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Disturbi alimentari, troppo pochi i centri specializzati in Italia

Data la loro complessità, i disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (DNA) richiedono un approccio multidisciplinare e l’intervento di specialisti adeguatamente formati, ma in Italia sono ancora pochi i centri in grado di offrire questo tipo di assistenza, integrando terapia nutrizionale, psichiatrica e psicologica.”

Lo ha affermato Antonella Lezo, presidente della Società italiana di nutrizione artificiale e metabolismo (SINPE), in occasione della Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, celebrata il 15 marzo.

Il supporto nutrizionale può salvare la vita

Chi soffre di anoressia può arrivare a perdere oltre l’85% del proprio peso corporeo ideale, con complicanze che vanno dal ritardo nell’accrescimento (negli adolescenti) ad anomalie cardiache e cerebrali.

Nell’approccio terapeutico, spiega Antonella Lezo:

il supporto nutrizionale rappresenta la prima base. Serve, innanzitutto, a scongiurare il rischio di morte, che in questi pazienti, a causa del loro grave stato di malnutrizione, è fino a 12 volte superiore rispetto alla popolazione generale, e a prevenirne le complicanze. In più, permettendo all’organismo di tornare a ‘funzionare’, il ripristino dello stato nutrizionale è anche funzionale all’efficacia dell’intervento psicologico e psichiatrico. Per rispondere a queste sollecitazioni, il corpo deve prima saper produrre le giuste molecole, che determinano forza, umore, capacità di sentire fame, sazietà”

La prevalenza dei disturbi alimentari si è decuplicata e i centri di riferimento non sono sufficienti

“Negli ultimi anni – sottolinea Lezo – la prevalenza dei DNA è decuplicata e questo si è accompagnato a un’attenzione crescente verso il problema, tanto che il Ministero della Salute, per il secondo anno consecutivo, ha rinnovato l’erogazione di fondi dedicati proprio alla creazione di centri che includano tutte le figure coinvolte nella presa in carico dei pazienti con DNA, dietologo, dietista, psicologo, psichiatra, terapista della riabilitazione psichiatrica.” E aggiunge:

ma ancora oggi  le famiglie fanno fatica a trovare punti di riferimento e strutture a cui affidarsi, con ritardi nella diagnosi e nell’avvio delle cure, cronicizzazione del disturbo e complicazioni nel percorso di riabilitazione”.

“Se il trattamento non è gestito da personale formato, – aggiunge Lezo – per il paziente subentra non solo il rischio di ricaduta ma anche quello di ‘refeeding syndrome’, ovvero sindrome da rialimentazione, quando l’intervento nutrizionale è troppo aggressivo, comportando diselettrolitemie, scompenso cardiaco e deficit di vitamina B1. Questa condizione, se non riconosciuta e trattata correttamente, può essere letale”.

L’impegno delle società scientifiche

“La gestione dei DNA è una delle principali sfide della nutrizione clinica odierna” conclude la Presidente SINPE.

come società scientifica, siamo impegnati nella formazione dei professionisti sul corretto approccio al problema e nell’aumentare la consapevolezza presso i nostri associati della gravità di questi disturbi che insorgono ormai in età sempre più precoce, addirittura 8-9 anni. Inoltre, siamo al lavoro per pubblicare a breve, insieme a SIRIDAP, SIS.DCA, ASAND e SIGENP, un documento di consenso intersocietario sull’omogeneizzazione dei protocolli nutrizionali e sull’integrazione con l’intervento psichiatrico e psicologico. Il paper prevederà anche specifiche indicazioni per gruppi speciali di pazienti, come adolescenti e donne in gravidanza o allattamento”.

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Redazione

articolo a cura della redazione

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