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dieta alimenti scelta

Alimenti ultraprocessati, sono sempre da evitare?

La definizione di cibo ultraprocessato tende a connotare negativamente ogni tipo di produzione industriale, ma non sempre il giudizio è giustificato

a cura di: Francesca De Vecchi, Tecnologa alimentare

Nel dibattito contemporaneo su alimentazione e salute i termini come “cibi processati” e “ultra-processati” sono spesso usati con connotazioni negative. La realtà della produzione alimentare, tuttavia, è complessa e le generalizzazioni non aiutano a fare chiarezza.

Per fare scelte alimentari più consapevoli può essere utile conoscere meglio il significato che dobbiamo attribuire a questo tipo di classificazione.

Un termine che comprende produzioni diverse fra loro

Il termine ultra-processato fa riferimento alla classificazione NOVA, sviluppata dall’epidemiologo Carlos A. Monteiro nel 2010, che ordina gli alimenti in quattro gruppi sulla base dell’estensione e dello scopo della lavorazione.

 

Gli alimenti ultra-processati (UPF) fanno parte del quarto gruppo; sono formulazioni industriali con almeno cinque ingredienti, tra cui zuccheri, oli, grassi, sale, additivi, oli idrogenati, proteine idrolizzate, maltodestrina e sciroppi di glucosio-fruttosio.

Sono pronti al consumo e sostituiscono alimenti minimamente lavorati. Sempre secondo Nova, gli UPF sono caratterizzati da iper-palatabilità, packaging attraente, marketing aggressivo e branding. Esempi includono bevande gassate, snack confezionati, gelati, dolciumi, pane industriale, margarine, biscotti, cereali zuccherati, piatti pronti e carni/pesci ricostituiti.

Per capire qual è il rapporto questi alimenti e la salute non possiamo fermaci alla definizione, nella categoria degli UPF rientrano prodotti con caratteristiche molto diverse fra loro che sono ritenuti responsabili di favorire malattie croniche, come ad esempio diabete e malattie cardiovascolari. L’ombra del sospetto si è estesa al concetto stesso di produzione industriale o di processo tecnologico in campo alimentare, rafforzando anche la percezione che alimenti naturali o casalinghi siano intrinsecamente migliori, mentre le tecniche industriali e gli additivi siano da considerare negativamente.

Una dicotomia che non aiuta il consumatore a fare scelte, in un mercato complesso e globalizzato che ha la necessità di produrre e consumare in modo sostenibile, evitando gli sprechi, rispettando l’ambiente e la salute.

Le produzioni industriali variano notevolmente, distinguendosi per diversi livelli di trasformazione e conservazione. Un’altra classificazione, per esempio, divide gli alimenti in gamme, con riferimento ai processi di lavorazione.

 

L’obiettivo primario di una produzione industriale è utilizzare una varietà di processi studiati per estendere la durata degli alimenti e garantirne quindi la disponibilità, in condizioni particolari e di sicurezza igienica. Temere gli additivi, una categoria molto ampia di sostanze approvate per l’uso alimentare, può essere fuorviante.

È ancora molto diffusa, per esempio, la convinzione che i surgelati debbano la lunga durata all’aggiunta di queste sostanze mentre è tutto merito di una tecnologia che preserva con il solo freddo, conservando il potere nutrizionale (vedi riquadro).

I  surgelati non contengono additivi
IQF significa Individual Quick Freezing ed è la tecnologia che consente di surgelare velocemente i singoli componenti di una massa di frutta, verdure tagliate, molluschi, hamburger e tranci di carne. Ogni elemento si surgela e rimane separato dagli altri. È la tecnologia usata dall’industria per i prodotti surgelati. L’unico elemento che estende la durata e preserva i componenti è dunque il freddo (gli additivi sono vietati per legge nei surgelati). I vantaggi sono la facilità di utilizzo, il ridotto spreco, la qualità nutrizionale, la facilità di cottura.

In merito ai valori nutrizionali, è giusto ribadire che fra i prodotti la formulazione rimane una discriminante quando si parla di salute. Leggere le etichette, scegliere prodotti ben bilanciati e inserirli nel contesto di un’alimentazione varia ed equilibrata devono rimanere le principali azioni di un consumatore consapevole, senza pregiudizi o timori rispetto ai processi.

Confronto tra produzione industriale e domestica: sicurezza, igiene e valore nutrizionale

Comparare produzione industriale e quella domestica è complesso. Gli studi sono pochi. Un recente studio dell’Università di Wageningen ha confrontato plumcake, bastoncini di pesce, salsa di pomodoro e barrette di cereali fatti in casa con quelli di produzione industriale, valutando gli aspetti nutrizionali, di sicurezza alimentare e igienici. Ne è emerso che a parità di ricetta le composizioni nutrizionali tra le versioni industriali e quelle casalinghe erano spesso comparabili per i nutrienti analizzati.

La sicurezza è stata valutata anche rispetto alla formazione di composti potenzialmente dannosi (come i prodotti della Reazione di Maillard e l’acrilammide AA) che non è comunque esclusiva dell’industria. Infatti è emerso che questo tipo di modificazione degli alimenti anche nella cucina casalinga, poiché dipende dall’intensità e dalle condizioni di cottura. I processi industriali, invece, hanno procedure e strumenti per monitorare il fenomeno e ridurlo al massimo.

E infine l’igiene: le produzioni industriali sono sottoposte a controlli qualità, supervisione normativa e tecnologie (come pastorizzazione, sterilizzazione e confezionamento) che riducono significativamente i rischi di contaminazione da patogeni. Nei processi di produzione, anche per le disposizioni normative, si mantengono livelli di controllo igienico che è più difficile raggiungere nelle cucine domestiche, dove una manipolazione o conservazione impropria aumenta il rischio di contaminazioni.

In sintesi, gli alimenti fatti in casa non offrono necessariamente una qualità nutrizionale superiore. La questione, infatti, risiede più negli ingredienti specifici dell’ultra-processazione (spesso alti contenuti in zuccheri, grassi saturi e sodio) che nel processo industriale in sé.

Secondo Poli et al. in un articolo pubblicato sul Giornale Italiano dell’Arteriosclerosi, classificare la qualità di un prodotto basandosi solo sul livello di lavorazione o sugli ingredienti industriali potrebbe non essere un indicatore affidabile di salubrità. È invece importante lavorare per migliorare dove necessario i profili nutrizionali di questi prodotti, la capacità dei consumatori di scegliere i prodotti adatti alla loro dieta e al loro stile di vita, con la consapevolezza della loro sicurezza e praticità.

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Redazione

articolo a cura della redazione

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