Diabete di Tipo 2, lo stile di riposo notturno può essere un fattore di rischio?
Secondo una ricerca condotta su soggetti obesi dall’università di Leiden in Olanda, e presentata in occasione del meeting annuale della European Association for the Study of Diabetes (EASD) 2024, gli individui con un cronotipo tardivo, comunemente definiti “gufi”, potrebbero essere a rischio maggiore di sviluppare il diabete di tipo 2 (DT2) rispetto a quelli con altre abitudini relative alle ore di sonno.
Il dato più interessante è che le abitudini di sonno sembrano un fattore di rischio indipendente dallo stile di vita.
Lo studio indica un aumento del rischio di diabete vicino al 50%
L’analisi si è basata sui dati del Netherlands Epidemiology of Obesity study e ha coinvolto 5.026 partecipanti, con età media di 56 anni, e BMI medio di 30 kg/m2. Nell’arco di 6,6 anni (follow-up mediano) 225 partecipanti hanno ricevuto una diagnosi di T2D. I ricercatori hanno valutato le associazioni tra cronotipo e BMI, circonferenza vita, grasso viscerale, grasso epatico e rischio di diabete di tipo 2.
I partecipanti sono stati divisi in tre categorie, corrispondenti a tre diversi cronotipi ottenuti base al midpoint of sleep (MPS), ossia il punto intermedio tra il momento in cui si va a dormire e il momento in cui ci si sveglia: cronotipo precoce (MPS <2,30, 20% dei partecipanti), cronotipo intermedio (MPS 2,3-4,0, 60% dei partecipanti) e cronotipo tardivo (MPS ≥4 , 20% dei partecipanti). Per esempio, se un individuo ha un MPS pari a 2,30 significa che alle 2,30 della notte ha già completato il 50% delle proprie ore di sonno. Il cronotipo intermedio è stato preso come classe di riferimento.
Dopo gli aggiustamenti statistici per tenere conto della possibile influenza di età, sesso, livello di istruzione, attività fisica, fumo, consumo di alcol, qualità della dieta, qualità e durata del sonno e grasso corporeo totale, è risultato che i soggetti con un cronotipo tardivo avevano un rischio di sviluppare diabete di tipo 2 aumentato del 46% (HR=1,46 IC 95% 1,03 – 2,06) rispetto al cronotipo intermedio.
Gli stessi, inoltre, presentavano un valore medio di BMI superiore (+0,7 unità), una circonferenza vita maggiore (+1,9 cm), una maggior quantità di grasso viscerale (+7 cm²) e di grasso epatico (+14%).
L’aumento del rischio di diabete non si spiega con lo stile di vita di chi va a letto tardi
Secondo Jeroen van der Velde, del Leiden University Medical Center:
nonostante il cronotipo tardivo sia stato in precedenza associato a uno stile di vita poco salutare e a sovrappeso o obesità, e quindi poi a malattie cardiometaboliche, lo stile di vita non può spiegare completamente la relazione tra cronotipo tardivo e disordini metabolici. Inoltre, gli studi precedenti si sono concentrati principalmente sull’indice di massa corporea (BMI); un indicatore che, da solo, non fornisce informazioni accurate rispetto alla distribuzione del grasso corporeo, che potrebbe essere più rilevante per il rischio metabolico.”
“Il cronotipo tardivo” aggiunge van der Velde “è risultato associato con un livello maggiore di grasso ectopico, ossia accumulato in aree del corpo dove normalmente non si trova il grasso, e con un aumento del rischio di DT2, indipendentemente dallo stile di vita; quindi può essere considerato un fattore di rischio emergente per le malattie metaboliche. Una possibile spiegazione del fenomeno riguarda la possibilità che il cronotipo tardivo non sia allineato agli schemi orari e lavorativi della società, e che questo possa portare a un disallineamento circadiano, che sappiamo essere causa di disturbi metabolici, e infine anche di diabete di tipo 2. Inoltre, il sonno tardivo è spesso associato a eccessi alimentari serali, che possono contribuire all’aumento di peso e all’obesità, aumentando ulteriormente il rischio di diabete”.
Tuttavia, il cronotipo rappresenta probabilmente solo una parte del quadro relativo al rischio di insorgenza di DT2. I soggetti con un cronotipo tardivo hanno tipicamente l’abitudine di cenare tardi, aspetto associato a effetti metabolici negativi. A oggi non è possibile stabilire se una modifica del proprio cronotipo potrebbe portare a miglioramenti a livello metabolico, e sarebbero necessarie ulteriori ricerche.
I “gufi” potrebbero essere più resistenti all’insulina
A commento dello studio Gianluca Iacobellis, direttore dell’Hospital Diabetes Service dell’Università di Miami (Usa), ha osservato che l’alterazione del ritmo circadiano fisiologico potrebbe influenzare il sistema ormonale complesso, e i livelli di cortisolo, grelina, leptina e serotonina, i quali regolano la sensibilità all’insulina e il controllo della glicemia e della pressione arteriosa.
I “gufi” potrebbero essere più resistenti all’insulina e quindi a maggior rischio di diabete. Inoltre, uno stato di profondo affaticamento e perdita di vigore, facilmente associato con la presenza di ritmi circadiani anomali, comporta un aumento del rischio cardiovascolare e del grasso viscerale. Senza tralasciare il probabile ruolo dei fattori ambientali, è possibile affermare che le persone con un cronotipo tardivo, caratterizzate da un maggior accumulo di grasso viscerale, potrebbero essere a maggior rischio cardiometabolico, in virtù del meccanismo descritto.