Vitiligine, nuove opzioni terapeutiche all’orizzonte
Si manifesta con macchie bianche sulla pelle, ma non è un semplice problema estetico. “La vitiligine – come spiega Mauro Picardo, professore all’UniCamillus International University di Roma e coordinatore della task force europea sulla Vitiligine – è una malattia su base immunologica come la psoriasi, la dermatite atopica o il lupus. Il processo e la scomparsa dei melanociti avviene per un processo autoimmune.” Aggiunge Picardo:
la vitiligine può essere associata ad altre patologie autoimmuni, come la tiroidite autoimmune che colpisce il 25-35% dei pazienti con vitiligine, il diabete autoimmune, o l’artrite reumatoide. Lo sviluppo della malattia dipende in parte da una predisposizione genetica e da fattori ambientali in grado di attivare il meccanismo autoimmune: si stima che il 25-30% dei pazienti abbia una storia familiare di vitiligine. La malattia può comparire a qualsiasi età, compresa quella pediatrica, ma la maggiore incidenza si registra fra i 20 e i 40 anni.”
L’impatto psicologico ed economico della vitiligine
Chi è colpito dalla malattia spesso deve fare i conti con un pesante impatto psicologico. Secondo lo studio internazionale Valiant (Vitiligo and Life Impact Among International Communities), condotto in 17 Paesi, per 3 pazienti su 5 la vitiligine ha un impatto negativo sulla propria autostima e circa il 55% degli intervistati ha riferito sintomi di depressione da moderata a grave. Inoltre, 9 intervistati su 10 si sono scontrati con lo stigma derivante dalla loro condizione. Al peso psicologico si aggiunge anche quello economico: un’analisi condotta dal EEHTA-CEIS di Tor Vergata ha stimato che la vitiligine costi mediamente 1.653 euro a paziente/anno con un picco per i pazienti con comorbidità pari a 5.000 euro.
Nuove prospettive per la terapia
Il professor Picardo fa il punto sullo stato dell’arte attuale del trattamento della vitiligine:
fino a poco tempo fa, la conoscenza dei meccanismi patogenetici era scarsa e quindi non esisteva una terapia specifica. Ad oggi, il gold standard del trattamento è la fototerapia, ossia l’irraggiamento con raggi UVB a banda stretta. Questa stimola la pigmentazione come avviene con l’abbronzatura: si riattivano cioè i melanociti, anche quelli quiescenti, che producono pigmento. La fototerapia non solo aumenta la melanina, ma ha anche un’azione antiinfiammatoria e produce una diminuzione dell’infiltrazione delle cellule immunitarie nella cute. La fototerapia però viene eseguita in centri ospedalieri o universitari e comporta un impegno logistico non indifferente per i pazienti a fronte di una sessione di terapia della durata di pochi minuti. Esistono poi dei farmaci che vengono usati off label, e quindi sono a carico dei pazienti: si tratta di corticosteroidi topici e di farmaci immunomodulatori topici indicati per la dermatite atopica. La risposta a questi farmaci è piuttosto variabile sia da paziente a paziente, sia in base al distretto corporeo.
Per futuro si aprono nuove prospettive per il trattamento della vitiligine. Spiega Picardo:
negli ultimi decenni la ricerca ha avuto un forte sviluppo con risultati interessanti che hanno portato ad una migliore conoscenza dei meccanismi patogenetici e delle vie molecolari coinvolte nello sviluppo della malattia. Oggi sono diverse le molecole in studio per il trattamento della patologia. La prima ad essere stata approvata dalla Food and Drug Administration, l’agenzia Usa per l’autorizzazione dei farmaci è una piccola molecola che agisce inibendo la via di segnalazione delle Janus chinasi (JAK) particolarmente sovraespresse in chi ha la malattia. Le sperimentazioni internazionali, a cui hanno partecipato anche centri italiani, hanno dimostrato una buona efficacia in una significativa percentuale di pazienti. La risposta alla terapia dipende da molti fattori, tra i quali a localizzazione delle lesioni, l’età del paziente e quindi la capacità rigenerativa delle cellule cutanee, la durata della malattia. In ogni caso, data la storia naturale della malattia è quello di un progressivo aumento in numero e/o in dimensioni delle lesioni depigmentarie. È importante sottolineare che le manifestazioni cliniche possono recidivare anche dopo che sia stata ottenuta una repigmentazione. In circa il 40-50% dei pazienti trattati con la fototerapia possono fare esperienza di nuova depigmentazione anche in aree trattate con successo. I dati sui pazienti in cura con l’inibitore di JAK da due anni ci mostrano come la loro condizione clinica migliori con il passare del tempo.”
“Da sottolineare infine – conclude Picardo – come la Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse (SIDEMAST) stia organizzando il Registro nazionale della vitiligine: uno strumento per comprendere sempre meglio questa malattia a lungo negletta, per calcolare con precisione l’incidenza della malattia sul nostro territorio e per dare indicazioni ai centri al fine di migliorare l’aderenza al trattamento.”