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Vitamina D, nuovi dati sui rischi associati al deficit

Un nuovo studio rilancia il tema dei rischi legati al deficit di vitamina D e dell’opportunità di mettere in campo strategie di salute pubblica volte a limitare questi rischi. Un team di ricercatori australiani, utilizzando un grande database di popolazione (UK Biobank), ha trovato un’associazione fra carenza di vitamina D e un rischio maggiore di mortalità per tutte le cause, oltre che per cancro, eventi cardiovascolari e malattie polmonari.

Utilizzando l’analisi genetica i ricercatori hanno superato alcuni ostacoli metodologici presenti in studi precedenti. Come ha spiegato a Medscape Elina Hyppӧnen direttrice dell’Australian Center for Precision Health dell’University of South Australia:

La particolarità di questo nuovo studio è che siamo stati in grado di includere persone con livelli di vitamina D molto basse e valutare cosa accadrebbe se queste concentrazioni fossero un po’ più alte. La maggior parte degli studi randomizzati e controllati non mostra questi effetti, perché quasi tutti i soggetti arruolati hanno livelli sufficienti di vitamina D. Eticamente non è consentito fare studi su persone con livelli molto bassi di vitamina D senza trattarle.”

Lo studio con i dati genetici

I ricercatori dell’Università del Sud Australia di Adelaide (Aus) hanno arruolato 307.601 soggetti presenti nella UK Biobank di età compresa tra 37 e 73 anni, reclutati tra il 2006 e il 2010. Di tutti i partecipanti erano disponibili misurazioni di 25-idrossivitamina D (25-(OH)D) e dati genetici.

La mortalità per tutte le cause e per cause specifiche (malattie cardiovascolari, cancro e patologie delle vie respiratorie) è stata registrata fino a giugno 2020. I risultati sono stati pubblicati su Annals of Internal Medicine

I livelli di vitamina D geneticamente previsti sono stati stimati utilizzando 35 varianti confermate di 25-(OH)D. La concentrazione media di 25-(OH)D misurata all’inizio dello studio era 45,2 nmol/L e l’11,7% (n=36.009) dei partecipanti aveva livelli compresi tra 10,0 e 24,9 nmol/L. Il livello di vitamina D considerato sufficiente dalle line guida americane della  National Academy of Medicine (NAM) è di 50 nmol/L (corrispondente a circa 20 ng/ml).

Il rapporto tra concentrazioni di vitamina D e rischio di mortalità

Durante 14 anni di follow-up nella popolazione considerata ci sono stati 18.700 decessi (6,1%). Dopo aggiustamento per le variabili, il rischio relativo (odds ratio) di mortalità per tutte le cause risultava più alto tra le persone con livelli di 25-(OH)D inferiori a 25 nmol/L e si riduceva con l’aumento delle concentrazioni di vitamina D. Il rischio sembra stabilizzarsi tra 50 e 75 nmol/L, senza ulteriore riduzione della mortalità con valori da 75 a 125 nmol/L.

Rispetto a una concentrazione misurata di 25-(OH)D di 50 nmol/L, i ricercatori hanno stimato che le probabilità geneticamente previste di mortalità per tutte le cause aumenterebbero di sei volte con 10 nmol/L e del 25% (OR, 1,25) per i soggetti con una concentrazione di vitamina D di 25 nmol/L.

I soggetti con una concentrazione misurata di vitamina D di 25 nmol/L, rispetto alle 50 nmol/L, hanno un rischio relativo (OR) maggiore anche per mortalità cardiovascolare (1,25), mortalità per cancro (3,37) mortalità per cause respiratorie (12,44).

Il primo autore dello studio Josh Sutherland, afferma:

il nostro studio fornisce prove evidenti della connessione tra bassi livelli di vitamina D e mortalità, ed è il primo studio di questo tipo a includere anche l’outcome della mortalità correlata a malattie respiratorie”.

E la professoressa Hyppӧnen conclude:

il messaggio da portare a casa è semplice: la chiave è nella prevenzione. È molto importante insistere con politiche di salute pubblica per garantire che i più vulnerabili e gli anziani mantengano livelli sufficienti di vitamina D durante tutto l’anno”.

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.