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HIV in carcere, un progetto per lo sviluppo di un percorso assistenziale dedicato

  • Silvia Pogliaghi
  • Sanità

L’assistenza sanitaria all’interno delle carceri è un tema di grande attualità, anche in relazione alle difficoltà che sta affrontando il sistema carcerario in Italia. In questo ambito, le persone detenute che convivono con l’HIV (People Living With HIV – PLWH) pongono una serie di sfide, che vanno dallo screening per la diagnosi alla continuità assistenziale per chi deve seguire terapie croniche.

Un progetto per lo sviluppo di un modello assistenziale per PLWH presentato dall’Asl Toscana Centro, è stato premiato, insieme ad altri 24 progetti di ricerca scientifica nelle aree delle patologie infettive, dal Bando Fellowship Program 2024 di Gilead Sciences.

Il progetto si basa sull’implementazione di strategie su più livelli: incremento della conoscenza delle caratteristiche dell’infezione da parte del paziente, riduzione dello stigma, perfezionamento del counseling, aumento dell’aderenza al percorso di cura, introduzione di momenti di valutazione multidisciplinare supportati da personale specializzato per la qualità di vita e della salute mentale e potenziamento del linkage to care, sia interno agli istituti penitenziari, sia tra istituti e territorio.

Elena Salomoni, infettivologa dell’Ospedale S.M. Annunziata di Firenze e responsabile del progetto, spiega: “questo progetto riguarda tutti gli Istituti penitenziari per adulti dell’Azienda USL Toscana Centro, quattro case circondariali che accolgono persone con durata di pena spesso breve: Si tratta di circa 1300 persone, di cui con HIV, potrebbero intorno al 10%, un dato che comunque dipende dai flussi che sono molto variabili”.

Qual è l’obiettivo del progetto?

“L’obiettivo è quello di creare un’ottimizzazione degli screening, della cura e, in seguito la presa in carico sul territorio, di tutte le persone che vivono con HIV e che arrivano negli istituti penitenziari. Grazie al Bando Fellowship Program 2024 di Gilead Sciences, il progetto prevede l’accelerazione del percorso di aggancio della persona che entra con infezione da HIV nota o che riceve la prima diagnosi di HIV al momento dell’ingresso in carcere, grazie allo screening. Pertanto, vogliamo accelerare il momento di esecuzione degli esami ematici e di programmazione della visita infettivologica specialistica, intervenendo anche laddove ci siano eventuali barriere culturali o linguistiche della persona che arriva o il rifiuto iniziale dello screening.”

Come viene seguita la persona PLWH dall’ingresso in carcere?

“Un compito importante, all’ingresso in carcere di persone che hanno un’infezione nota, è ricostruire la storia della persona e dell’infezione. Perché spesso sono persone con disagio sociale o senza fissa dimora, oppure sono passati da altri istituti penitenziari o dalle comunità. Quindi, va ricostruita la storia clinica a partire dalla diagnosi, le linee del trattamento prima dell’ingresso in carcere e gli eventuali esami di controllo. Il progetto prevede anche la creazione di una scheda dedicata all’interno della cartella clinica elettronica al momento del primo accesso negli istituti penitenziari. Uno strumento che possa far parte integrante del bagaglio di documentazione del paziente e che sia disponibile al momento della scarcerazione o del trasferimento, o ancora nel suo percorso migratorio.

Il secondo obiettivo poi è seguire la persona durante la detenzione in maniera proattiva, intervenendo precocemente in caso di criticità senza dover aspettare, la segnalazione da parte del medico di guardia di un eventuale problema. Può capitare, infatti, che la persona ristretta non assuma la terapia o che la rifiuti, oppure rifiuti il prelievo”.

Come vengono affrontate le barriere culturali e linguistiche?

“Il nostro è un progetto di monitoraggio attivo che si propone di seguire le persone all’interno del proprio percorso durante la detenzione e di capire anche come intervenire sui bisogni della persona. Soprattutto persone con barriere linguistiche o che hanno un disagio psichico e che sono seguite dal servizio di psichiatria o dal SERD per problemi di tossicodipendenza. Ci proponiamo di intervenire sulle esigenze della persona che vive con HIV anche se non sono strettamente legate alla terapia. Inoltre, il progetto ci permetterà di organizzare e programmare valutazioni multidisciplinari con il SERD, con l’equipe psichiatrica o anche con la mediazione culturale, creando momenti di confronto tra gli operatori. Durante tutta questa fase, sarà possibile aggiornare la scheda aperta all’ingresso, all’interno della cartella elettronica, creando un diario che contenga le periodiche rivalutazioni e le diverse esigenze evidenziate durante il corso della detenzione. Infine, l’obiettivo è quello di agevolare l’aggancio con le strutture sanitarie esterne una volta che la persona verrà scarcerata, attraverso un intervento attivo per favorire il contatto con i presidi ospedalieri sia territoriali che extra regionali.”

 Il progetto vede coinvolti anche altri attori?

“Uno strumento prezioso all’interno del progetto è l’implementazione collaborazione con le associazioni del Terzo Settore presenti e attive nel territorio cittadino, che potranno rappresentare una risorsa come punto di riferimento e supporto alla persona al momento della scarcerazione, soprattutto per coloro che non hanno un’assistenza sanitaria o un supporto familiare o sociale all’esterno”.

Nei primi giorni di novembre, in Senato è stato approvato all’unanimità un disegno di legge che garantisce una figura per l’assistenza sanitaria alle persone senza fissa dimora, questa figura potrebbe essere inserita in questi percorsi dopo la scarcerazione?

“L’assistenza sanitaria per le persone senza fissa dimora può costituire uno strumento di rilievo per questo tipo di percorsi: perché una persona che esce dal carcere può avere delle difficoltà sociali di diverso tipo che mettono a rischio la prosecuzione delle cure intraprese in istituto. Sicuramente il fatto di poter contare su un riferimento sarebbe importante e colmerebbe quel vuoto di continuità di cura, a cui spesso, effettivamente, queste persone vanno incontro”.

Pogliaghi
Silvia Pogliaghi

Giornalista scientifica, specializzata su ICT in sanità.