo screening per l’ipotiroidismo, che dà la possibilità di diagnosi e trattamento tempestivo, garantendo un normale sviluppo psicofisico. Altre patologie simili a quelle dell’adulto possono insorgere nell’infanzia e nell’adolescenza, agevolmente identificabili e curabili dal pediatra endocrinologo.”
“La tiroide – aggiuge Salerno – è un organo molto importante per la crescita e lo sviluppo neuro-cognitivo del bambino. Anche in età pediatrica le malattie tiroidee sono molto frequenti e possono manifestarsi già alla nascita. Infatti, l’ipotiroidismo congenito è una condizione che colpisce circa 1 neonato ogni 2000/3000 nati ed è caratterizzata da assenza, alterato sviluppo o non corretto funzionamento della tiroide. Preoccupa molto i genitori e le famiglie non solo perché colpisce il neonato, ma anche perché ancora oggi si può trovare sul web l’associazione tra ipotiroidismo congenito e cretinismo. In passato, infatti, i bambini con ipotiroidismo congenito severo venivano diagnosticati tardivamente e potevano presentare un severo ritardo mentale.
Dalla fine degli anni settanta, viene effettuato lo screening neonatale per l’ipotiroidismo congenito proprio con l’obiettivo di effettuare una diagnosi precoce ed iniziare un immediato trattamento per prevenire un severo ritardo mentale. A tutti neonati viene prelevata dal tallone una goccia di sangue, nei primi giorni di vita, per dosare il TSH, un indicatore molto importante del funzionamento della ghiandola tiroidea. Un TSH aumentato è indicativo di un non corretto funzionamento della tiroide. Lo screening neonatale consente di individuare precocemente quei neonati con problemi tiroidei ed iniziare subito una terapia sostitutiva con ormone tiroideo levotiroxina. I dati a lungo termine su adulti con ipotiroidismo congenito diagnosticati tramite screening neonatale sono molto rassicuranti; la diagnosi precoce e la regolarità del trattamento sono in grado di assicurare nella maggior parte dei pazienti una normale crescita, un normale sviluppo intellettivo e una soddisfacente vita riproduttiva.”
In età successive al periodo neonatale, esistono patologie tiroidee acquisite che possono portare la tiroide a funzionare poco o addirittura troppo. La tiroidite cronica autoimmune e la malattia di Graves sono tra le endocrinopatie più frequenti in età adolescenziale, ma possono verificarsi in qualsiasi fascia di età. Sono condizioni spesso familiari che colpiscono con maggiore frequenza il sesso femminile. Non è sempre necessaria una terapia specifica. Questa, infatti, dipende dall’entità della compromissione della funzione della ghiandola.
Il pediatra di libera scelta è in genere la prima figura nel percorso assistenziale del bambino in quanto durante i bilanci di salute può notare segni e sintomi di ipo- o iper-funzionamento della ghiandola tiroidea. La presenza di un ingrossamento della ghiandola tiroidea (gozzo), un rallentamento della velocità crescita, un aumento del peso, una riduzione del rendimento scolastico e nell’adolescente un ritardo dello sviluppo puberale possono rappresentare un campanello d’allarme per una condizione di ipotiroidismo. Viceversa, tachicardia, tremori, irritabilità, irrequietezza possono far sospettare una condizione di ipertiroidismo. In questi casi è importante effettuare un prelievo di sangue per la valutazione della funzione tiroidea, un’ecografia della tiroide ed inviare il bambino al pediatra endocrinologo per la gestione del problema.”
10 Gli interventi mininvasivi e robotici della tiroide hanno meno complicanze?
Pietro Giorgio Calò, presidente SIUEC, Società Italiana Unitaria di Endocrino-chirurgia
La probabilità di complicanze negli interventi sulla tiroide non è correlata con la tecnica impiegata. Gli interventi mininvasivi sono preferiti per la possibilità di avere sul collo segni quasi invisibili ma queste tecniche sono riservate alle tiroidi ed ai noduli più piccoli. La chirurgia della tiroide va sempre più verso un approccio personalizzato su ogni singolo paziente e sulle caratteristiche della ghiandola e del nodulo.”
“Gli interventi mininvasivi della tiroide – precisa Calò – prevedono un piccolo accesso nel collo di circa 1,5-2 cm; sono ormai effettuati diffusamente in Italia e nel mondo sulla spinta dei primi casi praticati dai gruppi chirurgici di Pisa e Roma (Gemelli), non richiedono una strumentazione particolarmente costosa, ma sono riservati a tiroidi piccole e noduli non superiori ai 3 cm.
La chirurgia robotica si è sviluppata negli ultimi anni sulla spinta soprattutto dell’esigenza delle donne dell’Estremo Oriente di non avere cicatrici sul collo e proprio in questi paesi si è maggiormente sviluppata. L’intervento viene condotto con un accesso ascellare monolaterale; anche questa tecnica è indicata per tiroidi non troppo voluminose e noduli piccoli ed è preferibile usarla per interventi monolaterali.
In realtà – conclude Calò – un accesso mininvasivo o robotico non comportano una riduzione delle complicanze; questi accessi sono riservati solo ad una piccola parte degli interventi di tiroidectomia, in particolare per le tiroidi ed i noduli più piccoli. In realtà la chirurgia della tiroide va sempre più verso una tailored surgery e cioè ritagliata su ogni singolo paziente e secondo le caratteristiche del paziente, del nodulo e della tiroide stessa.