Alzheimer, fattori di rischio emergenti e strategie per la prevenzione
Dalla ricerca scientifica arrivano nuove indicazioni sui fattori di rischio per la malattia di Alzheimer. Diabete, insulino-resistenza, malattie del fegato, disturbi del sonno, sono tutte condizioni che potrebbero favorire lo sviluppo di questa patologia. Indicazioni che aprono nuove strade per la diagnosi precoce e la prevenzione.
Questo lo scenario descritto al 24° Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana Psicogeriatria – AIP, che si è svolto a Firenze dall’11 al 13 aprile. Come spiega Alessandro Padovani, presidente della Società Italiana di Neurologia, direttore della Clinica di Neurologia e prorettore alla Ricerca dell’Università degli Studi di Brescia:
negli ultimi anni, per quanto riguarda la malattia di Alzheimer, sono stati riscontrati due trend opposti, una riduzione dell’incidenza e un aumento della prevalenza. Confrontando coorti d’età di diversi periodi emerge una riduzione della malattia: gli ottantenni di oggi rispetto a quelli del passato sono meno colpiti; il controllo dei fattori di rischio ritarda la comparsa della malattia. Tuttavia, l’invecchiamento della popolazione e l’aumento del numero di anziani porta a un incremento della prevalenza, con la cifra assoluta che complessivamente è superiore rispetto al passato. Questi trend sono presenti anche nel micro, come dimostra l’osservatorio dell’Ospedale di Brescia, dove i 17mila pazienti affetti da Alzheimer sono per incidenza sempre più anziani, ma la presenza in coloro che hanno tra i 70 e gli 80 anni si è ridotta”.
I fattori che possono favorire l’accumulo di beta-amiloide
Negli ultimi anni è emerso che l’accumulo di proteina beta-amiloide e le alterazioni della proteina tau è rilevabile con molti anni di anticipo rispetto alle prime manifestazioni della malattia. E su questo dato si basa l’approccio preventivo. Aggiunge Padovani:
i fattori di rischio che stanno emergendo come correlati alle caratteristiche neuropatologiche della malattia di Alzheimer sono il diabete o la cosiddetta insulino-resistenza della sindrome metabolica attraverso l’infiammazione sistemica, che favoriscono l’accumulo di beta-amiloide da cui poi deriverebbe il processo neurodegenerativo. Altri due elementi sembrerebbero correlati all’infiammazione sistemica: l’insufficienza epatica non alcolica, spesso legata all’obesità e ai disturbi dell’alimentazione, e la steatosi epatica alcolica, spesso aggravata dal consumo di alcol anche in età avanzata. Il fegato, infatti, svolgerebbe una funzione di filtro o di eliminazione dell’amiloide circolante. Ancora non ci sono dimostrazioni scientifiche, ma è un ipotesi accreditata su cui diversi gruppi stanno lavorando. Un terzo aspetto che emerge sull’individuazione dei fattori di rischio è legato ai disturbi del sonno: un sonno disturbato, inferiore alle 6 ore, aumenta il rischio di decadimento cognitivo; da recenti studi emerge che alcuni farmaci che agiscono sull’orexina non solo migliorano il sonno e le prestazioni cognitive, ma agiscono sui biomarcatori correlati allo sviluppo della malattia di Alzheimer”.
Biomarcatori e test per identificare il rischio di malattia
Diego De Leo, presidente dell’AIP, pone l’accento sulle possibilità di indagine per identificare il rischio di demenza:
le recenti ricerche sui biomarcatori dell’Alzheimer identificano importanti segni che un individuo andrà incontro a una demenza. Si tratta di una puntura lombare che preleva il liquor cefalo-rachidiano che circonda il sistema nervoso. Nuove modalità di analisi dei biomarcatori si possono oggi fare anche tramite analisi del sangue, con un accesso più semplice e generalizzato, intervenendo quindi anche in persone che non presentano segni di malattia. Tuttavia, questa disponibilità pone questioni etiche oltre che organizzative, per identificare le persone da sottoporre a questi test”.